MASSIMO PITTAU
professore emerito dell'Università di Sassari

GRAMMATICA
DEL
SARDO ILLUSTRE



CARLO DELFINO EDITORE
Sassari 2005




PREMESSA

Il "Sardo Illustre"

1. In Sardegna durante il Medioevo il distacco dalla lingua allora ufficiale, della Chiesa, della scuola e della cultura, che era il latino medioevale, avvenne in maniera molto precoce e prima che in qualsiasi altra parte dell'Europa. Ciò avvenne per due motivi di forte rilevanza storica: da una parte l'isolamento geografico della Sardegna e precisamente l'essere un'isola abbastanza lontana dalle altre terre, dall'altra lo stretto e pressante assedio cui essa fu sottoposta per lungo tempo dalle contine e feroci incursioni dei Saraceni. Perduto pertanto quasi ogni contatto con la lingua latina, fu giocoforza per i Sardi di ricorrere, anche nei documenti scritti, all'uso della loro lingua nazionale, che era la lingua sarda, quella che era nata nell'isola per effetto della lunga dominazione dei Romani, che era durata circa otto secoli.
Ed infatti in nessun'altra parte dell'antico Impero romano o del mondo neolatino o romanzo appare, subito dopo il Mille, l'uso in documenti scritti di una lingua neolatina adoperata in maniera così ampia e quasi totale come è avvenuto in Sardegna con la lingua sarda. E in conseguenza nessun'altra lingua neolatina può vantarsi di possedere documenti tanto vasti ed insieme tanto antichi quanto lo sono i condaghes sardi, i quali sono registri di conventi che risalgono - i più antichi - ai secoli XI e XIII d. C.

