Intorno al lessema etrusco tusurthi (sing.), tusurthir (plur.) esiste ormai una communis opinio, che risale a G. L. Martelli, secondo la quale esso significa «coniuge, consorte,-i»; e ciò in base alla circostanza che il lessema compare in epitafi coniugali incisi in due ossuari bisomi(1).
Ma se è vero che questa interpretazione viene ormai accettata da tutti gli etruscologi, è altrettanto vero che, al contrario, non esiste fino ad ora una spiegazione, comunemente accettata, della composizione o della struttura formale del lessema in questione.
Per primo il Martelli aveva interpretato il vocabolo etrusco come se letteralmente significasse «consors tori», cioè «compagno di letto»(2). Spiegazione che era stata accettata da F. Ribezzo, il quale nel 1928 aveva ritenuto di confermarla nel seguente modo: "La parola è manifesta derivazione o composto di etr. *tuse, lat. torus «letto coniugale, funebre»" e tusurthi deriverebbe da tus-thi = «in toro», locativo.
Ritornando poi sull'argomento nel 1953, il Ribezzo aveva ritenuto di precisare meglio il significato di tusurthir = «quelli che sono in più loculi dello stesso sepolcro, dello stesso ossuario» ed anche «quelli che si trovano sepolti in questo letto bisome o in questi loculi abbinati»(3).
Poco prima di morire A. Trombetti aveva interpretato tus- = «insieme» e *tus-surthi forse = «con-iug-», «con-sort-»(4).
In epoca più recente A. J Pfiffig ha interpretato tusurthir = «Ehegatten (die auf den gemeinsamen [Lagern])(5); K. Olzscha come un duale e lo ha tradotto «beide Ehegatten»(6); G. e L. Bonfante: «coniugi, coppia di sposi ('nella doppia urna', che giacciono in un solo letto)»(7); H. Rix: tusurthi = «sui cuscini», tusurthir «essi sui cuscini»(8).
M. Pallottino, nell'ultima edizione del suo trattato Etruscologia, presenta due differenti tentativi di spiegazione del nostro vocabolo: I) a pag. 516 ha mostrato di propendere, sia pure in forma dubitativa, per la spiegazione del Ribezzo, il quale, con riferimento a tus, aveva chiamato in causa il lat. torus «letto»; II) a pag. 331, invece, ha fatto riferimento non a tus, bensì alla radice etrusca thu-, tu-, ipotizzando che «corrisponda al numero 'uno' ed equivalga quindi anche al lat. una (insieme)»(9).
Ebbene, a mio giudizio, quest'ultimo tentativo di spiegazione effettuato dal Pallottino, pur non essendo né completo né esatto, ci pone nelle condizioni di trovare finalmente una spiegazione del nostro lessema, che si presenta come del tutto soddisfacente, anche perché risulta abbastanza semplice.
A mio avviso, dunque, in primo luogo il nostro lessema va distinto non in *tus-surthir, né in tus-ur-thir, né in tusu-r-thir, come è stato fatto da alcuni autori fino ad ora, bensì in tu-surthir. In secondo luogo dico che esso va interpretato e tradotto esattamente come «consorti», in quanto corrisponde al lat. consortes (ovviamente da cum + sortis) o meglio ad una ipotetica forma lat. *unisortes = «(che hanno) una sola o comune sorte».
In questa mia spiegazione è evidente che io uguaglio l'etr. *surthi col lat. sortis, sors,-tis (10); e rispetto a questa equazione dico che sono possibili tre differenti ipotesi: I) il vocabolo latino deriva da quello etrusco; II) il vocabolo etrusco deriva da quello latino; III) entrambi derivano da una comune base fino ad ora sconosciuta.
Io opto per la prima ipotesi, in quanto mi sembra la più probabile. In primo luogo, infatti, l'etimologia corrente del lat. sortis, a mio parere, lascia molto a dsiderare. Comunemente il lat. sortis viene riportato alla medesima radice del verbo serere e del sostantivo series: «nome d'azione di serere 'allineare' e cioè «l'atto di disporre (le tavolette per l'estrazione a sorte)»; «vedi serie», scrive il Devoto(11). Ma io obietto che l'"estrazione a sorte", qualunque sia il modo in cui la si effettua, consiste non nell'"allineare", cioè nell'"ordinare le sorti", bensì nel "disordinarle", nello "scompaginarle". A mio avviso, pertanto, il connettere il lat. sortis «sorte, caso» al verbo serere «seriare, allineare» implica una grossa incongruenza, del tutto analoga a quella famosa e ridevole degli antichi: lucus a non lucendo.
