Massimo Pittau

professore emerito dell’Università di Sassari


TOPONIMI  DELLA  
SARDEGNA  SETTENTRIONALE

Significato e origine


PREMESSA


Nel 2011, per i tipi della Editrice Democratica Sarda (EDES) di Sassari, ho pubblicato un’ampia opera intitolata «I Toponimi della Sardegna – Significato e origine», nella quale ho presentato e analizzato i toponimi di 83 Comuni della “Sardegna Centrale”. Quest’opera ha richiesto una fatica improba da parte mia, dato che il numero dei toponimi da me studiati e spiegati raggiunge l’elevata somma di circa 20 mila (19.957). Ed ha pure richiesto un grave impegno per la Editrice, dato che il relativo volume ha raggiunto le 1104 pagine. 

Questa mia presente opera «Toponimi della sardegna Settentrionale» si inquadra chiaramente nel mio progetto generale dello studio dell’intera toponimia della Sardegna, però dal I volume relativo alla Sardegna Centrale, questo relativo alla Sardegna Settentrionale si discosta alquanto; ed ho preso questa decisione sia per ridurre la mia fatica di studio e di scrittura, sia per ridurre al minimo l’impegno tipografico della Editrice.

Nella mia opera precedente io ho inserito tutti i toponimi che sono riuscito a trovare, innanzi tutto nelle carte dell’Istituto Geografico Militare (I.G.M.), poi in numerose tesi di laurea da me assegnate a miei allievi, infine in tutti i possibili repertori che sono riuscito a consultare. 

In maniera particolare tengo a precisare che nella presente opera ho tralasciato quasi tutti i numerosi “toponimi trasparenti”, cioè quelli di cui il comune parlante di lingua sarda afferra immediatamente il significato, esempio Chercu, Funtana, Monte, Ortu, Riu, ecc., mentre ho registrato e studiato solamente i “toponimi opachi”, quelli cioè di cui il comune parlante non afferra il significato effettivo. 

Come limite toponomastico della Sardegna Settentrionale ho deciso di adottare il suo confine come viene comunemente inteso in termini geografici, quelli che ne segnano il limite meridionale nella catena montuosa del Marghine e del Goceano. Praticamente l’area geografica da me coinvolta abbraccia sia la vecchia provincia di Sassari, sia quella nuova della Gallura o, per meglio dire, di Olbia-Tempio.

Però nella pratica talvolta avviene che lungo questa linea di confine alcuni toponimi del volume precedente relativo alla Sardegna Centrale risultino registrati e analizzati anche in questo nuovo.

Naturalmente l’aver escluso dalla mia trattazione i “toponimi trasparenti” e l’aver incluso solamente i “toponimi opachi” ha determinato un forte ridimensionale della somma dei toponimi trattati. Se nel primo volume il numero dei toponimi era di circa 20.000, in questo secondo volume risultano appena 714. Però ovviamente sono certo che mi siano sfuggiti altri toponimi che pure erano degni di essere citati e studiati.

A seguito di questo forte ridimensionamento del numero dei toponimi raccolti e studiati ho dovuto anche mutare l’esatto titolo di questa mia nuova opera: la prima si intitola e tratta «I toponimi della Sardegna Centrale», questa invece tratta solamente «Toponimi della Sardegna Settentrionale» (il semplice “articolo” differenzia parecchio i significati delle due opere). 


La metodica

Tra le varie sezioni della linguistica quella più aleatoria o rischiosa e quindi quella più difficile ed incerta è indubbiamente l’onomastica, nei suoi due rami della antroponomastica e della toponomastica. Ciò è la diretta conseguenza del fatto che, mentre comunemente il glottologo o linguista storico lavora su due coordinate, quella fonetica e quella semantica, cioè da una parte sui suoni fonici che costituiscono il “significante” di un vocabolo e dall’altra sull’idea o concetto o sull’immagine che costituisce il suo “significato”, nell’onomastica invece egli spesso è costretto a lavorare sulla sola coordinata fonetica, cioè soltanto sui suoni fonici. Molti antroponimi e toponimi infatti col passare del tempo hanno perduto il loro “significato” originario, hanno cioè cessato di essere “trasparenti” nel loro significato rispetto alla coscienza dei parlanti e sono pertanto diventati “opachi”. Ricorrendo a un'immagine, si può affermare che, mentre per l'etimologia dei comuni appellativi la glottologia cammina con due gambe, quella fonetica e quella semantica, cioè con due serie di fatti e quindi di prove, per l'etimologia degli antroponimi e dei toponimi sovente essa cammina con una sola gamba, quella fonetica soltanto. Ed è proprio questo il motivo essenziale che rende spesso assai difficile e soprattutto molto incerta e aleatoria la ricerca etimologica del linguista intorno agli antroponimi ed ai toponimi.

A questa aleatorietà della onomastica e in particolare della toponomastica, già da me messa in luce e sottolineata in miei scritti precedenti, aggiungo oggi un’altra circostanza, la quale in effetti la mette in un piano di dubbio radicale: spesso noi linguisti abbiamo a disposizione differenti versioni di uno stesso toponimo, offerteci dalla tradizione scritta e dalla tradizione orale. Ovviamente tra queste differenti versioni di un toponimo noi linguisti siamo soliti optare per quella che si presenta come la più chiara o la più verosimile e soprattutto quella “comprensibile”. Questo è un fatto certo e questa è una esigenza razionale alla quale noi linguisti non possiamo non adeguarci: però dobbiamo pure avere la consapevolezza che in effetti esiste il pericolo che la nostra scelta venga indirizzata ad una versione del toponimo che è semplicemente il frutto di una “paretimologia”, ossia di una “etimologia popolare”. In effetti la versione esatta del toponimo potrebbe essere proprio una di quelle che noi invece abbiamo respinto e scartato. Ed è del tutto chiaro e certo che questa è una difficoltà od un pericolo della nostra analisi linguistica che non può essere mai e del tutto evitato. 

Non bastando questo rischio, se ne aggiunge un altro per la nostra ricerca quando facciamo riferimento ad antroponimi e toponimi antichi, pervenutici attraverso la tradizione scritta: chi ci assicura che la trascrizione di un antico antroponimo o toponimo, soprattutto se è un hapax legomenon, cioè se risulta documentato una sola volta, sia realmente esatta e non sia anch’essa il frutto di una paretimologia fatta o recepita dall’autore della trascrizione? E se si tratta di antichi antroponimi e toponimi trascritti da vari amanuensi, chi ci assicura che un certo amanuense li abbia trascritti bene dall’amanuense precedente?

Infine è importante precisare che molto spesso si riesce ad afferrare bene l’esatto significato letterale di un certo toponimo, ma non se ne comprende esattamente la vera origine storica, dato che questa è ormai del tutto scomparsa, caduta totalmente dalla coscienza dei parlanti: Bantzicheddu ‘e Santa Tzigliana (Bitti) significa chiaramente «piccola culla di Santa Giuliana», ma questo toponimo a quale fatto leggendario o storico o di cronaca o geomorfico fa esatto riferimento? Mont’ ‘e s’appettitu (Bitti) «monte dell’appetito», Nodos de massaja (Bitti) «dossi di/della massaia»; Abbas de zoza (Bolotana) «acque del giovedì»; Ena 'e sámbene (Bolotana) «zona umida del sangue»; Mura ‘e isprene (Bortigali) «catasta di pietre della milza»; Ischina ‘e su re (Dorgali) «schiena o crinale del re»; Putzu 'e Judeos (Ghilarza) «pozzo dei Giudei»; Cuba-fusos (Nùoro) «Nascondi-fusi»; Funtana ‘e istruminzu (S. Lussurgiu) «fontana dell’aborto»; Pala ‘e frearzu (S. Lussurgiu) «costa di febbraio», Mont’ ‘e martu (Scano M.) «monte di marzo», ecc. ecc., quali mai eventi storici o fatti di cronaca oppure leggendari nascondono in sé questi toponimi?

Concludendo questo punto si può dunque affermare che la toponomastica è come un “campo minato”, nel quale finiscono col saltare per aria non solamente i soliti dilettanti, ma anche i linguisti di professione, perfino quelli più capaci, più esperti e più prudenti.

Noi linguisti dobbiamo pure riconoscerlo francamente: talvolta o forse spesso le nostre ricostruzioni etimologiche di toponimi non sono altro che altrettanti “romanzi”, in massima parte fantasiosi e solamente in parte sostanziati di fatti reali. Eppure ci piace scriverli questi “romanzi”, proprio per la loro effettiva natura di “romanzi” da noi inventati e narrati.

E probabilmente proprio per questo motivo si spiega la circostanza che, nonostante la “aleatorietà radicale” della toponomastica, nonostante il suo essere un “campo minato” perfino per i linguisti più capaci ed esperti, essa è di fatto il campo più comunemente frequentato dai dilettanti, nel quale essi si sbizzarriscono in modo incontrollato, con risultati che ovviamente sono soltanto “dilettanti o dilettevoli” appunto. 

In Sardegna aveva cominciato il pur benemerito canonico Giovanni Spano a pubblicare il suo Vocabolario Sardo geografico, patronimico ed etimologico (Cagliari 1873), che è un’opera completamente fallita, del tutto priva di valore scientifico, per la quale Max Leopold Wagner aveva coniato il vocabolo feniciomania per condannare la mania del canonico di vedere dappertutto toponimi di origine fenicia. 

Ma il suo esempio non è rimasto senza imitatori: soprattutto in questi ultimi anni sono comparsi fascicoli, libri e perfino libroni pubblicati con l’intento di intepretare il patrimonio toponimico, parziale o anche generale della Sardegna, ma si tratta di opere quasi totalmente prive di valore scientifico. Esse molto spesso non servono neppure sul semplice piano documentario, in quanto la trascrizione dei toponimi spesso viene travisata e rovinata proprio dalle supposte “etimologie” dei rispettivi autori. Di recente è stato pure pubblicato da un Autore arabo un intero volume che riporterebbe i numerosi toponimi sardi che sarebbero di origine araba…. Al contraRio, a mio fermo giudizio, in Sardegna non esiste nessun toponimo di origine araba, neppure Arbatax è arabo, come ho dimostrato a suo luogo e da tempo. In Sardegna esistono di certo alcuni toponimi di indiretta origine araba, ossia arrivati in Sardegna per il tramite della lingua catalana o di quella spagnola, ma, in quanto tali, non possono assolutamente essere considerati e chiamati “arabismi”. 

*   *   *

Riguardo alle proposte di etimologia di toponimi che io presento in questo mio libro ed anche a quelle che ho presentato in miei scritti precedenti, ritengo opportuno fare un’altra breve, ma - almeno così mi sembra - importante premessa di carattere metodologico.