2. Siccome la lingua sarda dei condaghes è una lingua scritta, è evidente ed ovvio che essa è stata sottoposta dagli amanuensi ai criteri di precisione, distinzione, abbreviazione, sintesi, ecc., ai quali vengono sottoposte tutte le lingue quando passano dallo stadio del parlato a quello dello scritto. È certo che nei condaghi esistono pure ampi brani di "lingua parlata", soprattutto quelli che riferiscono le parole testuali di individui che fanno la parte di testimoni, ma in generale tutto il restante della lingua dei condaghi è lingua sarda scritta. Ed è pure evidente che si tratta di una lingua sarda che si può definire sardo protocollare, per il fatto di essere sempre adoperata in documenti aventi un carattere più o meno ufficiale.
Questo sardo protocollare lo ritroviamo pure nello Statuto del Comune di Sassari (1316) ed in quello - ora frammentario - del Comune di Castelgenovese (attuale Castelsardo), nel codice di leggi detto Carta de Logu della giudicessa Eleonora d'Arborea ed inoltre negli atti dei Sinodi Episcopali, dei quali sono particolarmente interessanti quelli del sinodo di Ottana del 1475.
Carattere storico-narrativo ha invece la lingua sarda scritta che è adoperata nel cosiddetto Libellus Judicum Turritanorum, breve opera storica di autore anonimo, che risale al secolo XIII.
Come è avvenuto per tutte le altre lingue neolatine e come ha teorizzato Giambattista Vico, anche la lingua sarda scritta sarà stata adoperata molto per tempo pure come lingua della poesia. Ci mancano però i documenti antichi e dobbiamo attendere l'anno 1557 per vedere comparire un "ingenuo e rozzo poemetto" del sassarese Antonio Cano, intitolato Sa vitta e sa morte et passione de sanctu Gavinu, Prothu e Januariu, composto però circa un secolo prima.
Un analogo poema compose il sassarese Girolamo Araolla, Sa vida, su martiriu, et morte dessos gloriosos martires Gavinu, Brothu, et Gianuari, pubblicato nel 1582, ed inoltre una sua raccolta intitolata Rimas spirituales, contenente poesie in lingua sarda ed altre in lingua italiana e in lingua spagnola.
Quella adoperata dal Cano e dall'Araolla si presenta e si caratterizza ormai come lingua sarda letteraria, anche se risulta infarcita di catalanismi, ispanismi, italianismi e soprattutto di latinismi. Per questi ultimi è appena il caso di ricordare che tutte le prime manifestazioni letterarie delle lingue neolatine hanno pagato un grosso tributo di sudditanza alla lingua latina (si pensi anche alla lingua della Divina Commedia di Dante); e questo perché in quei secoli dappertutto in Europa la cultura, l'alta cultura era ancora cultura latina espressa appunto in lingua latina. In proposito c'è da ricordare che in effetti le prime espressioni letterarie delle lingue neolatine venivano ritenute e giudicate quasi come un "sottoprodotto" della ancora imperante letteratura latina, quella antica classica e quella nuova recente.
È molto notevole il fatto che Gerolamo Araolla si sia prefisso esplicitamente il compito di magnificare et arrichire sa limba nostra sarda, nella stessa maniera in cui i poeti italiani e spagnoli avevano fatto con la loro rispettiva lingua. E questo dimostra chiaramente che la "questione della lingua sarda" era ormai posta in maniera chiara ed esplicita.
Il problema risulta ripreso dal sacerdote orgolese Gian Matteo Garipa nel secolo XVII e dal gesuita ozierese Matteo Madau (1723-1800 circa), i quali si prefissero di mettere in evidenza la nobiltà della lingua sarda, come quella che conserva più evidenti e più stretti i suoi rapporti con la lingua latina.
Sono, queste, considerazioni che furono riprese nell'Ottocento dal canonico, professore e senatore Giovanni Spano(1803-1878) di Ploaghe, autore sia della Ortografia Sarda Nazionale ossia Grammatica della lingua logudorese paragonata all'italiana, volumi I-II (Cagliari, 1840), sia del Vocabolario Sardo-Italiano e Italiano-Sardo, Cagliari, 1851-1852).
Le due opere dello Spano, ma soprattutto la prima, sono viziate da notevoli errori di impostazione. Sia sufficiente accennare alla scelta di una ortografia latineggiante, factu «fatto», gratia «grazia», homine «uomo», nepta «nipote», promptu «pronto», ecc. È chiaro che con questa sua precisa scelta grafica il pur benemerito canonico mirasse anche a dare lustro alla lingua sarda, mostrando ai Sardi ed ai forestieri la sua ancora stretta aderenza alla madrelingua latina. Senonché egli non si accorse che, così operando, da una parte sottoponeva ad una notevole e non necessaria forzatura storica la lingua sarda, paludandola quasi della toga di Cicerone e di Cesare, dall'altra rendeva più difficile l'apprendimento e l'uso di una scrittura da parte dei Sardo-parlanti, dei quali ovviamente soltanto pochissimi conoscevano il latino e la sua scrittura. Non lo si può negare: la grafia latineggiante scelta dallo Spano fu un suo grave errore, il quale finì col ritardare parecchio la nascita di una grafia propriamente sarda, ossia di una grafia che, pur restando ovviamente nell'ambito della tradizione grafica del latino, risultasse più adatta e più funzionale per un uso pratico e moderno di una nuova e differente lingua divenuta ormai adulta ed autonoma rispetto alla sua madrelingua.
