Appellativi Nuragici
di matrice Indoeuropea


Il primo linguista che si è interessato ex professo dei relitti linguistici prelatini della Sardegna è stato lo svizzero Johannes Hubschnid, nelle sue opere Sardische Studien (Bern 1953), Mediterrane Substrate (Bern 1960), Paläosardische Ortsnamen («Atti VII Congresso Int. di Scienze Onomastiche», II, 2ª, pgg. 145-180, Firenze 1963), Thesaurus Praeromanicus, I-II (Bern 1963, 1965). Lo Hubschmid ha concluso i suoi studi sostenendo la appartenenza dei relitti linguistici prelatini della Sardegna al cosiddetto “sostrato mediterraneo”, che sarebbe un insieme di vocaboli appartenenti alla lingua o alle lingue che si parlavano nei paesi attorno al Mediterraneo prima dell’arrivo sulle sponde di questo mare dei popoli “indoeuropei”, cioè dei Greci, dei Latini, degli Italici e dei Celti e degli Slavi.
Dopo lo Hubschmid mi sono interessato a fondo dei relitti prelatini della Sardegna in parecchi miei scritti, in maniera particolare nella mia opera La Lingua Sardiana o dei Protosardi (Cagliari 2001, E. Gasperini Editore) e infine nella mia opera sotto stampa I toponimi della Sardegna – Significato e origine, II (EDES, Editrice Democratica Sarda, Sassari).
Particolarmente in quest’ultima mia opera ho proceduto ad effettuare una importante distinzione: appartengono al “sostrato mediterraneo” non pochi fitonimi o nomi di piante ed essi sono da riportare alla lingua che parlavano i Prenuragici della Sardegna, quelli cioè che, in generale, ci hanno lasciato le tombe chiamate domos de Jana. Invece i vocaboli da riportare alla lingua dei Nuragici, i costruttori dei nuraghi e delle “tombe di gigante”, sono di “matrice indoeuropea”, fanno capo cioè ad una lingua che è “sorella” delle accennate lingue indoeuropee, il greco, il latino, l’italico, il celtico e lo slavo, ecc.
In altri termini, nei relitti linguistici prelatini della Sardegna io distinguo da un lato un “sostrato nuragico indoeuropeo”, dall’altro un “presostrato prenuragico mediterraneo”.
La “dichiarazione indoeuropea” della lingua nuragica trova la sua motivazione storica nella tesi, che io vado sostenendo da circa un trentennio, dell’arrivo dei Nuragici dalla Lidia, regione dell’Asia Minore prospiciente al Mar Egeo, dalla cui capitale Sardis essi hanno derivato sia il loro nome di Sardi o Sardiani sia quello della loro nuova terra Sardó/Sardinia. Ebbene, pure la lingua che parlavano gli antichi Lidi è ritenuta dai linguisti una “lingua indoeuropea”.
Questa mia “dichiarazione indoeuropea” della lingua nuragica – che io ho preso a chiamare anche “sardiana” – è evidentemente un grossa novità, che va contro gli schemi sostenuti da altri linguisti, ma io ritengo di darne una prova effettiva con l’analisi dei seguenti appellativi sardi, anzi protosardi. In proposito preciso che avrei potuto accrescere il loro numero, ma ho preferito fermarmi a quelli per i quali la “matrice indoeuropea” mi sembra che sia abbastanza evidente e certa.
Si noti bene che: 1) Tutti i vocaboli sardi (compresi i toponimi) che siano privi dell'accento grafico sono da pronunziarsi parossitoni o piani; 2) Le segnature (accento), (suffisso), (desinenza), (-ll- conservato), (vocali iterate), (alternanza delle vocali toniche) indicano fenomeni fonetici che erano peculiari della lingua nuragica o sardiana; 3) Per la bibliografia e le relative sigle rimando alla mia citata opera La Lingua Sardiana o dei Protosardi.