Nella lingua italiana - e credo anche in altre lingue di cultura - il verbo "dimostrare" significa «presentare argomentazioni a favore di una tesi, che costringono l'ascoltatore (o il lettore) a dare il suo assenso».

Il "dimostrare", il “dimostrare costrittivo o cogente”, più caratteristico e più significativo è quello che effettua il matematico: l'ascoltatore o il lettore, se è sano di mente e se è in buona fede, è costretto a dare il suo assenso ad una tesi prospettata da un matematico, se le ragioni che la sostengono sono realmente fondate e regolarmente connesse fra loro a catena. Orbene, è del tutto certo che il "dimostrare alla maniera matematica", cioè more geometrico, il “dimostrare cogente” non esiste per nulla nel modo di operare del linguista, sia che egli lavori secondo la prospettiva sincronica o contemporanea, sia che lavori secondo la prospettiva diacronica o storica.

Esiste il "dimostrare cogente" anche nel campo di quelle scienze della natura, che sono la fisica e la chimica: in queste è possibile il "dimostrare cogente" in virtù dell'«esperimento», quello che "ripete", in condizioni artefatte ed inoltre volutamente significative, un certo fenomeno fisico o chimico tutte le volte che lo scienziato vuole ed inoltre lo ripete in condizioni ideali di semplicità per gli elementi studiati e di univocità per i risultati che egli vuole ottenere e conoscere. Senonché neppure questo "dimostrare cogente" della fisica e della chimica è possibile nel campo della linguistica, soprattutto di quella buttata nella direzione diacronica o storica. Il linguista storico o glottologo infatti non è assolutamente in grado di far "ripetere" o di richiamare un certo fenomeno linguistico che risulti documentato per il passato, né può pertanto sottoporlo ad "esperimento". Il passato è passato per sempre e non può essere richiamato o ripetuto in alcun modo e da nessuno.

Se tutto questo è vero, noi linguisti ci dobbiamo convincere che nel campo della linguistica storica o glottologia non esiste affatto il "dimostrare cogente", non esiste cioè la "dimostrazione" vera e propria.

Naturalmente nulla di allarmante e nulla di mortificante c'è nella constatazione che nel campo della linguistica storica il vero e proprio "dimostrare" non esiste; perché questa medesima situazione si determina anche nel campo della storia (da intendersi qui come "storiografia") in generale ed in tutte le discipline storiche in particolare.

Ciò premesso, se il linguista storico non presenta mai "dimostrazioni cogenti", che cosa fa quando prospetta etimologie, cioè "storie di vocaboli", che pure egli ritiene essere fornite dei caratteri della scientificità? Io ritengo che egli prospetti tesi che non hanno mai il carattere e il valore della "certezza", mentre hanno solamente il carattere e il valore della "probabilità" o della "verosimiglianza", della maggiore o minore probabilità o verosimiglianza. In realtà dunque il glottologo non "dimostra" mai, mentre si limita a prospettare tesi che sono più o meno probabili o più o meno verosimili. (E da questo mio fermo convincimento deriva il fatto che in tutti i miei scritti di linguistica storica io faccio larghissimo uso dell’avverbio “probabilmente” e dell’altro “forse”).

Tutto questo implica in maniera necessaria che l'operare del glottologo sia caratterizzato da una sostanziale nota di "incertezza" o di "aleatorietà" generale, nella quale il fare obiezioni e il sollevare dei dubbi è una operazione molto e perfino troppo facile; e spesso le obiezioni possono essere anche molto numerose e pure molto consistenti. 

Ovviamente non saranno queste considerazioni metodologiche - che sono certamente pessimistiche - a indurre i glottologi a non tentare più etimologie degli antroponimi e dei toponimi e neppure io personalmente ci rinunzio oggi né ci rinunzierò nel futuro. Tutti continueremo a prospettare etimologie di antroponimi e di toponimi, pur sapendo che a loro favore vale solamente la nota della maggiore o minore “probabibilità” o “verosimiglianza”.

A queste nostre etimologie più o meno probabili o verosimili, a mio giudizio, non si debbono tanto contrapporre difficoltà od obiezioni, quanto si debbono contrapporre altre etimologie, le quali abbiano la dote di essere più verosimili e più probabili di quelle rifiutate. Se una certa mia etimologia sembra poco verosimile ad un mio collega, ai fini stessi del progresso della nostra disciplina, prospetti lui una etimologia più verosimile della mia e sarò io il primo a rinunziare alla mia e ad accettare la sua.

Si deve infatti considerare che tutte le scienze, compresa la nostra, progrediscono non tanto con le "obiezioni", quanto con le "proposte", con le proposte anche aleatorie. Il progresso delle scienze - di tutte le scienze – è infatti possibile solamente a condizione che "si rischi". E si ha l'obbligo di rischiare e non soltanto in linguistica storica, ma anche in una qualsiasi altra disciplina o scienza. Il progresso in tutte le scienze, di qualsiasi carattere e tipo - "esatte", naturalistiche, filologiche, storiche, ecc. - è proprio il risultato del rischio che ha corso uno scienziato, anzi dei rischi che hanno corso in generale tutti gli scienziati precedenti. I loro errori, effetto del loro rischiare, in realtà sono dappertutto il prezzo che si paga al progresso delle scienze, di una qualsiasi delle scienze. E si noti che questo principio è entrato anche nella saggezza popolare, la quale insegna che «Chi non risica non rosica». 

Gli scienziati che non rischiano mai nel loro sentenziare non sono propriamente "scienziati", ma sono semplicemente "ripetitori" delle scoperte e delle tesi altrui. Io ho già avuto modo di scrivere che anche in linguistica «è molto meglio una ipotesi azzardata, che nessuna ipotesi; infatti, da una ipotesi azzardata di un linguista - che alla fine potrebbe anche risultare errata - potrà in seguito scaturire una ipotesi migliore e addirittura quella vincente, prospettata da un linguista successivo».

Per ovviare in una certa misura al carattere di “aleatorietà” e di “incertezza” radicale che sta al fondo della nostra disciplina, a me sembra che al linguista si imponga un preciso “dovere”, che si caratterizza anche come un suo preciso “interesse”: egli deve ritornare spesso sui suoi passi, cioè sulle sue tesi precedenti, al fine di riesaminarle e sottoporle a nuovi controlli, anche con la prospettiva di mutarle radicalmente. Nella mia ormai lunga attività di linguista, cultore prevalentemente di onomastica (antropo- e toponomastica) (mi ci dedico ormai da oltre 60 anni e ritengo di essere un primatista in questo campo!), io sono ritornato spesso nei miei passi ed ho finito col cambiare non poche mie etimologie di toponimi e di antroponimi. 

A maggior ragione un linguista deve operare con questo metodo di “autocontrollo” e di “autocorrezione” delle sue tesi, nel caso che venga o sia venuta meno la dialettica da parte di colleghi (proprio come è capitato quasi totalmente nel campo della ricerca linguistica in Sardegna in questi ultimi decenni….).

*   *   *

Nella ricerca toponomastica, in linea generale, si deve affermare che il linguista ha il dovere e pure l’interesse a tentare di riportare un toponimo “non trasparente” od “opaco”, cioè di oscura formazione ed origine, in primo e principale modo al fattore botanico, ossia a quell’elemento predominante e anche relativamente fisso in un dato territorio, che sono le piante. E, in via specifica, cioè rispetto alla nostra Sardegna, una volta che il linguista abbia accertato che non pochi fitonimi o nomi di piante non sono di origine latina né bizantina, né toscana, né catalana, né spagnola né italiana e invece trovano riscontro e connessione – senza però derivarne - con fitonimi appartenenti al cosiddetto “sostrato mediterraneo”, prelatino e pregreco e quindi preindoeuropeo, egli può con tutta tranquillità ritenere e sostenere che quei fitonimi sardi sono pur’essi “mediterranei”. 

Ciò implica una importante conseguenza: che tali fitonimi possano ritenersi appartenere alla lingua che in Sardegna parlavano i Presardiani, ossia gli scavatori delle domos de Janas, che erano precedenti e differenti dai Sardiani, costruttori, invece, delle “tombe di gigante”.

In virtù di un tale ragionamento, con notevole soddisfazione rendo noto che, con gli studi sulla toponimia della Sardegna, che mando avanti sin dai miei primi passi di cultore di linguistica sarda (finora ho raccolto e studiato circa 25 mila toponimi sardi) ritengo di aver conseguito un importante risultato: aver distinto, nel sostrato toponimico prelatino o preromano della Sardegna, sia un filone “sardiano” di matrice od origine indoeuropea (si vedano nel mio «Dizionario della Lingua Sarda – fraseologico ed etimologico» i vocaboli attoa, bárdula, bardeju, bíttulu, bodda, bráinu, cacarru, crispesu, duri, élimu, fraría, ghélia, golléi, láccana, lattaredda, lembréchinu, logoddana, melamida, meulla, méurra, néppide, orroli, rúvulu, sòrgono, sorgonare, tevele, thúrgalu, thulungrone, tumu, úlumu, thoba, tzolla ed inoltre ta-, te-, ti-, tu-), sia un filone “presardiano” di matrice od origine mediterranea (si vedano numerosi fitonimi o nomi di piante).

In altri termini, nei relitti linguistici prelatini della Sardegna io distinguo da un lato un “sostrato sardiano indoeuropeo”, dall’altro un “presostrato presardiano mediterraneo”.

Nel quadro di questo stesso argomento preciso che anche nel presente studio io chiamo i Protosardi pure “Sardiani” e procedo in questo modo per due differenti motivi: I) perché intendo ricordare e sottolineare che i Protosardi provenivano dalla Lidia, subregione dell’Asia Minore, dalla cui capitale Sard(e)is è derivata la denominazione dei Sardi e della Sardegna [e infatti i Greci chiamavano Sardianói sia gli abitanti di Sard(e)is e dell’intera Lidia, sia gli abitanti della Sardegna]; II) perché questa denominazione mi consente di distinguere bene da una parte la «lingua sarda», che è di sicura matrice od origine latina, dall’altra la «lingua sardiana», che era appunto quella dei Protosardi/Sardiani. 