Ciononostante le due opere dello Spano sono di straordinaria importanza, in quanto aprirono in Sardegna la discussione sul "problema della lingua sarda", quella che avrebbe dovuto essere la lingua unificata ed unificante, che si sarebbe dovuta imporre in tutta l'Isola sulle particolarità dei singoli dialetti e suddialetti, la lingua della Nazione Sarda, con la quale la Sardegna intendeva inserirsi tra le altre Nazioni europee, quelle che nell'Ottocento avevano già raggiunto o stavano per raggiungere la loro attuazione politica e culturale, compresa la Nazione Italiana.
E proprio sulla falsariga della Nazione Italiana, che nell'Ottocento promosse il processo di unificazione linguistica, elevando il dialetto fiorentino e toscano al ruolo di «lingua nazionale», chiamandolo «italiano illustre», anche in Sardegna la auspicata «lingua nazionale sarda» fu denominata «sardo illustre».
Pertanto si deve precisare che per «sardo illustre» gli intelletuali sardi dell'Ottocento vollero intendere ed intesero «la lingua protocollare dei medioevali documenti sardi», quella dei primi tentativi letterari di Cano, Araolla, Garipa e Madau, quella ampiamente adoperata da una ormai ricca serie di poeti dei secoli Settecento ed Ottocento.
Di questi poeti ricordiamo Pietro Pisurzi (1707-1796), di Bantine, autore di favole pastorali; Giampietro Cubeddu, "padre Luca" (1749-1829), di Pattada, autore di componimenti di modalità arcadiche; Francesco Ignazio Mannu (1758-1839), di Ozieri, autore del famoso inno Su patriottu sardu a sos feudatarios; Raimondo Congiu (1762-1813), di Oliena, autore del Su triunfu de Sardigna, composto in occasione della confitta che i Francesi riportarono in Sardegna nel 1792-93; Merzioro Dore (1770-1851), di Bitti, autore del poema in ottave Sa Gerusalemme Vittoriosa; Bachisio Sulis (1795-1838), di Aritzo, autore di componimenti ispirati ai casi dolorosi della sua vita; Diego Mele (1797-1861), di Bitti, autore di componimenti ispirati a fine ironia; Melchiorre Murenu (1803-1854), di Macomer, autore di canti intrisi di forte satira; Pauliccu Mossa (1818-1901, di Bonorva, poeta che si alternò fra la Arcadia ed il Romanticismo; Peppino Mereu (1872-1901), di Tonara, autore di componimenti ondeggianti tra il riso e la malinconia.
Nel Novecento i poeti sardi che adoperarono il sardo illustre per comporre le loro poesie sono diventati numerosi, ad iniziare da Antioco Casula (1878-1957), di Desulo, più noto come Montanaru, creatore di una poesia assai varia di contenuti e di forme metriche (Boghes de Barbagia, Cagliari 1904; Cantigos d'Ennargentu, Cagliari 1922; Sos cantos de sa solitudine, Cagliari 1938); Salvatore Cabras, di Orosei, autore di particolare efficacia espressiva ("Su Gologone", Cantos de Barbagia, Biella 1933); Ausonio Spano (Sos cantigos de su 'ezzu, Sassari 1933); Giovanni Antonio Cossu (Fiores siccos e sazos fioridos, Sassari, 1930). «Tutti questi poeti - ha scritto Max Leopold Wagner, La Lingua sarda, storia spirito e forma, Nùoro 1997, pag. 89 - trovano accenti personali, si ispirano alle bellezze rustiche del loro paese e rifuggono dagli artifici, dalle allegorie e dalle zeppe che tanto deturpano molte poesie sarde, specie del Settecento e dell'Ottocento». Finalmente è da citare il sacerdote Pietro Casu (1878-1954), di Berchidda, lessicografo ed autore, fra l'altro, della traduzione in lingua sarda della Divina Commedia di Dante.
Ma Pietro Casu è da ricordare anche come famoso predicatore in lingua sarda illustre, il quale veniva chiamato a tenere prediche in molti paesi dell'Isola in occasione delle principali feste religiose, soprattutto in occasione della Quaresima. E le chiese di riempivano di fedeli ed anche di semplici curiosi per ascoltarlo con viva attenzione e grande gusto. Ma egli non è stato l'unico predicatore in lingua sarda; altri numerosi confratelli lo avevano preceduto ed anche seguito sino alla metà del secolo XX.
D'altronde in precedenza l'altro sacerdote nuorese Salvatore Carboni aveva composto e pubblicato ben due volumi in titolati Discursos Sacros in limba sarda (Bologna 1889).