attoa, toa, thoa, t(h)oba, thoga, thova, toga, tova, (a)tzoa, sciova
(centr., log. e camp.) «salice, vetrice» (Salix atrocinerea, S. viminalis L.); toponimi Tòvara (Olzai), Sòvana Oliena) (suffissi); relitto sardiano o nuragico, probabilm. da confrontare – non derivare - col greco itéa «salice» (indeur.; GEW, DELG, NPRA) (ONT 139, LISPR).
bárdula/e/u, báldile «zolla di terra con l'erba attaccata», «mucchietto»; párdula «dolce di pasta, formaggio o ricotta e zucchero» (così chiamato per il "mucchietto" di formaggio o di ricotta adoperato); probabilm. relitto sardiano o nuragico, da confrontare – non derivare - col lat. glebula «piccola gleba» (indeur.; DELL, AEI, DELI) (alternanza á/é). Vedi topon. Burdulái (Benetutti).
bodda
«pecora anziana da macellare, pecora deperita o vecchia» (Barbagia, Nùoro, Orani), «femmina di animale ormai senza vitalità» (Gavoi), brodda (Orgosolo) (CVS2 416, VNI 48) (suff. dispregiativo –odd-; cfr. tziodda «donna grossolana»); toponimi Boddói (Benetutti), Boddone (Bitti), Ovodda (villaggio, NU), Ovidda (Oliena), Oviddè (San Teodoro), Ovílo (Pattada), Ovilò (Olbia), Ovolái (Ollolai), Ovóliche (Onanì) (suffissi e accento); probabilm. tutti relitti sardiani o nuragici da confrontare – non derivare - col lat. ovis «pecora», ovile «ovile», aggett. ovillus, e col greco óFis (indeur.) (NPC s. v. Ovodda; DILS; LISPR).
brádinu-a «tenuto a pascolo brado» (detto di bovini od equini) (Mamoiada, Nùoro), bráinu-a «lento-a» (Lodè); bráinu-bráinu «quatto quatto» (Bitti) (suff. -'in-); probabilm. relitto sardiano o nuragico, da confrontare – non derivare - con l'ital. brado (finora di origine ignota DELI) e col greco bradynein «tardare», bradys «lento» (indeur.; GEW, DELG) (LISPR).
cacarru, caccarru-a «screziato, chiazzato, macchiato-a» (detto di animali); cacabarre (Nùoro), cacavarru-a (Orgosolo), cáccaru, caccáru-a «(ovino) screziato, macchiettato-a»; cáccara «pecora bianca con macchie nere» (Sarrabus); cancarru oppure tilipíske cacarru «cavalletta verde» (suff. -rr-); relitto sardiano o nuragico, probabilm. da confrontare – non derivare - col lat. cacare (indeur.; DELL).
calambusa «rametto di ciliegio coi frutti» (Osini), probabilm. relitto sardiano o nuragico [suff. egeo-anatolico -ús(s)a], forse da confrontare – non derivare - col greco kaláme «canna, stelo» (indeur.).
cirumáulu «cerambice, cervo volante» (Triei), tzilimbrínu «cerambice» (gallur.; VDG, VTI), probabilm. relitto sardiano o nuragico, da confrontare – non derivare - col greco kerámbyx,-ykos, kerámbelon «cerambice» (indeur.; GEW, DELG).
crispesu «frullino di canna o di legno a tre punte» (camp. rust. e barb.); grispasu, ghisparru (Nùoro), grispisu (Dorgali), gruspisi (Orgosolo) «attizzatoio del fuoco»; gruspisu «proiettile di legno», gruspisare «battere con un legno a punta» (log.); crispisone, crespisone «individuo rozzo» (Austis); rispisu, respisu, rispisone, respisone «fascio di spine, groviglio di sterpi o rovi»; cogn. mediev. Crispache (CSNT 286); tutti relitti sardiani o nuragici (suffissi -rr-, -isone, -ache), da confrontare – non derivare - col lat. crispus «mosso, agitato, crespo, ricciuto» (indeur.; DELL, AEI, DELI). Invece il (neo)sardo crispu «mosso, agitato, vivace, accelerato, crespo, ricciuto, irsuto, ispido, spinoso» può senz'altro derivare dal lat. crispus (DES I 405). Dunque esisteva già in Sardegna, nella lingua nuragica, una radice *crisp-, *grisp- «mosso», prima che vi arrivasse il lat. crispus. (LELN 117, OPSE 213).