Debbo infine segnalare che rispetto ai toponimi sardi che già dalla loro “struttura” dimostrano di essere preromani e prelatini, abbastanza di recente è stato effettuato un impegnato esperimento di “analisi strutturale”, con lo studio del susseguirsi delle vocali, delle consonanti e delle sillabe in siffatti toponimi. Il tentativo di effettuare questa “analisi strutturale” andava fatto ed è pur sempre meritorio averlo fatto; però i suoi risultati ultimi sono stati molto deludenti. Fra l’altro non è stata raggiunta ed indicata nessuna “connessione comparativa” con altre lingue e nessuna “derivazione etimologica”. E tutto ciò è avvenuto non certo per errore di analisi e di metodo, ma per il fatto che quei toponimi prelatini da un lato hanno subito una forte usura col passare del tempo, dall’altro hanno di certo subito l’influsso o l’impatto della “struttura fonetica” della lingua latina, dall’altro infine lo stesso toponimo prelatino risulta spesso avere forme differenti non soltanto in differenti località dell’Isola, ma anche nella medesima località.


si veda l'altra opera corrispondente

TOPONIMI DELLA SARDEGNA MERIDIONALE 


Proprietà letteraria riservata

(è consentito l’uso non commerciale del presente materiale storico-linguistico, ma con la citazione della fonte)


Collaboratori, Consulenti e Informatori:

Anglona, Castelsardo, Nughedu San Nicolò, Perfugas Mauro Maxia; Anglona, Gallura Irene Fideli; Bisarcio, Castro, Ploaghe Antonietta Sini; Bolotana Italo Bussa; Bonorva, Ploaghe Virgilio Tetti; Bortigali Franco Ledda; Bosa Attilio Mastino, Gianni Fois; Bosa, Sorres, Torres Gesuina Amadori; Bottidda, Burgos, Esporlatu Elisabetta Piredda; Bulzi, Laerru, Martis Giancarlo Pes; Cargeghe, Muros, Ossi Maria Luisa Faedda; Castelsardo Caterina Tugulu; Codrongianos Paola Olmetto; Illorai Gianni Filia, Mario Puddu, Narciso Sanna; Lodè Pasqualina Carta, Pietrina Farris; Lula, Onanì Nicolina Pirrolu; Lula, Onanì Nicolina Pirrolu; Nule Francesco Bitti, Salvatore Masala; Olbia Raffaella Stelletti; Orune Giuseppina Asproni, Giovanna Goddi, Giuseppina Porcu; Ozieri Adriana Saba, Virgilio Tetti; Pattada Eleonora Corveddu; Ploaghe Antonio Satta; Pozzomaggiore Costantino Cuccuru, Sardegna Medioevale Massimo Cantara, Elia Mancini; Sennori, Sorso Pietrina Derudas; Siniscola Giovanni Podda; Tula Mariano Fois.

Sono tutti miei allievi ed amici, che io qui volentieri cito e grandemente ringrazio. In un modo particolare cito e ringrazio il mio allievo, amico e ormai collega Mauro Maxia per il grande aiuto che egli mi ha dato relativamente ai toponimi dell’Anglona, della cui storia anche linguistica egli è un conoscitore profondo; tanto è vero che è l’Autore di quel capolavoro che è l’opera I nomi di luogo dell'Anglona e della Bassa Valle del Coghinas, Ozieri 1994 (NLAC). 


SCRITTURA E PRONUNZIA DEL SARDO


ã, ẽ, ĩ, õ, ũ  vocali nasalizzate

è, ò           vocali toniche aperte

é, ó           vocali toniche chiuse

j              semiconsonante come nell'ital. iena, massaio

b, d, g        in posizione intervocalica anche sintattica sempre

               fricative (-bh-, -dh-, -gh-), come nell'ibero-romanzo 

ca, co, cu     velare palatale sorda come nell'ital. cane, coda, cubo

ce, ci         affricata prepalatale sorda come nell'ital. cena, cibo

ga, go, gu     velare palatale sonora come nell'ital. gara, gola, gusto 

ge, gi         affricata prepalatale sonora come nell'ital. gente, giro 

che, chi       velare prepalatale sorda (ke, ki) come nell'ital. che, chi

ghe, ghi       velare prepalatale sonora come nell'ital. ghermire, ghiro; fricativa in posizione intervocalica anche sintattica

dd, nd         consonante cacuminale od invertita 

h, hh          spirante intervocalica (-kh-), debole o forte 

q              colpo di glottide o forte iato del dialetto barbaricino

s-             sibilante sorda od aspra in posizione iniziale come nell'ital. sano  

-s-            sibilante sonora o dolce in posizione intervocalica anche sintattica, come nell'ital. viso.

sce, sci       sibilante palatale sorda come nell'ital. scena, scimmia

th             fricativa interdentale sorda come nell'inglese thing

tz             zeta sorda od aspra (ts) come nell'ital. calza

z              zeta sonora o dolce (dz) come nell'ital. zero

x              sibilante mediopalatale sonora come nel franc. Jour


ABBREVIAZIONI 

ant.     antico-a 
antrp.   antroponimo
barb.    barbaricino
camp.    campidanese
catal.   catalano 
centr.   centrale
cfr.     confronta
dial.    dialettale 
eccl.    ecclesiastico 
es.      esempio
etr.     etrusco
femm.    femminile
fig.     figura(to)
gallur.  gallurese
indeur.  indoeuropeo
ital.    italiano
lat.     lat.
log.     logudorese
masch.   maschile
mediev.  medioevale
merid.   meridionale
NU       Nuoro prov.
num.     numero
ogli.    ogliastrino
pag(g).  pagina/e
pers.    persona(le)
plur.    plurale
prov.    provincia
sass.    sassarese
sec.     secolo
sett.    settentrionale
sing.    singolare
sost.    sostantivo
spagn.   spagnolo
SS       Sassari prov.
suff.    suffisso
s. v.    sub voce
tosc
.    toscano
vol(l).  volume/i
M.P.     Massimo Pittau


NOTA BENE

1) Tutti i vocaboli sardi (toponimi e cognomi compresi) che siano privi dell'accento grafico sono da pronunziarsi parossitoni o piani. 

2) Chiamo «lingua sardiana o protosarda» quella parlata dai Sardi creatori della cosiddetta «civiltà nuragica», prima della conquista romana della Sardegna.

3) In questa «lingua sardiana o protosarda» chiamo “suffissoidi” le terminazioni -áe, -ái; -èa, -éi, -èo, -éu; -ío, -íu; -òe, ói; -úa, -úi, perché in origine erano semplicemente vocali accentate od ossitone: -á, -é, -í, -ó, -ú. 

4) Le indicazioni incluse fra parentesi (accento), (desinenza), (-ll- conservato), (ossitonia), (suffisso), (suffissoide), (vocali alternate) (vocali iterate) indicano fenomeni fonetici che erano peculiari della lingua sardiana o protosarda.

5) L'asterisco * che precede o segue un vocabolo o una radice indica una forma linguistica supposta ma non attestata. 

 


BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE CON RELATIVE SIGLE

AAS    Camarda I.- Valsecchi F., Alberi e arbusti spontanei della     Sardegna, Sassari 1985.

AEI    Devoto G., Avviamento alla etimologia italiana - Dizionario Etimologico, Firenze 1968².

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ANRW   Aufstieg und Niedergang der Römischen Welt (II, 11, 1) 1988.

BNI    Farina L., Bocabolariu Sardu Nugoresu-Italianu, Sassari 1987 (III).

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CSMB Condaghe di Santa Maria di Bonarcado, a cura di Besta E.- Solmi A., Milano 1937, A. Giuffrè Editore.

CSMB²   Il Condaghe di Santa Maria di Bonarcado, a cura di M. Virdis, Nùoro  2003, Ilisso Edizioni.

CSMS    Condaghe di San Michele di Salvennor, a cura di R. Di Tucci, in «Archivio Storico Sardo», VIII, 1912, pag. 253 segg.; nuova ediz. a cura di V. Tetti, Sassari 1997.

CSMS²  Il Condaghe di San Michele di Salvennor, edizione critica a cura di P. Maninchedda e A. Murtas, Cagliari 2003, ediz. CUEC.

CSMS³  Il Condaghe di San Michele di Salvennor, edizione e commento linguistico, a cura di M. Maxia, Cagliari 2012, ediz. Condaghes. 

CSNT    Condaghe di San Nicola di Trullas, a cura di Besta E.- Solmi A., Milano 1937, A. Giuffrè Editore.

CSNT² Il condaghe di San Nicola di Trullas, a cura di P. Merci, Sassari 1992, C. Delfino Editore.

Csorr   Il codice di S. Pietro di Sorres - testo inedito logudorese del sec. XV, a cura di A. Sanna, Cagliari 1957 (purtroppo poco attendibile sul piano filologico); nuova edizione col titolo Il Registro di San Pietro di Sorres, a cura di S. S. Piras e G. Dessì, con introduzione storica di R. Turtas, Cagliari 2003.

CSPS    Condaghe di San Pietro di Silki, a cura di G. Bonazzi, Sassari- Cagliari 1900; II ediz. a cura di S. Diana, Sassari 1979; traduzione di I. Delogu, Sassari 1997.

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CVS Senes A., Curiosità del vocabolario sardo, II ediz., Sassari 1984.

DCSC    Maxia M., Dizionario dei cognomi sardo-corsi, Cagliari 2002.

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TOPONIMI

Abba idolza (Bosa, Buddusò-Pattada, Pozzomaggiore, Sindia): «acqua bevibile o potabile», deriva da un lat. *bibitoria, a sua volta dal lat. bibere.  

Abba ruinada (Pozzomaggiore): «acqua rugginosa»; [ruinadu-a «rugginoso-a» participio di (ar)ruinare «arrugginire», a sua volta dal lat. aeruginare]. Vedi Untana rughiná (Oliena).

Abbádiga (Ozieri): corrisponde all’appellativo báttica (Orosei), báthica (Oliena), (b)áttiha (Dorgali) «aiola d'orto», che deriva dal lat. aquatica (M.P.). 

Abbádigos, sos, (Bonorva): «i siti di sorgive», che deriva dal lat. aquaticus.

Abiadori, Abiadoru, l’, (scritture errate Labbiadori, Abi d'Oru) (frazione di Olbia, SS): questo toponimo corrisponde all'appellativo log. abiadòra, abiadóru «gruccione, merope», l'uccello mangiatore di api (abes) (Mauro Maxia). Anche altri nomi di località sarde derivano da quello di un uccello: cfr. Baratili, Girasole.

Acchitora (Loiri), antico Acchetoru (NGAO), variante dell’appellativo acchettore «falchetto, gheppio, sparviero»; toponimi Accattore (Aidomaggiore), Achetores (Cuglieri), s'Acchettore (Bonorva), Punta s'Accettori (Tertenia); antroponimo mediev. Ackettore, Ackectore, Achetore; deriva dal lat. acceptore(m) (REW 68) (M.P., UNS 211).

Acchittugliola, l’, (Olbia) (NGAO) probabilmente «piccolo gheppio, piccolo sparviero» (M.P.). Vedi Acchitora.

