Vede meglio un matto in casa sua

Viet mezus unu maccu in domo sua chi no unu sápiu in domo anzena «Vede meglio un matto in casa sua che un savio in casa altri»; proverbio barbaricino.
In sua sua recentissima opera dedicata alla «linguistica sarda», tanto ampia che c'è di tutto, anzi qualcosa più di tutto, il linguista catalano Eduardo Blasco Ferrer, da qualche anno professore ordinario appunto di Linguistica Sarda nell'Università di Cagliari, ha modo di muovere alcune critiche a certe mie tesi linguistiche ed al mio modo di lavorare. A me queste critiche sembrano del tutto insussitenti, tanto che le accolgo con sorridente noncuranza; non tanto però da non sentirmi in diritto e in dovere di dare le mie seguenti risposte.

1) Comincia il Blasco con l'affermare che «Massimo Pittau ha avuto una formazione prevalentemente filosofica, e soltanto secondariamente linguistica - a Firenze e Pisa -» (pag. 34). Questa affermazione è del tutto falsa, in quanto io prima ho conseguito la laurea in lettere classiche (sostenendo fra gli altri gli esami biennali di italiano, latino, greco e glottologia e poi annuali di filologia classica e di filologia romanza) e soltanto dopo, con un notevole abbuono di esami, ho conseguito la laurea in filosofia. D’altra parte, dato ma non concesso che il possedere anche una laurea in filosofia costituisca un difetto per un linguista, è un fatto che nessuno ha mai scritto per me ciò che un membro della commissione concorsuale ha scritto per lui: «la conoscenza del latino, requisito fondamentale e irrinunciabile per qualsiasi specialista di linguistica romanza, è nel candidato Blasco gravemente lacunosa». Che è troppo per un linguista che insegna una lingua romanza come il sardo….

2) 
Al di là di quello che sembra un rimprovero del Blasco per la mia laurea in filosofia, io invece ne meno vanto, sia perché essa mi ha consentito di mandare avanti numerosi studi di filosofia del linguaggio, tanto che per due miei libri (Il linguaggio - i fondamenti filosofici, Brescia 1957; Filosofia e Linguaggio, Pisa 1962) ho ottenuto la "segnalazione" in due differenti premi nazionali, sia perché i miei studi filosofici mi rendono particolarmente attento ai metodi della ricerca linguistica. Cosa che invece il Blasco non fa, nonostante lo sciorinamento che egli continuamente fa di una vastissima bibliografia, più o meno pertinente con gli argomenti trattati. E in termini di metodologia linguistica generale, mi sento di affermare che il Blasco "legge moltissimo, ma non medita molto".
Inoltre il procedere del discorso linguistico che il Blasco è solito mandare avanti, è quello del solo "descrivere", descrivere il "che" o quia dei fatti linguistici, e quasi mai invece mettersi il problema dello "spiegare", spiegare il loro "perché" o propter quid (come si vede sto facendo precisi riferimenti metodologici secondo la terminologia dei filosofi medioevali). La conseguenza è che la sola "descrizione" dei fatti linguistici mandata avanti dal Blasco spesso si limita a fatti del tutto irrilevanti, spesso del tutto privi di effettiva valenza significativa.
Come logico effetto del suo solo "descrivere" il Blasco non affronta quasi mai il problema dell'origine o della etimologia dei vocaboli, etimologia che per se stessa va appunto dietro al proper quid dei vocaboli stessi. Tanto è vero che non credo che le etimologie esatte proposte dal Blasco superino la ventina. Io invece ne ho proposto un migliaio nei miei libri e soprattutto nel mio Dizionario della Lingua Sarda - fraseologico ed etimologico, voll. I-II, Cagliari 2000, 2003 (vedi relative appendici). Certamente avrò anche sbagliato in certe mie spiegazioni etimologiche, ma la questione è che il profondo valore ed il vero sapore della linguistica è la sua dimensione storica o "diacronica", quella che appunto va alla ricerca del propter quid dei vocaboli, della loro origine, della loro storia. La "spiegazione" storica dei vocaboli di una lingua corrisponde in larghissima misura alla storia generale - politica, civile, culturale, religiosa, etnografica - di un popolo; mentre la sola e semplice loro "descrizione" ci dice molto poco della civiltà di quel popolo.

3) A pag. 37 il Blasco respinge in blocco gli studi, che io ho mandato avanti per tutta la mia carriera di linguista, sui relitti prelatini o protosardi, che si trovano ancora in Sardegna o come appellativi ancora vivi nei nostri dialetti oppure come altrettanti toponimi. Senonché il Blasco commette un macroscopico errore di metodologia
, che non si sopporta neppure nei nostri laureandi: il Blasco non cita mai il mio libro di 230 pagine, intitolato La Lingua Sardiana o dei Protosardi (Cagliari gennaio 2001) e dunque apparso due anni prima del suo (dicembre 2002) e che io gli avevo regalato…! Come dico nella Prefazione «La presente opera costituisce il coronamento finale di miei interessi e studi che ho mandato avanti da più di quarant'anni». Se una tanta e tale trascuratezza di metodologia scientifica la commettesse un nostro laureando, certamente respingeremmo la sua tesi di laurea e lo riinvieremmo, nel migliore dei casi, alla sessione successiva di esami.
Debbo precisare che quel mio libro contiene l'analisi etimologica od almeno comparativa di circa 350 vocaboli che molto probabilmente risalgono al sostrato linguistico prelatino e protosardo. Se il Blasco intendesse affrontarne l'analisi con l'intento di distruggerlo, sappia che egli dovrà condurre distintamente e singolarmante questa operazione per ciascuno dei 350 vocaboli (col che sto ovviamente ammettendo ma non concedendo che egli riesca pure a distruggere qualcuna delle mie analisi).

4) Ma non soltanto il Blasco non legge tutte le opere di un autore che egli critica, ma quando le legge, le legge con trascuratezza e con distrazione. Sempre a pag. 37 egli scrive testualmente «il deficit più serio nella ricerca etimologica di Pittau consiste nel postulare una - del tutto inspiegabile - linea evolutiva diretta che porterebbe dall'etrusco agli esiti sardi dialettali odierni».
Ma io rispondo di non aver mai detto né scritto che la lingua dei Protosardi sia derivata da quella etrusca; io ho sempre detto che la lingua dei Protosardi e quella etrusca sono semplicemente affini, ossia imparentate fra loro, non una derivata dall'altra. Ho parlato di affinità e nient'affatto di derivazione: ma sul piano della metodologia linguistica, come è possibile che un linguista confonda questi due punti di vista?!
In un mio recente intervento nel Convegno Internazionale Sardo-Etrusco, pubblicato nei relativi Atti nel... ho detto testualmente: «Si deve precisare che non costituisce affatto opposizione né difficoltà il fatto che la forma ta del pronome dimostrativo etrusco fosse quella recente, mentre quella arcaica fosse ita; io infatti non sto parlando di pronome dimostrativo nuragico "derivato" da quello etrusco o viceversa, mentre sto parlando solamente di "sviluppo parallelo" del pronome delle due lingue».
Il Blasco definisce "bizzarro" questo mio articolo; ma allora non può non definirsi "bizzarrissimo" il suo articolo, nel quale ha tentato di dimostrare che i vocaboli tilikerta, tilingone, Tilèppere significano «zia lucertola, zio lombrico, zia lepre»...

Massimo Pittau


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