cumbessía, cumbissía, qumbissía, cummissía «dormitorio» (log., centr. e barb.) (suff. -iss-) relitto sardiano o nuragico, da confrontare – non derivare - coi lat. cubare, -cumbere «giacere, distendersi, coricarsi, dormire» (indeur.; DELL, AEI). Le cumbessías sono stanzette, logge e casupole costruite a ridosso e attorno alle chiese per accogliere durante la notte i fedeli in occasione delle feste religiose; si trovavano pure nei santuari nuragici e servivano anche per il rito della "incubazione" (si noti il vocabolo). La spiegazione di cumbessía come «casa dei conversi medioevali» è da respingersi con decisione (OPSE 83, 117, LISPR; LCS II 77-81).
duri, uduri (centr.) «fusto d'albero, coi rami appositam. accorciati perché serva come appenditoio negli ovili»; relitto sardiano o nuragico, forse da confrontare – non derivare - col greco dourós, dorós, dóry «albero, fusto d'albero (ancora in piedi)» (indeur.; GEW, DELG, CDEG).
élimu/a, èlamu, èlema/e, éluma, èlma
, èramu, (Lodè, Posada) sèlema «àlimo» (Atriplex halimus L.), relitto sardiano o nuragico, da confrontare – non derivare - col greco hálimos (indeur.).
fraría, frarissa
«pezzetti di carbone infuocati che schizzano dal fuoco assieme con la cenere» (sing. collett.); su frari-frari, fari-fari, fáiri-fáiri, vari-vari «la cinigia o cenere viva o infuocata»; siccome la derivazione prospettata dal lat. flagrare «ardere» (indeur.) dà luogo a grandi difficoltà fonetiche (DES I 541), è meglio pensare, anche in virtù del accento -ía e del suff. -issa, che si tratti di un relitto sardiano o nuragico, di matrice indeur., semplicemente affine al cit. verbo latino.
garuléu, galuréu, galiléu (centr.), meleréu (Orgosolo), mele leu, léu (log.) «pòlline dei fiori, pòlline depositato nel miele» (di colore "giallo oro"), probabilm. relitto sardiano o nuragico, da confrontare – non derivare - con la glossa greco-etrusca garouleou «crisantemo (selvatico)» (anch’esso giallo) (DETR 93) e forse anche col greco chlorós «giallo» (indeur.). Toponimi: Garalè (Sorgono), su Carule (Fonni), Garula/e (Ottana) (OPSE 211, LISPR). Vedi ghirielle.
ghèlia (Oliena) «celia, burla, scherzo», (Bonorva) èlia «gioia, consolazione», (Nùoro) ghelèa «brutta faccenda», (log.) belèa «allegria in festa, brutta azione, brutto tiro, vergogna»; facher a ghelèa «ridurre a beffa», esser a belèa 'e tottus «essere lo zimbello di tutti»; probabilm. relitto sardiano o nuragico, da confrontare – non derivare - col tosc. celia «burla, scherzo» (finora di origine incerta; DEI, GDLI) e col greco gelãn «ridere, deridere» (indeur., DELG) (LISPR). Vedi topon. Gheleái (Siniscola).
ghilighía, (gh)iddighía, chilighía, qiliqía, cilixía, cixía, (b)iddía, diddía, tiddía «brina, gelata», «ghiaccio, gelo» e anche «malattia molesta, malanno, rogna» (centr., log. e camp.); taddáine (Dorgali), thaddághine (Oliena) «fiocchi di neve» (collett.), taddainare «nevicare» (Dorgali); Gilligia (antrp., CSPS 35); relitti sardiani o nuragici da confrontare – non derivare - col lat. gelicidium, che è di origine incerta, ma comunque indeur. (DELL s. v. gelu).
ghirielle
, chirielle, chinièlle(re), crielle, crialléi, cacarallái «crisantemo selvatico» (margherita di colore giallo) (Chrysanthemum coronarium, segetum) e «macerone» (Smyrnium olusatrum); cicirillói «camomilla» (San Vito); garuléu, galuréu, galiléu, meleréu, léu «pòlline dei fiori, pòlline depositato nel miele» (di colore "giallo oro") (Orune, Lollove, Oliena, Nùoro); topon. Carallái (Sorradile); tutti relitti sardiani o nuragici da confrontare – non derivare - con la glossa greco-etrusca garouleou «crisantemo (selvatico)» (anch’esso giallo) (DETR 93) e forse anche col greco chlorós «giallo» (indeur.; GEW, DELG). Vedi garuléu.