Addanas (Bonorva, Cossoine): «noccioli» (plur.), corrisponde a oddana «nocciolo, nocciola» (pianta e frutto), che deriva dal lat. avellana (DILS). 

Agellu (Porto Torres, prominenza di terreno dove risulta costruita la basilica di San Gavino) – Il toponimo deriva chiaramente dal lat. agellus «campicello», che è il diminutivo di ager «campo». Vedi Agheddu (Bosa), Aeddo/u (Bonorva, Orotelli). 

Aggius (Ággius, log. Ággios, Azos, gallur. Ággju) (Comune di A., Gallura). L’abitante Aggesu, Azesu. Si può supporre che sia un toponimo prediale, che cioè in origine indicasse la villa «tenuta o fattoria» di un proprietario romano Allius, gentilizio che risulta realmente documentato, sia pure non in Sardegna (RNG). Il toponimo più tardi sarà diventato plur. per indicare i familiari o i coloni del proprietario. In via subordinata prospetto che il toponimo corrisponda al plur. dell'appellativo log. azu «aglio», il quale deriva dal lat. alliu(m) (DILS).

Aggoddi, para d' (Sorso), Monte d’Accoddi (Sassari): potrebbe derivare dal lat. collis «colle», oppure dal gentilizio lat. Collius (RNG) (al vocativo) di un proprietario romano di Turris Libisonis. Cfr. cognome Goddi.

Aghilói, Aghiloja (Monti-Telti) (NGAO) probabilmente toponimo sardiano o protosardo (suffissoide –ói) = «aquila, aquilastro, aquilone», da confrontare – non derivare – col lat. aquila, che è di probabile origine etrusca (LIOE 18). 

Aglientu (Comune di A., Gallura). L’abitante Aglientinu. Il toponimo, che esiste anche a Padru (NGAO), corrisponde all’antico gallur. aglièntu «argento» (nel gallur. odierno si dice argèntu; VTI), che deriva dal còrso arghjèntu, argèntu, a sua volta dal lat. argentu(m). Siccome non risulta che nella zona siano state mai trovate ed aperte miniere di argento, siamo indotti a pensare che nel toponimo ci sia il riferimento a qualche filone di schisto, tipo di roccia che riflette una luce brillante quando è colpito dal sole (cfr. Gennargentu).- Il borgo esiste soltanto da 150 anni circa, come effetto dell'aggrupparsi della popolazione degli stazzi vicini attorno alla chiesa di San Francesco. Ed infatti sino a qualche anno fa il paese si chiamava San Francesco d'Aglientu.

Agrustos (stazzo di Budoni) – Per questo toponimo sono possibili due spiegazioni: 1ª) Corrisponde al plurale dell’appellativo agrustu «lambrusca, vite selvatica» (Oliena), relitto sardiano o protosardo da confrontare – non derivare - con l'ital. abròstine e col lat. la(m)brusca, finora di origine ignota (NPRA 135) e dunque probabilmente “fitonimo mediterraneo”; 2ª) Corrisponde all’appellativo log. agrustu, nuor. argustu, arbustu «pergolato, pergola d'uva», che deriva dal lat. arbustu(m) «piantagione di alberi, in genere, e in particolare di olmi, per tirarvi su le viti» (LCS I 99, DILS).- La spiegazione del toponimo come derivato da una locuzione lat. Augustos Populos, che è entrata anche nelle carte dell'I.G.M. 1:100.000 e perfino nell'opera di D. Panedda, L'agro di Olbia nel periodo punico e romano (Roma 1954, pg. 47), non ha alcun fondamento né giustificazione e pertanto è da respingersi. 

Ajone, s’, (Pattada): (b)ajone, vajone, bejone «concolina di sughero non lavorato lasciata nelle fonti per comodità dei passanti», «tagliere di sughero per l'offerta di carne cotta», «grande pezzo di sughero non lavorato usato come recipiente rustico», probabilmente relitto sardiano o proto sardo (suffisso) da confrontare – non derivare - col còrso baja, vaja «recipiente di legno cerchiato a ferro per le olive» e probabilmente col tosc. paiolo (di origine incerta) (LISPR, NVLS). Vedi Bejone (Orune).

Alà dei Sardi (Comune di A.). L’abitante Alaesu, Alavesu, Alainu. Il borgo è stato chiamato in questo modo evidentemente al fine di non essere confuso con gli altri due boorghi Ala (Trento) e Ala di Stura (Torino). Si pronunzia anche Aláe, Alái, Elái (VSG), con una vocale paragogica o epitetica aggiunta al fine di evitare la caduta dell'accento sull'ultima sillaba (ossitonia), non consentita dalla fonetica del latino e del sardo come lingua neolatina (GSN §§ 8-13). In virtù appunto di questa sua accentazione il toponimo deve essere ritenuto sardiano o protosardo (cfr. Azzanì, Barì, Belvì, Bidonì, Buddusò, Gonnosnò, Lodè, Oviddè, Senorbì, Tiriddò, Torpè, Tortolí, ecc.). La qual cosa è confermata dal fatto che l'etnico Alaínu è caratterizzato da un suffisso che era conosciuto anche nella lingua latina, ma probabilmente era derivato dalla lingua etrusca - affine a quella sardiana - proprio come negli altri etnici Buddusoínu, Lanuseínu, Lodeínu, Oroseínu, Torpeínu, Urzuleínu, ecc. (UNS 215). Il nostro toponimo trova riscontro negli altri tre Alái (Lanusei, Neoneli, Ussassai). Siccome anche in Sardegna nella loro grande maggioranza i toponimi derivano da altrettanti fitonimi o nomi di piante, non è inverosimile che Alá(e), Alái sia da confrontare – non derivare - col lat. ala,-ae «inula» (Inula helenium L.; pianta erbacea medicinale presente anche in Sardegna, NPS 89), fitonimo sinora di origine ignota e quindi probabilmente “mediterraneo” (NPRA 8). Nell’altro toponimo s’Alae torta (Bottidda/Burgos) il participio torta «torta, storta, attorcigliata» potrebbe riferirsi al modo di estrazione del succo della pianta, adoperato come medicinale.- Dal toponimo Alà e precisamente dalla sua forma Elái è probabilmente derivato il cognome sardo Lay, Lai (CSSO, DICS); ed infatti il paese in documenti medievali è citato anche come Lay (RR 1316 e 1323). Inoltre esso è citato fra le parrocchie della diocesi di Castro che nella metà del sec. XIV versavano le decime alla curia romana (RDS 194, 882, 1716), come Ella, da pronunziarsi evidentemente Elá. Tra i villaggi che sottoscrissero la pace fra Eleonora d'Arborea e Giovanni d'Aragona del 1388 risulta come Ala (CDS I 831/2). Ed ovviamente è citato anche dalla Chorographia Sardiniae (130.14; 184.3) di G. F. Fara (anni 1580-1589).

Álbitu, Albitròni (Olbia): toponimi da confrontare - non derivare - col tosc. àrbatro, àlbatro, albatresto «corbezzolo», col maddalenino árbito, col còrso arbitrónu (suffissi) (REW 610, DEI, DELI) e col lat. arbutus, arbitus «corbezzolo» (di origine ignota; DELL, NPRA 22) (il corbezzolo alligna anche in stretta prossimità del mare) (NPC). Vedi Arbatáx. 

Alchemissa, Alchimissa, s’, (Pozzomaggiore): «la lavanda selvatica» (Lavandula stoechas L.); archemissa, alchimissa deriva dal lat. artemisia incrociato con arcus (l'arco di Artemide).

Alchènnero (Cossoine, rivo): probabilmente «archi» (in senso geomorfico di “curve”, “meandri”), toponimo sardiano o protosardo (suff. plur.), da confrontare – non derivare – col lat. arcus «arco» (di origine incerta; DELL, DELI). Vedi Arcennor (CSNT), Archènnere/a (Anela/Bultei).

Aldosu, su, (Nulvi, Perfugas): significa «il sito pieno di cardi» e deriva dal log. gárdu, gáldu, (b)áldu «cardo» (con la b- mobile; GLSL § 39), a sua volta dal lat. carduus (DILS). Vedi Caldosa, Gardosu.

Alghero (localmente l'Alghé) (Comune di A.). Il toponimo deriva, attraverso la forma catalana l'Alguer, dalla forma medievale e anche odierna log. s'Alighera. Questa significa «il luogo di alghe» (cfr. G. F. Fara, Chorographia Sardiniae 178.15) e deriva dal sardo alga, áliga «alga», a sua volta dal lat. alga (DILS), ma col suffisso ital. -èra (CS 41). Ancora settant’anni fa la spiaggia di San Giovanni di Alghero era caratterizzata da grandi cumuli di alghe (cfr. R. Caria, Toponomastica Algherese, Sassari 1993, pgg. 26-29). Le più antiche attestazioni della forma propriamente sarda del toponimo si trovano negli Statuti della Repubblica di Sassari (67v) Salighera e nel quattrocentesco Codice di Sorres (CSorr 48, 124): S'Alighera.- Il centro abitato di Alghero non è molto antico, dato che sembra sia stato fondato dai Doria nel 1102; in effetti esso ha sostituito un precedente centro abitato ricordato dal romano «Itinerario di Antonino» e situato nelle sue vicinanze: Carbia (vedi).- È cosa abbastanza nota che ad Alghero si parla un dialetto della lingua catalana, adoperato dai coloni catalani importativi dal re aragonese Pietro III il Cerimonioso nel 1354. Dopo questa data, impostosi ormai il dominio aragonese sulla Sardegna, la città di Alghero risulta citata numerose volte nei documenti sardi. Ciò anche per effetto di essere il porto più adatto per i contatti fra la Sardegna e la penisola iberica (Day 115).

Alicuccu, Aliguccu (Bulzi) «ciottoli» (sing. collettivo); log. (a)liccuccu (Lollove), alaccuccu (Lodè), liccuccu, leccuccu (Tertenia), aliguccu «ciottolo, sasso rotondo fluviale o marino, sassolino»: relitto sardiano o protosardo probabilmente da confrontare – non derivare - col greco chálix,-ikos «ciottolo» (di origine ignota; GEW, DELG) (OPSE 94, LISPR).

Alisè (Buddusò, Olbia), Olisè (Pattada): toponimo prelatino e presardiano (ossitonia), che corrisponde al fitonimo barb. e ogli. alase/i, alási(u), alasu, olasi, ollasu «agrifoglio» (Ilex aquifolium L.) oppure «pungitopo» (Ruscus aculeatus L.) od infine «gramigna» (Cynodon dactylon Pers.); probabile relitto presardiano di matrice "mediterranea". Questo fitonimo indicante l'«agrifoglio» oppure il «pungitopo» è da connettere con l'altro ollasu, alasu «gramigna» (Cynodon dactylon Pers.): le tre piante, per se stesse differentissime, "hanno in comune il fatto di esser munite di escrescenze spinose", proprio come i corrispondenti sicil. alastra e ligure arastra «ginestra spinosa» (M.P., LISPR; NVLS; NPS 417-418). Vedi Alasè, Olisái (Sorgono).