È da segnalare e sottolineare il fatto che non solo i predicatori, ma anche i fedeli preferivano le prediche fatte in «lingua sarda illustre» a quelle che il loro parroco o viceparroco soleva spesso fare nel dialetto locale.
Nella seconda metà del Novecento, subito dopo la caduta del fascismo, il quale praticamente aveva messo al bando la poesia in lingua sarda e la lingua sarda in generale, c'è stata una esplosione di poesia sarda, prodotta da poeti di tutte le parti dell'Isola, i quali in massima parte adoperarono come loro lingua poetica il «sardo illustre». Questi poeti furono incoraggiati da molti premi letterari, istituiti in varie località dell'Isola, ma fra i quali ebbero il sopravvento ed il primato il "Premio di Ozieri di Poesia Sarda»" e il "Premio Romangia" di Sennori, ed inoltre trovarono il loro strumento di divulgazione nella rivista "S'Ischiglia» di Cagliari, promossa e diretta dal bonorvese Angelo Dettori e dopo dal cagliaritano Aquilino Cannas e dal sennorese Tonino Rubattu.
Di questa fioritura di poesia sarda che si ebbe nella seconda metà del Novecento va sottolineata non soltanto la grande quantità di componimenti composti e pubblicati, ma anche i livelli letterari raggiunti, che molto spesso sono stati almeno discreti e talvolta anche assai elevati.
Fra i poeti di quest'ultima generazione non si può fare a meno di segnalare almeno il loro nome: Francesco Masala di Nughedu San Nicolò, Michele Carta di Ardauli, Mario Puddu di Illorai, Giovanni Maria Cherchi di Uri, Giovanni Fiori di Ittiri, Franco Cocco di Ozieri, Ignazio Delogu di Alghero; i nuoresi Efisio Caria, Franceschino Satta (1919-2001), Giovanni Piga e Lucia Pinna; Tonino Rubattu di Sennori, il principe dell'ottava, da lui adoperata nella traduzione in sardo dell'Iliade e dell'Odissea; Paolo Pillonca, di Osilo, autore di componimenti che, musicati, hanno avuto una larga diffusione in Sardegna; e finalmente Paolo Monni, di Dorgali, autore di una nuova e magnifica traduzione della Divina Commedia di Dante (Cagliari 1999-2003).
Nella seconda metà del Novecento c'è stata anche una notevole fioritura di prosa in lingua sarda illustre, però non del valore, per quantità e per qualità, della fioritura della poesia propriamente detta. Fra i prosatori sono da citare Larentu Pusceddu, S'arvore de sos tzinesos (Nùoro 1982), Mastru Taras (Nùoro 1991); Antonio Cossu, Mànnigos de memoria (Nùoro 1984); Nino Fadda, Carrela 'e Puttu (Sassari 2000); Gavino Pau, di Nùoro, traduttore, in parte ancora inedito, di tutto il Nuovo Testamento; Francesca Cambosu, Sa bida est amore (Siena 1982), Su traballu est balore (Sassari 1984); Giovanni Francesco Pintore, su Zogu (Nùoro 1989); Salvatore Patatu, Contos de s'antigu casteddu (Sassari 1980); Giulio Chironi, Murichía (senza luogo e senza data); Giorgio Addis, Pineddu (Pinocchio) (Villanova Monteleone 1998); Giovanni Piga, Bentu 'e Janas (Nùoro 1999); ed infine il nuorese Salvatore Ruju, autore della impegnativa e bella traduzione dell'intera Bibbia da(Nùoro, 2003). Come scrittori di teatro sono da citare Leonardo Sole, Pedru Zara (Sassari 1978) e Funtanaruja (Cagliari 1979) ed Antonio Cossu, A tempos de Lussurzu (Cagliari 1985).
Infine non si può tralasciare di segnalare che in Sardegna è tuttora assai vivace la tradizione dei poeti estemporanei, di quelli che tuttora vengono chiamati in quasi tutte le località dell'Isola, in occasione delle varie feste patronali, ad entrare in gara fra di loro. Ebbene, anche questi poeti, pure quando fanno le loro gare nella parte meridionale della Sardegna, quella di tradizione linguistica campidanese, adoperano il "sardo illustre", che notoriamente è assai più vicino al logudorese che non al campidanese.
D'altra parte, in quest'ordine di idee, è molto significativa la seguente testimonianza fattaci per l'Ottocento, dal citato Giovanni Spano: «molti vi sono, sebbene abili poeti, nella Provincia meridionale, che a stento connettono una strofa nella loro lingua materna: al contrario, benché appena abbiano praticato la lingua logudorese riescono a verseggiare con una massima facilità» (Paulis pg. 20).
Si deve precisare bene che il «sardo illustre» non è una lingua strettamente unitaria, bensì presenta variazioni di epoca in epoca e di autore in autore; variazioni sia fonetiche, sia morfo-sintattiche, sia lessicali. Ciononostante si tratta pur sempre della medesima lingua sarda, universalmente compresa ed accettata in tutta la Sardegna. D'altronde lingue strettamente unitarie non sono mai esistite in nessun luogo e in nessun tempo. Neppure le moderne lingue di cultura, nonostante che la scuola, la stampa e la televisione abbia giocato a loro favore un forte processo di standardizzazione unitaria, neppure esse sono lingue strettissimamente unitarie.