golléi, (g)olléi, gul(l)éi «colle, piccolo altipiano»; toponimi Gollè, sos Gollèos (Lodè), Golléi e Monte Uddè (Oliena), Golléi Muru (Galtellì), Golléi Lupu (Loculi), Sa Costa de Golléi (Onifai), Petzu de Gollei (Oristano), (G)ollói e Ollái (Dorgali); Gollái o Gullái, su Golleéddu (Orosei), Gul(l)éi (Lula), su Goléu (Nuoro), Collèo (S. Andrea Frius), Bruncu Bullèo (Goni) (NLS XXX) (accento); relitto sardiano o nuragico, da confrontare – non derivare - col lat. collis «colle, collina, altura» (indeur.; DELL, DELI).
lácuna, lácona, lahoneddu «truogolo»; laccone «pozzanghera», laccúna (NLS 507), lacconedda «acquitrino», laccuína «pozza d'acqua», láhana «pozza d'acqua piovana formatasi su una roccia»; láccana, láccara «fossato di confine, confine, segno di confine»; [(gallur.) laccúna «trogolo» e «fossa d'acqua morta» (VDG, VTI)]; toponimi Láconi (villaggio; NPC), Laconéi (Tonara), Loconiái (Sarule), Laconitzi (Villagrande Str.) (suffissi e accento), Laccúnas (Sedilo); relitto sardiano o nuragico, da confrontare coi lat. lacus «lago», lacuna «cavità, fossa, pozza d'acqua», gentilizio Laconius e inoltre col greco lákkos «fossa, pozzo, cisterna, serbatoio, stagno» (indeur. GEW, DELG).
lattaredda «lattaiola» e «latticrèpolo» (Chondrilla iuncea L., Reichardia picroides L.); laturna, latturra, lattorredda «piccolo ascesso con pus»; lattarola «radice capillare degli alberi»; lattucca, lattuqa, láttua, láttia «lattuga»; lattóricu, lattórigu, lattúriche, lattúriqu, lattúrighe,-u «caracia, euforbia» (Euphorbia characias, E. cupanii) (suff. -rn- > -rr- e alternanza ó/ú); toponimi Lattaragoro (Urzulei), Lattarasiddu (Sorgono), Láttari (Alà, Bultei), Lattarra (Irgoli), Lattarréi (Benetutti), Lattarusi (Laconi), Latturrè (Orgosolo) (suffissi e accento); probabilm. tutti relitti sardiani o nuragici da confrontare - non derivare - col lat. lac, lactis «latte» (indeur.). La derivazione, sostenuta dai DES II 15 e NPS 170, dei vocaboli sardi da quello latino sembra da respingersi sia per notevoli difficoltà fonetiche sia per l'esistenza dei cit. toponimi. È dunque verosimile che in Sardegna, nella lingua sardiana o nuragica, esistesse una radice *lact- «latte» già prima che ve la portassero i Romani (LISPR).
launire, lugunire, ligunire, logunire «passare delle uova allo stato di embrione»; ou launíu, obu luguníu, legrunitu «uovo fecondato o gallato», (Mamoiada, Siniscola) «uovo andato male, non dischiuso»; (Ollolai) golonire «marcire delle uova»; (log.) illaunire «svigorire, indebolire, scomporre»; (Nùoro) ocros luguníos «occhi velati dal sonno incipiente, occhi languidi»; probabilm. relitto sardiano da confrontare col lat. languere (indeur.; DELL, DELI). La forma launire presuppone una base *lagunire.