Alvaranu, sa ‘e, (Bonorva): significa «la proprietà messa all’asta»; albaranu, arbaranu «cartello d'asta, asta», che deriva dallo spagn. albarán «cartello di avviso pubblico» (M.P.). Vedi Borvorani (Bono), Bavalzanis (Ozieri), Bartaramu (Paulilatino).

Amores, Amoras (Olbia) (NGAO) deriva dal lat. Amores «Amorini», che erano compagni o figli di Venere, in onore dei quali i coloni romani avranno innalzato un tempietto o un'edicola. Vedi Mores.

Ampridda (Chiaramonti) «scilla o cipolla marina»; aspidda, (a)spridda, ispridda, spidda, arbidda, abridda, ampridda «scilla, cipolla marina» (Urginea maritima Back) (log., camp.), relitto probabilmente presardiano (suff.) da confrontare - non derivare - col lat. squilla «cipolla marittima», finora di origine ignota (NPRA 229) e pertanto quasi certamente “fitonimo mediterraneo”. Vedi toponimi Aspiddái (Orgosolo), Ospiddái (Oliena), Ispidde (Putifigari) (LISPR, NVLS).

Ampurias (Ampúrias, in log. Amprúa) (nell'Anglona, SS) - Antica città posta sulla foce del fiume Coghinas, nel sito in cui attualmente si trova la chiesa di San Pietro Celestino o San Pietro a Mare. Nel Medioevo fu capoluogo della curatoria dell'Anglona (vedi) e sede vescovile, la quale in seguito fu trasferita a Castelsardo e, più tardi, unita a titolo paritario a quella di Civita (Olbia).- La più antica attestazione del toponimo in epoca medievale sembrerebbe quella che si trova nel Codex Diplomaticus Sardiniae (CDS I 150/1) in un documento senza data, il quale, secondo il Besta, riferirebbe avvenimenti della Iª metà del sec. XII, ma sarebbe stato redatto un secolo dopo: Ampurias in sa fogue de coquinas «Ampurias nella foce del Coghinas». Io invece accetto la tesi di Mauro Maxia (NLAC), secondo cui la redazione o almeno la ritrascrizione di questo documento è molto posteriore, dato che le scritture fogue e coquinas risultano fatte secondo la grafia della lingua spagnola. Per questo fatto non si può dare credito alla citata forma Ampurias del nostro toponimo almeno per una data medievale così alta. Pertanto è quasi certo che la più antica attestazione del toponimo sia quella della Carta di revoca tributaria a favore di Montecassino del 1170 (CREST XXIV 10): donnu Comita De Martis episcopo de Inpuriu. Questo toponimo riporta in maniera ovvia a un lat. emporium oppure a un greco empórhion «mercato». Però, siccome nessun autore antico, greco o latino, parla mai di un centro abitato della Sardegna di epoca classica chiamato Emporio, siamo spinti a ritenere che abbia ragione Ettore Pais (Rom. 328, 371), quando ipotizza che questo centro sia stato fondato o almeno denominato in quel modo dai Bizantini. Anche la anomalia della vocale tonica /ó/ della base mutata in /ú/ del toponimo è spiegabile molto meglio in età bizantina che non in età romana.- Una volta che la Sardegna fu inglobata nella sfera politica e culturale prima dei Catalani e dopo degli Spagnoli, il nome dell'Emporio della Sardegna fu conformato a quello della città della Catalogna Ampurias (cfr. Burgos). Questa trasformazione fonetica fu favorita anche dal fatto che l'Emporio sardo scomparve come centro abitato perché - come altri centri costieri isolani - fu abbandonato dai suoi abitanti a causa delle continue e feroci incursioni dei pirati saraceni.- Resta aperto il problema se i Bizantini abbiano fondato ex novo il centro abitato di Emporio oppure se si siano limitati a dare un altro nome a un centro abitato preesistente. La questione sarà risolta in maniera certa quando si procederà ad effettuare scavi regolari nella zona di San Pietro a Mare. Questa si rivela molto ricca di prospettive di rinvenimenti, come mostra chiaramente l'alta scarpata che attualmente fronteggia la foce del fiume Coghinas, la quale già in superficie risulta piena di numerosi resti di vasellame di terracotta. 

Andróliga (Cossoine, Pozzomaggiore, Semestene): = «Andronica» (nome pers. femm., che deriva dal greco bizantino Andrónicos «Andronico»). 

Anela (Comune di A., SS). L’abitante Anelesu – Per questo toponimo sono possibili due differenti spiegazioni etimologiche: 1ª) Potrebbe derivare dall'aggettivo lat. anhelus-a-um «che provoca affanno, ansimante, affannoso, faticoso-a» (REW 472) e precisamente da una originaria locuzione lat. via anhela «via faticosa», cioè «strada ripida». Gli abitanti romani o romanizzati del vicino centro abitato che sorgeva attorno alle terme di San Saturno di Benetutti (probabilmente le antiche Aquae Lesitanae) avevano più strade o mulattiere per superare la catena montuosa della Costera, nella direzione del Logudoro e di Turris Libisonis (Porto Torres): la strada che passava per Anela sarà stata quella più breve, ma anche la più ripida e quindi la più faticosa; ed Anela sarà stata una tappa di tale strada.- La presenza nella zona di individui romani o romanizzati è dimostrata anche dal ritrovamento nell'agro di Anela di un congedo militare in bronzo (CIL X 7891). 2ª) Il toponimo si potrebbe connettere, attraverso una forma supposta *s’anela, con l’appellativo sa nela «la volpe» (Sindia), il quale è da riportare al vocabolo sardiano o protosardo masch. unele «volpe», che è frequente nella toponomia della Sardegna centrale, quasi sempre in composizione con altri vocaboli (vedi Unele, Tanaunella); il borgo pertanto avrebbe derivato il suo nome dalla particolare presenza, in origine, di volpi nel sito in cui è sorto.- La più antica attestazione di Anela si trova in un documento dell'anno 1164, col quale Atone, vescovo di Castro, dona ai Camaldolesi la chiesa di Sancta Maria de Anela (CDS I 226/2), quella che adesso viene chiamata Santa Maria de Mesumundu, la quale dista circa 1 chilometro dal paese. Nella campana di questa chiesetta è incisa la data del 1237.- Il villaggio di Anela è citato fra quelli che sottoscrissero la pace tra Eleonora d'Arborea e Giovanni d'Aragona del 1388 (CDS I 835/1) ed è citato anche nella Chorographia Sardiniae (182.21,25) di G. F. Fara (anni 1580-1589) come parrocchia della diocesi di Castro e come capoluogo di curatoria (Day 101).

Anglona, Angrona (prov. di Sassari). L’abitante Anglonesu, Angronesu.- Subregione della Sardegna settentrionale, in gran parte corrispondente alla bassa valle del fiume Coghinas. Il coronimo è documentato già nel Condaghe di Silki (CSPS 319) nella forma di Anglone, corrisponde al log. Centr. angròne «angolo, canto riposto» e deriva da un lat. *ang(u)lone (cfr. CSMB 145 sartu de Anglone però nel Giudicato di Arborea). I linguisti Gerhard Rohlfs e Gian Domenico Serra avevano pensato ad un incrocio del lat. angulus col greco ankón «angolo», ma il Wagner ha giustamente dichiarato non necessaria questa ipotesi (DES, DILS, LCSB 93, PAO 173).- Tale denominazione del nostro coronimo «trasse spunto verosimilmente da una porzione limitata dell'Anglona attuale, nella quale il concetto di "angolo" poteva essere suggerito da particolari caratteri geomorfici. Tali caratteri si possono individuare bene nella forma ad angolo della grande valle solcata dal cosiddetto rio dell'Anglona e chiusa a nord-est dai primi contrafforti granitici della Gallura. Il significato del termine si estese successivamente fino a coincidere col concetto di "cantone, distretto amministrativo» (M. Maxia, NLAC).

Angrona (Sorso) potrebbe essere il soprannome del proprietario del predio, nativo dll’Anglona.

Annaju, su, (Alà): annaju, annágiu «pruno selvatico» (Prunus spinosa L.); nurake d'annauos (CSPS 4, 6, 12); (log. sett., Planargia) «siepe» (fatta coi rami spinosi di questa pianta), probabilmente deriva dal lat. susinarius «prugno» (NPRA 252, 324) con la seguente duplice caduta del presunto articolo determinativo (M.P., NVLS).

Ánnaru (Giave) forse «legna da ardere», da connettere con l'altro toponimo sardiano o protosardo Linnánnara/u (Fonni, Ovodda), interpretato come Linna 'e Ánnaru,-o «legna di Annaru». Vedi Annoro (Urzulei).

Ápara, s’, (Alà): áp(p)ara, ápparu «aglio angolare o selvatico», «cipollina selvatica» (Allium triquetrum L.) (centr.), «porro» (Borore): probabilmente relitto presardiano da confrontare – non derivare – col greco kápparhis «cappero» (di origine ignota; NPRA 48) e quindi quasi certamente “fitonimo mediterraneo” (M.P., LISPR, NVLS). 

Appiu (Áppiu), l’, (frazione di Porto Torres) - Il toponimo corrisponde al fitonimo o nome di pianta log. áppiu «appio, sedano selvatico», il quale deriva dal lat. apiu(m) oppure dal corrispondente ital. o spagn. (DILS).

Aragone, s’, (Alà): = «brezza forte», accrescitivo di araghe «brezza fredda» (DILS, NVLS).

Araodda (Castelsardo) corrisponde all’antico cognome sardo, ormai estinto, Araolla. Vedi Naraodda.

Aratena, Aradena (gallur. Aratèna, log. Aradèna) (Olbia-Telti) (NGAO) toponimo sardiano o protosardo (suff. –èna) da confrontare con l’antroponimo etr. Arathena(-s), Arathna(-s), il quale molto probabilmente significa «Aretino, nativo di Arezzo» (LLE, Norme 1). Cfr. Arzachena (borgo), Austena (Luogosanto), Bassacutena (borgo), Biddichena (Arzachena), Curichena (Santa Teresa G.), Majjuchena, Pisighena (Sant’Antonio G.), Tuttusena (Calangianus).

