Etruskische Texte

di Helmut Rix

 

Helmut Rix, linguista dell'Università di Tubinga, ha pubblicato una sua opera in due volumi, intitolata Etruskische Texte, editio minor, Gunter Narr Verlag, Tuebingen, volume I pagg. 320, volume II pagg. 370. Per il vero l'opera è stata pubblicata già da dieci anni, nel 1991, ma il fatto che io ne parli soltanto oggi è conseguente al motivo che un'opera come questa va giudicata solamente dopo che la si è adoperata in maniera sistematica e per un lasso di tempo abbastanza lungo. Cosa che per l'appunto io ho fatto nel giro di questi ultimi anni.
Dico e preciso subito che questa del Rix è un'opera importantissima, una autentica "tappa negli studi sulla lingua etrusca", per il motivo fondamentale che essa presenta l'intero thesaurus della lingua etrusca, cioè tutto quanto è stato conservato e rinvenuto di questa importante e abbastanza sconosciuta lingua della Italia antica (1).
L'opera del Rix e dei suoi collaboratori Fritz Kouba, Dieter Steinbauer, Ludwig Ruebekeil und vielen anderen, è strutturata nel modo che espongo subito.
Intanto c'è da premettere un fatto assai importante: per molto materiale linguistico etrusco rinvenuto nelle epigrafi etrusche sia il Rix che i suoi collaboratori hanno effettuato la autopsia. E questo fatto non è cosa di poco conto, perché ha messo in crisi non poche letture di epigrafi etrusche, che erano entrate pacificamente nel Corpus Inscriptionum Etruscarum (CIE), nei Testimonia Linguae Etruscae (TLE) di Massimo Pallottino (Firenze, 1968, II edizione) e nel Thesaurus Linguae Etruscae (ThLE), I Indice lessicale, Roma, 1978; I Supplemento, 1984; Ordinamento inverso dei lemmi, 1985; II Supplemento, 1991, promosso dallo stesso Pal1ottino nonché nella mia opera Testi Etruschi tradotti e commentati (TETC) (Roma, 1990, editore Bulzoni).
Nell'opera del Rix il materiale linguistico risulta ordinato nel seguente modo. Prima di tutti vengono presentati i due testi più lunghi della lingua etrusca, il Liber Linteus della Mummia di Zagabria e la Tabula Capuana. Segue nell'ordine tutto il restante materiale, il quale è ordinato in funzione delle località in cui è stato rinvenuto, cioè Campania, Latium, Falerii et Ager Faliscus, Veii, Caere, Tarquinia, Ager Tarquinensis, Ager Hortanus, ecc., fino alla Gallia Narbonensis, alla Corsica ed all'Africa. Ed io comincio col far notare che al Rix è sfuggito che anche in Sardegna erano state rinvenute due iscrizioni etrusche, una delle quali risultava già segnalata da Mario Buffa, nella sua nota opera Nuova raccolta di iscrizioni etrusche, Firenze, 1935, num. 1039, e che di recente ne sono state rinvenute altre due (2).
Dopo sono riportate le Inscriptiones Originis Australis, quelle Originis Borealis e quelle Originis Ignotae.
Finalmente nell'opera che vado esponendo sono presentati i testi etruschi che compaiono negli specchi, nelle gemme e nelle monete.