lingrone «individuo magro, allampanato» (Uri); tilingrone, thilingrone, thulungrone, thulunc(r)one, thuruncrone, (at)tilingione, atteringone, attalingone, attulíngia, tilíngia, tziringu, tziringone, tziling(r)u, tzilingone, tziaringôi, tzirringò(n)i, sitziringò(n)i, tzerrigu,-a, tzirriga, tzarriga, thirriqa, thorroígu, tzorroígu «lombrico», «verme intestinale del cavallo», «verme della carne putrida» (log. e camp.) (suff. -on-; varianti retroformate); relitto sardiano o nuragico, da confrontare – non derivare - col lat. lumbricus «lombrico» (di origine ignota; LEW, DEI, DELI) e inoltre col celtico gallese llyngyr «vermi intestinali» (indeur.). Il nostro appell. è anche caratterizzato dall'artic. determinativo nuragico agglutinato ti/tu/te/ta, thi/thu/the/tha, tzi/tzu/tze/tza (DILS, LISPR).
lippu, lipponi «strato limoso dell'acqua stagnante», «alghe filamentose già in principio di putrefazione» (camp.; suff. –on-), probabilm. relitto sardiano o nuragico, da confrontare – non derivare - con l'ital. merid. lippu «materia verde e melmosa delle acque stagnanti», lippo «belletta, limo» e col lat. lippus «cisposo» (indeur.; DILL). Cfr. topon. Lippotto (Bolotana).
logoddana, logodda «mucillagine che galleggia sull'acqua stagnante» (Ollolai); logoddane «lisca del lino» (Gavoi); toponimi sa Untana Logoddanosa (Ollolai), Logoddi (Ovodda); relitto sardiano o nuragico (suff.), da confrontare – non derivare - col lat. mucilago, mucellago,-inis (indeur.). In un originario ollolaese *múqellághine la parte iniziale sarà caduta per la sua ovvia connessione con muqu «muco, moccio» e anche perché fornita di un accento secondario. La variante logodda è una retroformazione.
marthaddu, martaddu «ricotta» (Orotelli), aggett. «molle, scotto» (Orune), relitto sardiano o nuragico (suff.), probabilm. da confrontare – non derivare – col greco máltha «malta, impasto», malthakós «molle» (di matrice indeur.; DELI s. v. malta).
meccáriu (o meccaríu?) «succo od estratto di papavero, narcotico» (log.; DitzLcs, DSIL), probabilm. relitto sardiano o nuragico, da confrontare – non derivare - col greco mékon,-onos «papavero» (indeur.).
melamida, meramida, mermida, meqamida, melemida, malamida, marmida, meomida, mimirha «convolvolo, vilucchio», «vite bianca» (Convolvulus arvensis L., Bryonia dioica); relitto sardiano o nuragico, da confrontare – non derivare - col greco klematís,-ídos (accus. klematída) «sarmento», «clematide» (Convolvulus arvensis L.; LBG, NPRA) (indeur.; GEW, DELG).
meulla, méurra, meúrra, miúrra, maúrra «merlo» (camp.), relitto sardiano o nuragico (-ll- conservato e suff.), da connettere con mérula «merlo» (vedi) [che invece deriva dal seg. vocabolo latino] e da confrontare – non derivare – col lat. meru˘la che probabilm. è di origine indeur. (DELL, DELI).
muntone/i «mucchio, cumulo» (log. e camp.) (suff. -on-); montera «montagna», da monte/i «monte»; toponimi Montalè (Sassari), Montari (San Basilio), Monterra (ant. nome del villaggio di Santu Lussurgiu, denominato ancora così a Scano M.), Montèssa (Bitti), Montéssu (Santadi), Montiqinele (Oliena), Montorrò (Sedilo), Montresta (da *Montestra; villaggio), Montrigori (Bono), Muntanuddu (Isili), Muntorrói (Ovodda) (suffissi e accento); probabilm. relitto sardiano o nuragico, da confrontare – non derivare - col lat. mons,-ntis, munt(e) (CIL V 1469) «monte, montagna» (indeur.; DELL, AEI, DELI) (alternanza ó/ú). Invece i sardi monte «sasso, roccione, monte», montángia «montagna», monticru e monticheddu «monticello» possono senz'altro derivare dal latino, per cui è probabile che il vocabolo esistesse già in Sardegna, nella lingua nuragica, prima che ve lo portassero i Romani (LISPR).
népide, nébide, nébida, nébidi «nebbia» (Barbagia e Sardegna merid.); relitto sardiano o nuragico, da confrontare – non derivare - col greco néphos «nebbia» (indeur.) (LISPR).