Ardara (Árdara) (Comune di A.). L’abitante Ardaresu - Compare numerose volte nei più antichi documenti del Medioevo come Ardar (CSPS, CSNT, CDS; CREST IIBb 8, XXIII 45); ed è evidente che le forme più recenti Ardara, Ardare, Ardari hanno la vocale finale per effetto di una paragoge o epitesi (GSN §§ 8-13). Inoltre è altrettanto evidente che abbiamo da fare con un toponimo sardiano o protosardo, probabilmente al plur. (UNS num. 3: LCS II cap. III). Esso trova riscontro in questi altri toponimi sardiani: *Ardaréddu (Ardarello, diocesi di Castro; Fara 184.4), Ardái (Villa San Pietro), Ardalái (Lanusei, Loceri), Ardalasè (Ilbono), Árdali (Triei); Ardalusé(i) (Sorgono), Ardari (Orotelli); Ardasái, Ardaúcci (Seui), Ardaúli (borgo), Ardíddi (Gergei, Mandas; = Ardilli, CV XIV 16, 17), Ardilia (Seulo), Ardinciólu (Desulo), Ardori (Bortigali), Arduli (Talana) (ossitonia, suffissi e suffissoidi). Con la massima cautela si possono prospettare due possibili soluzioni etimologiche: 1ª) Tutti questi toponimi sardiani si potrebbero confrontare - non derivare - col lat. arduum «luogo arduo, erto», «altura ripida, scoscesa», il quale, essendo di etimologia incerta (DELL, DELI) e inoltre essendo caratterizzato dal suff. -uu-, potrebbe essere di origine etrusca. Questa ipotesi è confortata dal fatto che i concetti di «luogo arduo, erto», «altura ripida, scoscesa» non potevano non entrare anche nella toponimia prelatina e protosarda dell’Isola, terra dal rilievo geologico molto mosso. E d'altronde c'è da precisare che questa è l'effettiva situazione geomorfica del villaggio di Ardara, il quale è situato alla fine di una salita. 2ª) Questi toponimi si potrebbero confrontare - non derivare - col lat. ardea «airone», Ardea (città del Lazio), probabilmente di origine etrusca in virtù dell’uscita in -ea (LIOE). La presenza di aironi nella spesso allagata piana di Chilivani, sotto Ardara, è del tutto plausibile (vedi Ardali).- Siccome il nostro villaggio è stato nel Medioevo anche la capitale del giudicato del Logudoro (vedi), si comprende perché risulti ampiamente citato nei documenti medievali sardi. Ed è citato anche nella Chorographia Sardiniae (128.17; 174.18; 184.22) di G. F. Fara (anni 1580-1589) (Day 117). 

Ardu (Sassari) villaggio medievale nei pressi di Ottava e Curcas, la cui denominazione potrebbe derivare dal lat. arduus «arduo, alto, eretto», soprannome (cognomen) di un proprietario romano di una villa «tenuta, fattoria».

Argentiera, l’, (frazione di Sassari) - Si trova sulla costa occidentale della Nurra e trae la sua denominazione - quasi certamente pisana - dalla vecchia e ormai abbandonata miniera di argento, che è vicinissima alla riva del mare (CS 104). È molto probabile che proprio da questa miniera abbia tratto origine l'antichissima denominazione della Sardegna in lingua greca di Argyróphlebs «Vena d'argento». Sarebbe stato questo il nome che aveva l'Isola, prima che, per l'arrivo attorno al 1250 a. C, dei coloni Sardiani dalla Lidia nell'Asia Minore, prendesse il nome di Sardó, il quale in seguito si è sviluppato in quello di Sardinia. La suddetta denominazione greca di certo faceva riferimento alle numerose miniere di argento che esistevano nell'Isola, ma è molto probabile che si riferisse in maniera particolare alla miniera dell'Argentiera, la quale era di certo la più conosciuta dai naviganti forestieri, in quanto si trovava proprio sulla riva del mare. 

Arrasolu, su, lu, (Olbia) (NGAO) è l’appellativo pansardo ghirrisone, ghirghisone, ghirghizone, gradazone, crisajoni, crisaju, grisajone, grisizone, birrisone, (b)errisone, bar(r)asone, barisone, (b)arrisone, (b)arrasolu, arresolu «fascio di spine, groviglio di sterpi o rami spinosi, forca di prunaio, vepraio, siepe», «insieme di virgulti e di polloni cresciuti al piede di un albero», «groviglio di ramaglie», «oggetto ingombrante», «individuo inselvatichito e grossolano»; baritzone «carico di legna che si trasporta con l'asino»; antroponimo medievale Barisone (DICS); relitto sardiano o protosardo (suff. -sòn-) da confrontare – non derivare - col lat. cirrus «cirro, ciocca di capelli, ricciolo» (di origine ignota; DELL, AEI, DELI) (non c'è alcuna difficoltà per la connessione semantica tra «ciocca di capelli, ricciolo» e «groviglio di sterpi, siepe») (LISPR 130). Questo appellativo è stato confuso con l’altro erisone (vedi NVLS). 

Arroccu, s’, (Alà): = «recinto di grossi massi o pali per il bestiame» (Bultei, Chiaramonti, Nulvi, San Vito), da arroccare, aroccai «arroccare, bloccare» (M.P., DILS, NVLS).

Arzachena (localmente Alzachèna e Arzaghèna) (Comune di A.) - Il toponimo è quasi certamente sardiano o protosardo, come dimostra il suo suffisso sardiano, etrusco e anatolico -èna [cfr. Aratena (Olbia), Austena (Luogosanto), Bassacutena (Tempio), Biddichena (Arzachena), Curichena (Santa Teresa G.); Maghjuchena, Pisighena (Sant'Antonio G.), Tuttesena (Calangianus)] e probabilmente si connette con Artakēnē, epiteto di Hera, dea della città di Artákē della Misia, in Asia Minore. Si deve aggiungere che è probabile che il nostro toponimo sia in connessione con l'Héraion o «tempio di Hera», ricordato da Tolomeo (III 3, 7), che con grande verosimiglianza si trovava a Tempio (vedi). In ogni modo il toponimo Arzachena è fra quelli che dimostrano in maniera evidente la stretta connessione che è esistita nel lontano passato fra la Sardegna e l'Asia Minore (cfr. Ardali, Bargasola, Caralis, Libisonis, Scandariu, Sindia, Siniscola, Tiana).- Le più antiche attestazioni di Arzachena di trovano negli elenchi delle parrocchie della diocesi di Civita (Olbia) che nella metà del sec. XIV versavano le decime alla curia romana, elenco in cui per sei volte è citata la forma Arsequen(e) (RDS; GG 231). Il toponimo risulta anche nella Chorographia Sardiniae (82.15; 130.8; 226.9) di G. F. Fara (anni 1580-1589), però come quello di un villaggio distrutto della curatoria di Unali. E ancora nell'Ottocento Vittorio Angius segnalava i resti del villaggio scomparso presso la chiesa di Santa Maria (Day 135).

Asinara, l’. Isola di forma allungata e curva, che costituisce l'estremo capo nord-occidentale della Sardegna e che contribuisce in buona misura a determinare l'omonimo golfo dell'Asinara. La sua denominazione è di origine pisana e deriva dal fatto che in essa vivevano - come del resto tuttora vivono - asini selvatici, alcuni dei quali di colore bianco (CS 103-104). In epoca classica veniva chiamata Herculis insula (Tolomeo, Plinio, Marciano Capella), evidentemente perché dedicata a questo dio, molto venerato in tutto il Mediterraneo occidentale (si pensi alle Colonne d'Ercole) (cfr. il vicino stazzo di Ércoli). In seguito è stata chiamata, per una paretimologia, anche Insula sinuaria «isola del seno o golfo» e pure Cornicularia, perché la forma allungata e curva dell'isola la assomiglia a un paio di corna (VSG). In epoca medievale aveva un centro abitato fisso, con la relativa parrocchia appartenente alla diocesi di Torres, come dimostra la sua citazione nelle Rationes Decimarum Italiae, Sardinia della metà del sec. XIV (RDS 105, 760, 2075). L'Asinara è citata nella Chorographia Sardiniae (68.8; 122.5) di G. F. Fara (anni 1580-1589). Vedi Ercoli.

Asone, su, (Nughedu S. N.): significa «il cavallaro», forma sincopata di agasone, che deriva dal lat. agasone(m) (DILS, NVLS).

Attilibríu, s’, (Padria, Pozzomaggiore): «i falchetti, i gheppi» sing. collettivo); tilibríu, attilibríu «falchetto, gheppio» (Falco tinnunculus), relitto sardiano o protosardo da confrontare – non derivare - col greco attélabos, attélebos «cavalletta, locusta» (che in periodo di amore vola librandosi in aria), ma con ingerenza del lat. librare «equilibrare» (prestito forestiero; DELL, DELI), col significato di "librante" e con riferimento al volo caratteristico del «gheppio» (M.P., NVLS).

Attilighelta (Pozzomaggiore): «lucertola»: tilicherta, thilicherta, thiliqerta, thalaqerta, talaerta, attiligherta, tilichetta, (at)tiligherta, attelighelta, attalighelte, tziligherta, caluxèrt(ul)a, calaxedda, cargiletta, gargiletta, cariscedda, caqixedda, coxuetta «lucertola» anche «stellione»; relitto sardiano o protosardo da confrontare col lat. lacerta «lucertola» (di origine ignota; DELL, AEI, DELI²; "mediterraneo" per il DEI) preceduto dall’articolo sardiano ta (DILS, NVLS).

Austena (Luogosanto): potrebbe forse corrispondere a un lat. *Augustenus, variante del cognomen Augustinus (RNG), al femminile.

Avru, l’, (frazione di Viddalba) - Il toponimo corrisponde all'appellativo gallur. ávru «chiuso destinato alla coltivazione», il quale probabilm. deriva dal lat. arvum (NGAO, NLAC).

Azzagulta (Atza culta) (frazione di Badesi) - Il toponimo significa «cresta corta», in funzione oppositiva rispetto ad Atza Longa «cresta lunga» (sempre a Badesi; M. Maxia) e deriva dai lat. *acia per acies «punta, cima. cresta» e *curtius-a «corto-a» (DILS 151, 349).