I destinatari


3. La presente «Grammatica del Sardo Illustre» ha come suo lontano precedente storico la citata opera di Giovanni Spano, Ortografia Sarda Nazionale ossia Grammatica della lingua logudorese paragonata all'italiana. Ovviamente le differenze fra questa nuova Grammatica e quella dello Spano sono numerose, sia perché nel più di un secolo e mezzo che intercorre nella nascita delle due opere la lingua sarda ha subìto numerose variazioni, sia perché la conoscenza scientifica che adesso ne possediamo è enormemente superiore a quella che ne aveva lo Spano, sia infine perché è molto differente la prospettiva che ha mosso i due autori a comporre ed a pubblicare la loro rispettiva opera: lo Spano tendeva anche ad insegnare ai Sardi a parlare la lingua italiana, che allora in Sardegna era conosciuta ed usata da pochissimi, mentre l'autore della presente opera in effetti tende anche ad un'operazione perfettamente inversa, cioè ad insegnare ai Sardi a parlare nuovamente la loro lingua sarda. Tali e tanti sono stati i soprusi e i danni che la lingua sarda ha subìto in questi ultimi 160 da parte della cultura e della lingua egemoni dello stato italiano!
Ed ora alcune parole finali con l'intento di precisare a quali lettori l'Autore della presente opera ha pensato di destinarla. Innanzi tutto egli ha pensato di destinarla a tutti i Sardi che non vogliono accettare di vedere scomparire completamente e definitivamente la loro lingua nativa, ma anzi sperano ed operano per vederla ripresa nell'uso vivo e quotidiano e addirittura in quello pubblico e ufficiale della loro terra. E si tratta di Sardi di ogni categoria e ceto sociale: docenti universitari e medi, maestri elementari ed impiegati, professionisti e contadini e pastori, vecchi, adulti e giovani.
In maniera più specifica e particolare questa grammatica è destinata a coloro che scrivono la lingua sarda, in poesia ed in prosa; è destinata ad essi, non perché l'autore pensi con questa di insegnare a loro la lingua sarda, che anzi essi di fatto già usano e valorizzano coi loro scritti, ma solamente affinché ne abbiano una migliore conoscenza scientifica ed una maggiore padronanza critica.
Questa grammatica infine è destinata agli insegnanti elementari e medi delle scuole dell'obbligo dell'Isola come strumento utile, se non indispensabile, per il loro insegnamento quotidiano della lingua sarda, da essi attuato a favore della nuova generazione di fanciulli e ragazzi sardi per impedirne la totale e definitiva «dissardizzazione linguistica». Non sono pochi questi insegnanti della scuola elementare e di quella media, che operano quotidianamente per salvaguardare il patrimonio culturale e linguistico della nostra piccola Patria e per tramandarlo intatto e possibilmente valorizzato ed arricchito alle nuove generazioni di Sardi. Ad essi debbono essere sinceramente e profondamente grati tutti i Sardi amanti della loro terra, come lo è in primo luogo l'autore della presente opera.

Nùoro, Monte Ortobene, luglio-agosto 2003

Massimo Pittau


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