obilu
, obbilu, obibi, obiru, ubbiru «chiodo di legno, cavicchio, chiavarda», relitto sardiano o nuragico, da confrontare – non drivare - col greco da obelós «spiedo» (indeur.) (nei tempi antichi gli spiedi erano quasi sempre di legno, data la loro facile disponibilità e fabbricazione). Le varianti obiru, ubbiru si probabilm. sono fuse col sinonimo piru «chiodo di legno, cavicchio, piuolo» (corrige DILS).
orroli, orrori, orròele, orròali, arròali, arròele, arròili, arròi, orròi «rovere», «roverella» (Quercus robur, Q. coccifera L.; Q. pubescens Willd.) (camp. e barb.); topon. su Dorrole (Galtellì); relitto sardiano o nuragico, da confrontare – non derivare - col lat. robur,-oris «rovere» (indeur.). Sono troppo grandi le differenze fonetiche tra la forma del fitonimo sardo rispetto a quello latino per poter accettare la tesi di una derivazione del primo dal secondo. Dal fitonimo lat. invece è regolarm. derivato il sardo róvulu «rovere». È dunque evidente che il fitonimo esisteva già in Sardegna, nella lingua sardiana o nuragica, prima che ve lo portassero i Romani (OPSE 93, LISPR).
ossassi «betonica glutinosa, stachide» (Stachys glutinosa); topon. Ussassái (villaggio); relitto sardiano o nuragico, probabilm. da confrontare – non derivare - col greco stáchys «spiga» e «stachide» (indeur.; GEW, DELG, NPRA). Per il fitonimo sardo sarebbe da supporre un passaggio fonetico *istáchi > *ustácsi > *ussássi > ossássi (OPSE 106, LISPR).
rampu, rambu, arrampu «ramo, tronco d'albero», «ceppo, genia, stirpe, parentela»; (ar)rampíle, arrampíu «stirpe»; arrampa(na)re «riconoscere la stirpe o genia di un individuo»; probabilm. relitto sardiano o nuragico, da confrontare – non derivare - col viterb. rampazzo «ramificazione secondaria del grappolo composto», amiat. rampazzo «ramo contorto», rampàzzolo «raspo d'uva» ed inoltre col lat. ramus «ramo» (indeur.; DELL, DELI). Per motivi fonetici la derivazione dei vocaboli sardi citati da quello latino è estremam. improbabile.
saurra «umidità della notte, brina, rugiada» (log.), toponimi Saurrecci (Guspini), Zaurrái (Isili), Aurracci (Ussassai), Urracci (Guspini) (suffissi e accento); relitto sardiano o nuragico, probabilm. da confrontare – non derivare - con una metatasi, coi lat. ros, roris, lituano rasà, ant. slavo rosa, vedico rasá «rugiada» e col sanscrito rásah «umidità» (DELL) e quindi indeur. (corrige DILS, LISPR).
sicherru, secherru-a «scarso-a, appena sufficiente», «schietto, (individuo) tutto d'un pezzo» (Nùoro; VNI, BNI); (Orgosolo) siqorrare «insecchire, rinsecchire», (Dorgali) sihirronare «seccare, avvizzire», (camp.) assicorrái, (a)tzicorrái «risecchire, diventare riarso»; sichizone (Nùoro), thiqizone (Orgosolo) «polpa avvizzita di una mandorla», (Nùoro) assichizonare «avvizzire» (della frutta) (suffissi -rr-, -zòne); fiume dell'Iglesiente Cixerri (Cixérru, Xixérru, Sigérru; VSG) (ant. Sigerri, CV XV 5, anno 1216; CDE 1062 anno 1684; Sikerri, AStSa XV, 217, anno 1218); fiume dell'Oristanese Sitzerri (è molto probabile che i due fiumi derivassero la loro denominazione dal carattere torrentizio, ossia dal loro frequente disseccarsi a causa della siccità); relitto sardiano o nuragico da confrontare – non derivare - col tosc. segrenna «persona magra, emaciata e sparuta» [di origini ignota (DEI, GDLI) ma col suff. etr. -enn-] e inoltre col lat. siccus «secco» (indeur.; DELL, DELI). È da precisare che l'aggett. latino ha dato in sardo siccu, con la velare sempre forte o lunga (DES II 415), mentre in sicherru è debole o breve.