Sul piano formale un certo indizio che il lat. sortis derivi dall'etrusco si trova nella circostanza che ha l'ablativo in -i, proprio come altri vocaboli latini di origine etrusca(12). Un altro indizio si ha nel fatto che il derivato sorticula è caratterizzato dal suffisso -ic-, che si ritrova anch'esso in altri vocaboli latini di origine etrusca(13).
Una certa conferma della origine etrusca del lat. sortis si ritrova nell'antroponimo etrusco, ma scritto in caratteri latini, Sorti, ed inoltre nell'altro Surte(-s), al quale corrisponde quello lat. Surtius(14).
Molto importante e significativo su questo punto è il fatto che il gentilizio etr. Surte assai probabilmente è corradicale con Suri, dio etrusco della divinazione effettuata con le sortes, dio che dai Falisci fu assimilato ad Apollo, anch'esso dio della divinazione.
Infine faccio osservare che l'"estrarre a sorte", il "fare sortilegi" con la finalità di prevedere il futuro o di avere una risposta oracolare si inquadrava alla perfezione nell'ambito della «disciplina etrusca», nella quale - lo sanno tutti - gli Etruschi sono stati sempre maestri ai Romani. Ed infatti ci sono state conservate alcune sortes cleromantiche di metallo, le quali recano incise proprio il nome del dio Suri(15).
MASSIMO PITTAU
1) TLE 586, 587; ed anche nella iscrizione 627 di un cippo sepolcrale; ThLE I, 348, 351.
2) G. L. Martelli, La tomba degli Erenni di Chiusi e dei T. Petroni di Perugia, Perugia, 1925, pag. 12; Id Id, La lingua etrusca e la sua soluzione, Perugia, 1926, pagg. 16, 27.
3) F. Ribezzo, «Riv. Ind. Gr. It.» XII (1928) pag. 84 nota 4, pag. 245 nota 1; XIII (1929) pagg. 61-62; SE, 22 (1952-1953) 106, 126.
4) Cfr. M. Pallottino, SE, 4 (1930) 216; 5 (1931) 287.
5) A. J. Pfiggig, Die Etruskische Sprache, Graz, 1969, pag. 305.
6) SE 39 (1971) 101. Anche Vl. I. Georgiev, La lingua e l'origine degli Etruschi, Roma, 1979, pag. 48, ha ipotizzato un duale.
7) G.- L. Bonfante, Lingua e cultura degli Etruschi, Roma, 1985, pag. 193.
8) Nell'opera di M. Cristofani, Gli Etruschi - una nuova immagine, Firenze, 1984, pagg. 223, 224.
9) M. Pallottino, Etruscologia, VII ediz. rinnovata, Milano, 1984. Purtroppo, per un refuso tipografico, nella pag. 331 il nostro vocabolo appare come usur ir.
10) In latino comunemente al nominativo si diceva sors; ma in Plauto e in Terenzio è documentata anche la forma sortis.
Il lessema surthi, indicato dai TLE e dal ThLE I 296 per il Liber linteus, benda VIII, costituisce una lezione errata; cfr. F. Roncalli, Scrivere etrusco, Milano, 1985, fotografia a pag. 40, rigo 13.
11) G. Devoto, Avviamento alla etimologia italiana - Dizionario Etimologico, Firenze, 1968. Però A. Ernout - A. Meillet, Dictionnaire Étymologique de la Langue Latine, IV édit., IV tirage, Paris, 1985, e l'Oxford Latin Dictionary, Oxford, 1968-1982, sub voce sors, manifestano dubbi.
12) Cfr. M. Pittau, Lessico Etrusco-Latino comparato col Nuragico, Sassari, 1984 (Libreria Dessì, Sassari), pagg. 121, 154.
13) Cfr. M. Pittau, op. cit., pagg. 85, 141, 144, 179.
14) ThLE I 167, 388; W. Schulze, Zur Geschichte Lateinischer Eigennamen (1904) - Mit einer Berichtigungsliste zur Neuausgabe von Olli Salomies, Zürich-Hildesheim, 1991, pagg. 235, 240; M. Pittau, La lingua dei Sardi Nuragici e degli Etruschi, Sassari, 1981, pag. 249.
15) Cfr. R. Staccioli, Il "mistero" della lingua etrusca, Roma, 1977, pag. 25; G. Colonna, SE 39 (1971) 370; A. La Regina - M. Torelli, AC XX (1968) 221-229; A. Maggiani - E. Simon in Gli Etruschi - una nuova immagine cit., pag. 145.
*Studio pubblicato nell'«Archivio Glottologico Italiano», LXXVIII, 2 (1988), pagg. 155-157.