Rispetto alle località in cui le iscrizioni sono state trovate, il Rix segue non l'"ordine alfabetico", come ci saremmo aspettati, bensì un "ordine geografico", il quale va dal sud verso il nord, dalla Campania dunque all'Emilia e alla Liguria. Senonché avviene che un tale ordine geografico da un lato non è sempre giustificato nelle sue articolazioni orizzontali, dall'altro non è per nulla memorizzabile, ragion per cui in generale la consultazione del II volume è sempre molto difficile ed anche molto fastidiosa. A ciò si aggiunga che le singole località vengono citate con delle sigle, le quali però da un lato non sono memorizzabili con facilità, dall'altro sono spiegate non in una apposita Tavola anteposta al II volume, bensì in una poco appariscente pagina (33) del I volume (manca completamente la spiegazione Picenum della sigla Pi di pag. 355 del II volume). Pertanto l'elenco di tali sigle se lo deve ricostruire personalmente il lettore nella pagina dello Inhalt del II volume...
Le iscrizioni trovate in una stessa località sono ordinate secondo il tipo di supporto archeologico in cui risultano scritte, supporto che viene indicato con altrettante sigle: ad esempio: psep = «parete di sepolcro», stfi = «stele fittile», teg «tegola», opol «coperchio di olla», os «ossuario», pose «porta di sepolcro», spec «specchio», vo «dono votivo», ed altre numerose sigle.
Senonché alcune sigle non risultano affatto spiegate: esempi, cisf (Ve 3.10), pavi (Fa 0.7). E che cosa significa pise pilus sepul.? «pelo di sepolcro» oppure «manipolo di sepolcro»?
Ma la domanda e l'obiezione più forte che mi sento in dovere di fare è la seguente: «Perché accontentarsi della troppo generica indicazione di vas «vaso», quando è noto che gli antichi distinguevano con grande cura ciascuna delle numerosissime fogge dei vasi?» Certamente un'anfora ed una pisside sono entrambe dei vasi, ma con grande differenza fra loro, soprattutto nel corrispondente uso pratico. E questa ovvia distinzione non può essere sempre priva di conseguenze nella interpretazione di una iscrizione incisa su un'anfora oppure su una pisside: nella prima può indicare la capacità, nella seconda può essere una dedica. Nel larghissimo uso che nella sua opera il Rix ha fatto delle sigle, non gli sarebbe costato nulla trovare sigle anche per ciascuna delle numerose fogge dei vasi.
Per ciascuna delle iscrizioni presentate viene poi indicata la datazione accertata oppure supposta, in maniera più o meno precisa, ossia con riferimento al secolo, al suo inizio o alla sua fine, alla sua metà, al suo quarto, oppure con le indicazioni di arc(aica) o di rec(ente). Ed ovviamente questo è un accorgimento di capitale importanza ai fini dell'analisi e della interpretazione delle varie iscrizioni.
Le singole iscrizioni poi vengono presentate anche con l'indicazione della loro lettura effettiva, certa oppure incerta, in questo secondo caso con un punto posto sotto ogni lettera incerta.
Dopo ogni iscrizione ed a fianco, cioè nella stessa pagina e nelle stesse righe, viene presentata la relativa bibliografia essenziale, almeno quella più recente.
Tutto questo si nota nel II volume dell'opera, mentre il I è dedicato alla Introduzione, agli Indici (quello normale e quello inverso) ed alle Concordanze. Ma in proposito dico che non si riesce a capire perché gli Indici e le Concordanze figurino nel I volume dell'opera, mentre il testo delle iscrizioni figuri sul II volume: mi sembra che la logica e la prassi editoriale imponessero l'ordine opposto...
D'altra parte, pur ripetendo e ribadendo che l'opera del Rix costituisce una autentica "tappa negli studi sulla lingua etrusca", circa la presentazione del testo delle iscrizioni, a me sembra che essa presenti i seguenti difetti non pochi e non lievi:

I) Scioglimenti di abbreviazioni e ricostruzioni che non erano affatto necessari e nemmeno opportuni in un'opera avente una esclusiva finalità documentaria. Invece le ricostruzioni vanno tentate non in sede documentaria od espositiva, bensì solamente in sede ermeneutica od interpretativa. Inoltre, mentre le ricostruzioni risultano indicate nel volume dell'Index, gli scioglimenti vi sono entrati tali e quali, senza la necessaria indicazione [es. etrial invece di etri(al), laxumni invece di l(a)x(umni) Pe 1.628; Pe 1.422].

II) Mancanza di lettere interpretata troppo spesso come abbreviazione anziché come caduta di lettere oppure come errori di scrittura, per cui, ad es., viene scritto muluanix(e) anziché muluanix[e].

III) Non ha fatto bene il Rix a tralasciare nell'Index le lettere singole; sarebbe stato molto meglio indicarle, magari con la sola notazione passim e con le distinzioni che ha tentato il Thesaurus Linguae Etruscae: 1. alfabetari; 2. abbr. di prenome; 3. abbr. di avil; 4. varie; 5. lettera isolata.

IV) Scioglimenti, espunzioni e ricostruzioni sovrabbondanti e non sempre convincenti, anche perché talvolta ignorano la norma della "flessione di gruppo": es. [l]ar[thi]z[a] Pe 1.925 (ricostruite ben 4 lettere di contro alle sole 3 conservate!); nes[l] in AT 1.30 e 188; eca mutna ramthas mania(l) AT 1.36; eca suthi lathial cilnia(l) AV 1.5. Perché poi supporre una caduta di lettere alla fine dell'iscr. AS 1.41 mi arathia surtenas a, se si può tradurre alla perfezione «io (sono) Aruntia (moglie) di A(ulo) Surdinio»? Perché operare l'espunzione <h>eitva basandosi su eitva e non operare la ricostruzione inversa [h]eitva su heitva? e, molto meglio, perché non rispettare i due differenti vocaboli eitva ed heitva così come risultano effettivamente documentati?

V) Non mi sembra giustificato l'abbandono delle tradizionali parentesi uncinate < > per indicare le espunzioni ed invece l'opzione per le parentesi graffe { }.

VI) L'uso del computer ha fatto sparire dall'Index, probabilmente perché troppo lunghi, i seguenti lemmi: ithavusvaka Fa 0.4; thannursiannas Cr 3.14; tesiameitale Cr 4.4; sacnitalte Cr 4.10; clavtiethurasi Cr 5.2; th[u]enza abbrev. di thuenzathrms «diciannove» Ta 1.108; velthurusla AT 1.55; cravzathuras AT 1.125; vefarsianaia AT 2.10; venelise AS 2.3; patislanialisa Cl 1.1061; helzumnatial Cl 1.1229; causlinissa Cl 1.1696; smucinthiunaitula OA 4.1; velthinathuras ed uta scuna afuna Pe 8.4 (20, 23); velthurithura Co 3.2; axratinalisa Ar 1.3; ciarthialisa Ar 1.9; flerxvetr[a] LL XI.16; fufluna NU N.31, ecc. ecc.
Arrivato col controllo analitico a circa la metà dell'opera, ritengo di aver già constatato la scomparsa di una trentina di questi vocaboli piuttosto lunghi.

VII) Alcune letture fatte dal Rix e dai suoi collaboratori del Liber linteus della Mummia di Zagabria vengono smentite dalle chiarissime fotografie delle bende pubblicate nel volume, a cura di Francesco Roncalli, Scrivere etrusco, Milano, Electa, 1985; ad es. cial e non ciar III.19; clevanth e non clevana VII.16; laivetsm e non laiveism VIII 6; flerei e non fleres IX.14; ite e non ipe X.9, ecc. ecc.

VIII) Non convince affatto la nuova numerazione che il Rix ha dato delle righe del medesimo Liber linteus.

IX) Nell'Index sono inseriti senza alcun particolare segno vocaboli risultanti nelle linee di strappo delle bende, la cui ricostruzione, in base alle fotografie, è fortemente dubbia: es. X.12 ras truthur tutimc an masnur.

X) Data la nota particolare funzione divisoria della punteggiatura etrusca, nella trascrizione delle iscrizioni essa avrebbe dovuto avere uno spazio anche prima, a sinistra, come lo ha dopo, a destra. Inoltre il punto singolo andava messo ad altezza mediana della riga e non alla base (la punteggiatura manca del tutto nell'importante testo della prima lamina di Pirgi!).

XI) Nell'Index non sembra giustificata l'inserzione dei lemmi inizianti col k e con la qu fra quelli inizianti con la c. In proposito era molto meglio rispettare l'esatto ordine dell'alfabeto etrusco.