simu «canapicchia» (Helichrysum Italicum) e «crespolina» (Santolina Chamaecyparissus L.) (piante fortem. aromatiche) (Aritzo); toponimi Simieri (Senorbì), Simis (Scanu M.), Simisi (San Sperate); probabilm. relitto sardiano o nuragico, da confrontare – non derivare - col greco thymon «timo» (indeur.; DELG). La derivazione, sostenuta in NPS 111, 113, del fitonimo sardo dal bizantino è estremam. improbabile sia perché si tratta appunto di un fitonimo, sia perché sarebbe inverosimile che questo fosse arrivato fino ad Aritzo, in piena Barbagia.
sorgonare «tracannare», sorgonáda «lunga sorsata» (Dorgali); toponimi Sòrgono (villaggio), Sòrgono o Sòrganu (Nùoro), su Sòrgono o Sòrganu (Orgosolo; probabilm. lo stesso che il precedente), Sorghiddái (Olzai), Sorghíne (Fonni), Sorghío (Borore), Sorgolítha (Dorgali/Orune), Sorgora (sorgente; Villagrande Str.), Sorgoristi (Gairo), Sorgosío (Ottana), Sorgótzi (fonte; Dualchi), Surganu (Urzulei) (suffissi e accento); probabilm. tutti vocaboli sardiani o nuragici, da confrontare – non derivare - col lat. sorbere «sorbire, assorbire, inghiottire» (indeur.). Se ne deduce che probabilm. su sòrgono significa «l'abbeveratoio» (ONT 133, NPC s.v. Sorgono, LISPR).
ta-, te-, ti-, tu-; tha-, the-, thi-, thu-; tza-, tze-, tzi-, tzu- prefisso corrispondente a un originario articolo determinativo sardiano o nuragico, il quale in seguito è stato agglutinato e talvolta è stato confuso con l'altro neolatino e neosardo su, sa «il, lo, la» (< lat. ipsu-a); è affine geneticam. agli articoli greco to, tedesco der, die, das, inglese the, ecc. (indeur.) e inoltre al pronome dimostrativo etrusco ta «questo». Vedi nichele, taniqele «(il) coso»; lirtzis, thulurthis «biscia d'acqua»; tattaruledda «geco» (< lat. *tarantula; DILS); thilicuccu «gòngilo»; tilingrone «lombrico»; t(h)únniu, tuntunnu «fungo»; t(h)urru, tuttúrrihe «rivolo d'acqua»; toponimi Tilèppere (lèppere «lepre») (Mara e Pozzomaggiore), Tivuddari (búddaru, budduri, biddúri «cicuta») (Scano M.). Vedi ancora álinu «alno» e topon. Tálinos (Orani); lat. cinus,-eris «cenere» (> sardo cinus) e chinisa, thighinisa «cenere incandescente»; lat. lacerta «lucertola» sardo thalaqerta, thilicherta «lucertola» (OPSE 197; LISPR; LCS II 3).
tevele, teèle, tele «terreno che è stato sottoposto al debbio» (cioè messo a fuoco, per incenerire i cespugli e gli sterpi) (centr. e barb.); toponimi Telis (Barì), Teléi (Buddusò), Teliséri (Tonara) (suffissi e accento); relitto sardiano o nuragico, da confrontare – non derivare - col tosc. débbio (ant. debblo) «operazione e anche terreno che ha subìto il debbio» (finora di origine incerta e probabilm. derivato dalla radice indeur. *dheugh- «bruciare») (OPSE 230, LISPR).
tumu, tumbu «timo» (Thymus vulgaris L.) e «santoreggia» (Satureja hortensis L.), probabilm. relitto sardiano o nuragico, da confrontare – non derivare - col lat. thymus, timus, tumus e col greco thymon (indeur.; DELG). Vedi toponimi Tumbói (Nùoro, Villaurbana), Sumboe (Ghilarza); cfr. simu.