Azzanì (tz) (frazione di Loiri) (NGAO 68) - In virtù della caduta dell'accento tonico sull'ultima vocale, è molto probabile che il toponimo sia sardiano o protosardo; cfr. Alà, Barì, Belvì, Bidonì, Buddusò, Budò, Gonnosnò, Leperiò, Lodè, Molò, Murinò, Orulò, Oviddè, Senorbì, Soddì, Spurulò, Tiriddò, Torpè, Tortolí, Turuddò, ecc. Con la massima cautela prospetto la sua connessione genetica – non derivazione - col fitonimo lat. azōniē «pianta che, portata come amuleto, scioglie le fatture lanciate sulle bestie da soma» (Chiron. 988; NPRA 31); oppure con l’antroponimo etr. Aznie (lat. Asinius; RNG) e col lat. asinus, che è di probabile origine etrusca (LIOE 19).- Il villaggio è citato come distrutto nella Chorographia Sardiniae (226.17) di G. F. Fara (anni 1580-1589): oppidum Azani della diocesi di Civita (Olbia). Vedi Azzanidò. 

Azzanidò (tz) (frazione di Loiri) (NGAO 69) – È probabile che sia il diminutivo dell’altro toponimo Azzanì (vedi). 

Baccu di la péntima (Olbia) (NGAO) «vallone delle rupi»; sardo baccu, bacu, (b)accu, vaqu «vallone, canalone, forra, dirupo, burrone, gola o sella di montagna» è probabilmente un relitto sardiano o protosardo, da confrontare – non derivare - col greco bakchóa = bóthros (eolico, Esichio) «fossa, buca, bacino, cavità, scavo» (di origine ignota; DELG) [notevole il toponimo Baccái (Lanusei), caratterizzato dal suffissoide sardiano –ái]; péntuma, péntumu «rupe, dirupo, anfratto, precipizio, voragine» è un altro relitto sardiano o protosardo da confrontare – non derivare - con l'etr. penthuna, penthna «pietra sepolcrale, cippo, stele» e con l'ital. dial. pèntima, pèndima, pèntuma, pèntoma, pèntema, pèntama «sasso, macigno, scoglio», «pendio roccioso, terreno in pendio, dirupo» ("mediterraneo"; DEI; LET 307) (M.P., LELN, OPSE, LISPR, NVLS).

Baddarana (Telti) (NGAO): potrebbe corrispondere a Badde ('e) arana «Valle delle rane» (sing. collettivo) oppure al log. talaranu, tallaranu, t(h)addaranu «ragnatela», deformazione dello spagn. telaraña (DES II 460).

Baddelonga (frazione di Sassari) – Il toponimo è da interpretarsi come Badde longa e significa «Valle lunga» e deriva dal lat. valle(m) longa(m) (DILS).

Badde Suelzu (propriamente Badd' 'e Suélzu) (frazione di Alà, SS) – Il toponimo significa «Valle della sughera», però con valore collettivo di «Valle delle sughere», e deriva dai lat. valle(m) e subereu(m) (DILS).

Baddingusti (frazione di Mores) - È probabile che il toponimo significhi «valle angusta» oppure «valle di *Angustio» e pertanto derivi dai lat. valle(m) e angustus oppure da un supposto gentilizio *Angustius in caso genitivo (REW 471; DILS). 

Badesi (Comune di B.) - Secondo una tradizione locale il nucleo originario del villaggio era nella località chiamata li Pinnetti di lu Ríu «le capanne del rivo», che è ai piedi dell'odierno paese ed in cui c'era un guado sul fiume Coghinas. Era questo il guado più a valle di tutti, utilizzato fino a mezzo secolo fa da chi andava dal Sassarese e dall'Anglona in Gallura o viceversa (NLAC 83). Ciò premesso, considerato che ad oriente del Coghinas comincia appunto la Gallura, si può spiegare il toponimo come li Badesi, cioè come «quelli del guado», in esatti termini di morfo-sintassi gallurese. E infatti anche in gallurese il «guado» si dice badu, il quale deriva dal lat. vadu(m) (DILS). In questo modo si spiega anche il fatto che pure tutta la zona piana a nord di quel guado si chiamasse Badesi. Ovviamente, una volta creatosi l'attuale nucleo urbano, si è proceduto a creare anche il relativo etnico: li Badesani.- Però, dopo un ovvio ripensamento, torno a proporre anche un'altra spiegazione ugualmente plausibile, che avevo prospettato in precedenza (UNS, 144): il toponimo potrebbe derivare dal gentilizio lat. Badesius, realmente documentato anche se non in Sardegna (RNG) e precisamente da una sua forma al vocativo Badesi, indicando in origine una villa o tenuta di un proprietario romano (UNS 135). 

Bagnu, lu, (frazione di Castelsardo) – Il toponimo corrisponde all'appellativo bágnu «bagno», il quale deriva dal lat. baneu(m) per balneu(m) (DILS). In Sardegna con questo vocabolo, nelle sue diverse varianti locali Bángiu, Banzu (anche al plurale Bángios, Bángius, ecc.), viene indicata una sorgente di acqua termale o anche un antico edificio termale oppure supposto tale. Ed effettivamente tale è il caso di lu Bagnu di Castelsardo, il quale fa riferimento a resti di edifici romani che si trovano nel sito (NLAC)

Balanotti (Oschiri): toponimo probabilmente prelatino e protosardo, che forse potrebbe connettersi col greco bálanos «ghianda».

Baláscia (frazione di Oschiri) – Il toponimo indica una serra o crinale montagnoso a nord di Oschiri e porebbe derivare, attraverso le forme intermedie *Balagia e *Balargia, da un originario *Balaria. Tale toponimo avrà indicato l'inizio della regione occupata dagli antichi Balari, il popolo che aveva come suo centro principale Perfugas (vedi). 

Baldedda (Sassari) - Molto probabilmente questo toponimo non è altro che il nome, al diminutivo, della proprietaria di un terreno, la quale si sarà chiamata Balda, femminile di Baldo, che deriva dal lat. medievale Ubaldus. 

Balidone, su, (Olbia) (NGAO) «il corbezzolo», corrisponde al log. olidone, elidone, (a)lidone, ghilidone, olione, lione «corbezzolo, corbezzola» (Arbutus unedo L., pianta e frutto), relitto probabilmente presardiano, da confrontare - non derivare - col lat. unedo,-onis «corbezzolo» (di origine ignota; DELL, NPRA) e quasi certamente “fitonimo mediterraneo” (si noti che il fitonimo sardo non presenta mai la prima /n/ di quello latino) (M.P.).

Balistreri, Punta Balistreri (Tempio, Gallura) - È la più alta cima (metri 1359) del monte Limbara (vedi) e prende nome da una antica famiglia di Tempio Balistreri, Balistrieri, la quale nell'Ottocento si era espansa anche nel Goceano, a Dorgali e a Nùoro (Pittau-Balistreri). Questo cognome è di origine toscana, è in plurale di famiglia e in origine significava «Fabbricanti di balestre» oppure «Tiratori di balestra» od infine «Soldati armati di balestra». 

Banari (Bánari) (Comune di B., SS). L’abitante Banaresu - Nel Condaghe di Trullas il toponimo compare quattro volte come Vanari (CSNT² 195, 238) e così pure in due documenti del Codex Diplomaticus Sardiniae (CDS I 205/1, 254/1), rispettivamente degli anni 1125 e 1183. Nel Codice Diplomatico delle relazioni fra la Sardegna e la S. Sede (CDSS I 411) il toponimo compare con la consonante nasale rafforzata: Bannari. Negli elenchi dei villaggi della diocesi di Sorres che nella metà del sec. XIV versavano le decime alla curia romana, il toponimo compare sia nella forma Bannari sia nell'altra Vannari (RDS 147, 793, 1309, 1697, 2555, 2716). Nel quattrocentesco Codice di Sorres compare sia come Banari sia come Bannari (CSorr 19, 142, 147, 156, 212, 299, 335, 337). E nella Chorographia Sardiniae (124.21; 174.12) di G. F. Fara (anni 1580-1589) il villaggio è citato come oppidum Bannaris. In termini di connessione sono da richiamare gli altri toponimi Bannari (Mandas) e Bánnari presso Usellus, che di recente ha mutato il suo nome in Villaverde (vedi). Ciò premesso dico che il toponimo Bánari o Bánnari innanzi tutto indizia di essere sardiano o protosardo per il suo suffisso di valore plur. -ari (UNS 49; LCS II cap. III), in secondo luogo dico che è possibile che esso sia da connettere - non derivare - con l'appellativo lat. vannus «setaccio» (finora di origine incerta; DELL, GDLI) e che pertanto potesse fare riferimento alla coltivazione e alla pastificazione del grano.

Bancali (frazione di Sassari nella Nurra) – Il toponimo corrisponde all'appellativo bancale «arca, cassapanca», che deriva dall'ital. bancale (GDLI) oppure dal còrso bancale «panca, cassapanca, cassone del grano» (DILS, NVLS). Probabilmente in origine era il soprannome del proprietario dello stazzo o del predio. 

Bantine (pronunzia locale e più antica Bantína) (frazione di Pattada). L’abitante Bantinesu - Il toponimo corrisponde a un nome proprio femm.: Bantina «Costantina». Probabilmente in origine il sito apparteneva a una domina o a una donnicella di una famiglia giudicale od imparentata con questa, a titolo di eredità oppure come regalo di nozze.- Il villaggetto risulta citato nella Chorographia Sardiniae (184.2) di G. F. Fara (anni 1580-1589) come oppidum Bantinae della diocesi di Castro.

Barangoni, lu (Olbia) (NGAO) forse = «la grande ringhiera» (di una casa), da baranda «sponda, ringhiera di poggiolo» (Orgosolo), che deriva dallo spagn. baranda (NVLS). 

Baratz (Barazza; VSG) (Sassari) - Antico centro abitato della Nurra situato presso l'odierno omonimo lago di Baratz. È citato in un documento del Codex Diplomaticus Sardiniae (CDS I 205/2 del sec. XII) come Barake, e in uno del Codice Diplomatico Sardo-Cassinese (A. Saba, Montecassino e la Sardegna medievale, Montecassino 1927, MC 199) come Barage.- È da confrontare coi toponimi Barac(c)i (Isili/Nurri), Baratzu (Arbus), Barecca (Turri/Ussara), Barecci (Siddi), Barreci (Senis), Barega (Carbonia/Iglesias), Barraca (CSNT² 154), Barraghe (Cuglieri/Macomer, Nulvi), tutti da riportare all'appellativo bar(r)acca/u «baracca, capanna/o», il quale molto probabilmente è un relitto sardiano o protosardo (alternanza á), imparentato – non derivato – col corrispondente italiano (che è di origine ignota). La scrittura Baratz probabilmente corrisponde alla pronunzia algherese.

Barbarighinu (Sorso) «Barbaricino, nativo della Barbagia», soprannome di un pastore o contadino immigrato.

Barghomidda (Ossi): potrebbe essere la traduzione sarda dell'ital. bergamotta, frutto del bergamotto, oppure qualità di pera (DitzLcs 291).