XII) Per questo stesso motivo otto differenti grafemi per indicare la sibilante come veniva trascritta nell'Etruria meridionale, in quella settentrionale ed a Cere sono indubbiamente eccessivi ed inoltre sono contrari alla convenzione tradizionale e ormai pacifica tra gli specialisti circa la trascrizione dell'etrusco. Quale motivo concreto esisteva a favore dell'uso di otto grafemi, posto che di certo essi non indicavano altrettanti differenti fonemi? Perché allora non usare quattro differenti grafemi per indicare, ad es, la lettera M come veniva trascritta in differenti tempi e luoghi? Senza dubbio questa azzardata scelta grafica provocherà, d'ora in avanti, non poche confusioni nella trascrizione dell'etrusco da parte di coloro che non potranno fare a meno di consultare l'opera del Rix.

Avevo già pubblicato da qualche anno questo mio scritto, quando mi è capitato di leggere nella rivista «Studi Etruschi» [64, 1998 (2001), pagg. 230-234] un articolo di E. Benelli, in cui compare anche una parte intitolata Etruskische Texte: addenda et corrigenda, nel quale l'Autore, in cinque fittissime pagine, fa numerose aggiunte e correzioni all'opera del Rix; aggiunte e correzioni che sono molte, forse anche troppe, soprattutto se si considera che riguardano la sola località di Chiusi. Particolarmente da notare mi sembrano le osservazioni che il Benelli fa alla voce 8) Varie: a) correzioni congetturali non indispensabili; b) letture estremamente incerte; c) scioglimenti non necessari; d) scioglimento incerto; e) integrazione incerta; f) congettura incerta. Che sono osservazioni e rilievi che corrispondono quasi tutti a quelli fatti da me in precendenza.
In linea generale dico che stupisce veramente la disattenzione con cui il Rix ed i suoi collaboratori hanno mandato avanti la loro opera, la quale in effetti nel progetto risultava ben concepita e ben strutturata. D'altronde di notevole disattenzione il Rix aveva dato prova qualche anno prima, in un suo scritto molto sintetico ma anche molto impegnativo, La scrittura e la lingua, nell'importante opera in collaborazione di Mauro Cristofani, Gli Etruschi - una nuova immagine (Firenze, Giunti Martello 1984). Il Rix non si è accorto di avere dato del verbo etrusco trin ben tre significati differenti: § 28 «invoca», §§ 43, 47 «parla», § 51 «bevi»; e dell'altro verbo tur due significati differenti: § 43 «dedica», § 49 «dà»...
Tutto ciò detto, mi sembra di poter e dover concludere dicendo che l'opera del Rix va consultata con grande cautela. In particolare i lemmi quali figurano negli Indices vanno sempre confrontati con quelli che figurano realmente nei Texte. Ovviamente sono io il primo ad augurarmi che questi difetti scompaiano nella editio maior dell'opera, che è stata preannunziata e che tutti attendiamo con grandissimo interesse (3).


N O T E

1. Cfr M. Pittau. Gli Etruschi e Cartagine i documenti epigrafici, negli Atti dell’XI convegno di studio «L’Africa Romana», Cartagine, dicembre 1994 (Sassari, 1996)

2. Cfr. M. Pittau, Ulisse e Nausica in Sardegna, Nùoro (Libreria Dessì, Sassari), 1994, num. VIII.

3 Nel convegno della «Società Italiana di Glottologia», che si è tenuto ad Amalfi il 4-6 novembre 1993 (atti pubblicati a Pisa, nel 1995), il Rix ha tenuto una relazione intitolata L'etrusco fra l'Italia e il mondo mediterraneo, nella quale ha affrontato anche il problema dell'etnico Tyrrhenói ed Etrusci. Peccato che egli abbia ignorato quanto in proposito io avevo scritto a lungo nella mia opera Lessico Etrusco-Latino comparato col Nuragico, Sassari, 1984 (Libreria Dessì, Sassari) nella lunga «Introduzione» ed inoltre nelle pagg. 124-126.

Nota bene: il presente studio era stato già pubblicato negli «Atti del Sodalizio Glottologico Milanese», vol. XXXVII-XXXVIII, 1996 e 1997 (Milano, 1998), pagg. 71-75. Nella presente versione però risultano alcune aggiunte.


massimopittau@tiscalinet.it