túrgalu, thúrgalu, dúrgalu «trògolo scavato in un tronco», «canale,-one; spaccatura nel suolo; solco scavato sul terreno dall'acqua piovana; rigagnolo temporaneo; scroscio d'acqua, acquazzone; corrente d'aria»; (Ollolai) thurgále «pantano, luogo acquitrinoso»; (Oliena) trúbulu «rigagnolo temporaneo»; (Mamoiada) troccale «gettito d'acqua»; trógliu, trólliu, drógliu «trògolo, vasca», «fosso attiguo ad una fonte per raccoglierne l'acqua con cui annacquare», «sorgente, polla d'acqua»; toponimi Dorgali (propriam. Durgále; Comune di D.), Durgali (fontana; Benetutti/Orune), ríu Dorgone (Urzulei), Durghililèo (Nùoro), Durgulavò (Urzulei), Drugali (Sinnai), Drugalis (Nurri), Trucullè (Ilbono), Truculu (Osini), Truquthula (Mamoiada), Bacu Trungalu (Baunei), Baccu Trugalliu (San Vito), Tulgaru (Villanova M.), Dorgolithonno (= Dorgoli ‘e thonno?) (Sarule), Trolèi (Talana), Trollòi (Baressa) (suffissi e accento); tutti relitti sardiani o nuragici, da confrontare – non derivare - col longobardo trog (tedesco mod. Trog «trogolo») (DILS, LISPR).
úlumu, úlimu, úllimu, úqimu, úmu(lu), úmbu(lu), lúmu, ólimu,-o, òlamu, ólumu, olúmmu, orúmu
«olmo» (Ulmus campestris L.) (pansardo); toponimi Ulumene, Olomene (Ozieri/Pattada), s'Ólimo o s'Òlomo (Sindia), s'Olomèa (Ussana) (alternanza ú/ó, suff. -ène e accento -èa); probabilm. relitto sardiano o nuragico, da confrontare – non derivare - col lat. ulmus «olmo» (da indeur. *elem-; NPRA). La derivazione, sostenuta dai REW 9036, DES II 558, NPS 428, del fitonimo sardo da quello latino è molto meno verosimile, perché il lat. ulmus avrebbe dato in sardo ulmu ed urmu, varianti che di fatto esistono e sono dunque, esse sole, neolatine e neosarde; e soprattutto la vocale tonica lat. /u/ non si sarebbe trasformata nel sardo /o/. È dunque assai probabile che il fitonimo esistesse già in Sardegna, nella lingua nuragica, prima che ve lo portassero i Romani (LISPR). È molto significativo che a Sindia coesistano ólimo, òlomo, úlimu, úmulu.
tzodda
(Nùoro), ciodda (Desulo) «avanzo dell'aia», «materiale frollo», «cuoio fermentato», «pasta frolla», (Dorgali, Orgosolo) «materiale inzuppato» e «sbronza», (camp. rust.) «sbronza»; thoza, thòggia, thotha, (at)toza (centr. e log.), tzolla, solla (camp.) «forfora, sporcizia della testa»; (Dorgali) thoza anche «parte legnosa della canapa»; (log.) (at)toza «pezzo di cuoio»; (camp. rust.) solla de póddini «bruscolo di crusca» [cfr. lat. furfur «forfora» e «crusca»]; (Villasalto) solla «fiocco di neve»; (Cagliari) tzuaddina «sbronza»; cognomi Todde, Sodde, (mediev., CSNT 225) Çolla; toponimi Soddaggi (Ulassai), Sodde (Fonni), Soddi (Tramatza), Soddí (Comune di S.), Solle (Bitti/Osidda), Solloái (Villagrande Str.), Solluli (Baunei), Scala de Todde (Sennori), Toddeitto e Toddoschi (Dorgali), Toddòttana (Nùoro), Toddule (Bultei), Toddunele o Tuddunele (Bitti), Tzoddis (Narbolia), Tzòddoro (Silanus) (suffissi e accento); relitti sardiani o nuragici, da confrontare – non derivare - con l'ital. zolla «pezzo compatto di terra», elbano e còrso sett. tolla «zolla di terra», «pallottola di neve o di farina», «pezzo di zucchero» e inoltre con l'alto tedesco medio zolle «massa compatta di sterco o di ghiaccio» (PELI, AEI, DELI).

Massimo Pittau

*Articolo di prossima pubblicazione nella rivista «Quaderni Bolotanesi» dell’anno 2009.


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