Barrabò (Cargeghe, Porto Torres), Barraboi (Bannari): probabilmente corrisponde al nome pers. ital. Barnabò (DCI).

Barrastone (Erula), Barrastoni (Olbia) (NGAO) variante di barisone, barrasone, (b)errisone, errithone, ghirrisone «riccio (animale e involucro della castagna), fascio di spine, groviglio di sterpi o rovi», «fascio di spine, groviglio di sterpi o rovi, vepraio, siepe», «oggetto ingombrante», «individuo inselvatichito e grossolano», il quale è un relitto sardiano o protosardo (suff. -on-), da confrontare – non derivare - col lat. ericius «riccio», finora di origine incerta (DELL 200; DELI) (M.P., DILS, NVLS). Vedi Birisone (Mores, Osilo).

Bassacutena (frazione di Tempio) - Premesso che molti stazzi della Gallura e della Nurra prendevano denominazione dal nome e perfino dal soprannome dei rispettivi proprietari, è molto probabile che Bassacutena sia appunto il soprannome del padrone dello stazzo originario, quello che in seguito è diventato un piccolo centro abitato. Per la sua etimologia sono possibili due soluzioni: 1ª) Nella lingua còrsa cutena è sinonimo di caghjina «vasetto di legno ove si custodisce il caglio», «rézzola che si forma alla superficie delle minestre farinacee», «specie di velo che fa il latte» (Falcucci) (però purtroppo non si intravede quale dei significati di questo vocabolo sia da privilegiare al fine di spiegare il probabile soprannome Bassacutena o, meglio, Bassa Cutena). 2ª) Cutena può fare riferimento all’appellativo ital. cotenna che è da connettere col lat. cutis «cute, pelle» (accusativo cutim; LIOE 34, Avvertenze 10, 19) (indoeuropeo), con gli antroponimi lat. Cotena, Cotinius, Cotinus, Cottinas, Cut(t)inus (RNG) e da confrontare con quelli etr. CUTNA, CUTHNA (DETR 120, 126). Per il suff. -enna cfr. appellativi cicutrenna, tra(n)senna, antroponimo Velcenna, toponimi Argomenna, Caprenna, Chiavenna, Pantenna, Percenna, Porsenna, Ravenna, Rhasénna.- In ogni modo non si può non osservare che il toponimo è caratterizzato dal suffisso tirrenico (cioè sardiano ed etrusco) -èna, come Aratena (Olbia), Arzachena (Comine di A.), Austena (Luogosanto), Biddichena (Arzachena), Curichena (Santa Teresa G.); Maghjuchena, Pisighena (Sant'Antonio G.), Tuttesena (Calangianus).

Belcheddí, Elcheddí (Pattada-Buddusò): toponimo sardiano o protosardo (suffisso e ossitonia), da confrontare - non derivare - col lat. virga, virgula, *virgella «verga, verghetta, virgulto» (di origine ignota; DELL, DELI). I virgulti di numerose piante nel passato erano un materiale molto ricercato perché serviva per la confezione di canestri di ogni forma e grandezza. Vedi Berchidda (Comune di B.), Berchialò (Orani), Birchiddái (Orgosolo), Elchiddi (VSG, probabilm. lo stesso, Osidda), Ilghíttula (Olbia).

Benádiles<i> (Mores): è da riportare all'appellativo (b)enáttile, (b)enattu «terreno umido», da (b)ena «vena d'acqua, sorgente» (DILS). Vedi Benaitzi.

Benetutti [(B)Enetutti; antico Benetuthi] (Comune di B., SS). L’abitante (B)Enetuttesu – È ipotizzabile con tutta verosimiglianza che il centro abitato in origine fosse vicino alle sorgenti termali della zona di San Saturnino - probabilmente le antiche Aquae Lesitanae - dalle quali avrebbe derivato il suo nome. Più precisamente il toponimo andrebbe letto e spiegato come Bena ‘e Tuti «sorgente di Tutio» e questo potrebbe essere stato il nome di un impresario romano che avrebbe preso in gestione l’uso delle terme (costruendovi anche il calidarium che è stato trovato e messo in luce di recente) e il cui nome sarebbe stato Tutius, gentilizio latino (RNG) al vocativo. In questa ipotesi c'è da pensare che a un certo punto il centro abitato si sia spostato dalla valle all’altura - come è accaduto per altri villaggi sardi - al fine di sfuggire alla infezione malarica ormai imperante nella media valle del fiume Tirso (cfr. Bono, Elini, Giave, Orani, Osini, Ottana).- Il villaggio è citato nella Chorographia Sardiniae (100.15; 122.17; 136.28; 182.26) di G. F. Fara (anni 1580-1589) come oppidum Benetutis della diocesi di Castro. 

Berchidda [Berkídda, Birkídda (VSG), localmente (B)Elkídda, gallur. Bilkídda] (Comune di B., SS). L’abitante (B)Erchiddesu, (B)Elchiddesu Il toponimo trova riscontro in questi altri: Belchidda (= Belchiddeddu; vedi); Berchiddu (Buddusò); Berchialò (Orani), Belcheddì (Pattada), Berghíttula (Semestene), Birchidda (Siligo), Irghíttula (Posada), Birgotte (Nùoro), (B)Irigheddái (Ghilarza), Erghidda/Irghiddo (Sedilo); (F)Irqiddái e (F)Irqidduri (Mamoiada); Birchiddái, (F)Ilqiddói (Orgosolo) (suffissi e suffissoidi sardiani o prootosardi) (a norma della fonologia della lingua sarda le vocali /e/ ed /i/ pretoniche possono scambiarsi fra loro quando precedono una /i/ od una /u/ toniche; GLSL § 21).- Una prima cosa è evidente: Berchidda, Birchidda è un diminutivo, come dimostra il suo suffisso tirrenico (sardiano ed etrusco) -ill-. Isolato questo suffisso resta un vocabolo *berca, *birca, che io confronto - non come derivato, bensì come imparentato geneticamente - col lat. virga, virgula, *virgella «verga, verghetta, rametto, virgulto» (di origine ignota; DELL, DELI²). I virgulti, soprattutto quelli di salice e di lentischio, nel passato costituivano un materiale molto ricercato, perché serviva per la confezione di canestri di ogni forma e grandezza. A me pertanto sembra probabile che Birchidda, Berchidda in origine significasse «verghetta, virgulto» o, col noto valore collettivo del singolare sardo, «virgulti, zona di virgulti».- In subordine Berchidda potrebbe derivare dal cognomen Vercilla (Onomastique 255) di una proprietaria romana.- Le più antiche attestazioni di questo villaggio si trovano negli elenchi delle parrocchie della diocesi di Castro che nella metà del sec. XIV versavano le decime alla curia romana (RDS 202, 876, 1721, 2056), poi tra i villaggi che sottoscrissero la pace fra Eleonora d'Arborea e Giovanni d'Aragona del 1388 (CDS I 832/1) come Berquilla, Barquilla. Inoltre il villaggio è citato nella Chorographia Sardiniae (128.21; 184/8) di G. F. Fara (anni 1580-1589) come oppidum Berchiddae

Berchiddeddu (log. Berchiddéddu; gallur. Belchiddéddu, Bilchiddéddu) (frazione di Olbia) - Nell’antichità si chiamava Berquidda, come indica un atto di battesimo del 29 marzo 1756 del registro parrocchiale di Buddusò (NGAO), e la sua origine etimologica è del tutto uguale a quella di Berchidda (vedi).- Quando però i parlanti ebbero la consapevolezza del pericolo di confusioni fra i due villaggi, quello del Monte Acuto e quello dell'agro di Olbia, chiamati ugualmente Berchidda, allora per distinguere questo, lo chiamarono Berchiddeddu (NGAO). Proprio come è stato fatto per Ittireddu e Sennariolo rispetto a Ittiri e Sennori (TSSO). 

Berruiles (Berruíles) (frazione di Budoni) – Il toponimo probabilmente significa «recinti per i verri», potendo derivare dal log. berre «verro, porco addetto alla riproduzione», a sua volta dal lat. verres (DILS, NVLS).

Bessude [(B)Essude] (Comune di B., SS). L’abitante (B)Essudesu - La più antica attestazione del toponimo si trova nel Condaghe di Silki (CSPS 291) come Bessute. Negli elenchi delle parrocchie della diocesi di Sorres che nella metà del sec. XIV versavano le decime alla curia romana compare come Versute, Versuta, Versutta (RDS 132, 1679, 2095, 2237, 2285). Fra i villaggi che sottoscrissero la pace tra Eleonora d'Arborea e Giovanni d'Aragona del 1388 figura come Berssude (CDS I 842/2) e nel quattrocentesco Codice di Sorres compare una prima volta come Verssude (CSorr 4) e poi numerose volte come Bessude, Besude. Nella Chorographia Sardiniae (124.19; 174.29) di G. F. Fara (anni 1580-1589) figura come Bessudes.- Ai fini di una spiegazione etimologica del toponimo io ritengo di poter privilegiare la forma Versute, nonostante che essa non compaia come la più antica né la più frequente. Infatti ai sensi della fonetica storica del sardo il passaggio -rs- > -ss- risulta regolare e perfino normale, mentre il passaggio inverso -ss- > -rs- sarebbe pressoché inspiegabile. Ciò premesso, io riporto la forma Versute all'aggettivo lat. versutus «astuto», che interpreto essere stato il soprannome (cognomen) di un antico proprietario della tenuta (villa) o del fondo (praedium) in cui è sorto il villaggio. La -e finale sarebbe quella dell'originario vocativo, come capita spesso in molte lingue con i nomi o soprannomi personali (LS 165; DICS, Prefazione). La esatta base del toponimo pertanto sarebbe Versute

Biasì (frazione di Buddusò, SS) – Il toponimo potrebbe essere il nome personale Biasínu «Biagino» del proprietario di uno stazzo o di un terreno, nome personale che risulterebbe troncato perché usato al vocativo (GSN § 32/II). 

Biancareddu (frazione di Sassari) - Quasi certamente il toponimo è il cognome del proprietario di uno stazzo o di un terreno; cognome che corrisponde all'aggettivo gallur. biancareddu «biancastro» oppure costituisce il diminutivo gallur., indicante eventualmente la filiazione, dell'altro cognome Biancu, che significa «bianco di carnagione» (CSSO, DICS).

Biddanoa (Bidda Nòa, Vidda Nòa) (frazione di Valledoria, SS) – Il toponimo significa «Villaggio Nuovo» e deriva da una locuzione lat. villa nova (NLAC 94).

Biddichena (Arzachena), Biddichènnaru (Ossi), Billikennor (mediev., CSMS), Biddiconi (Tempio), Bidduccara (ant. villaggio di Billucara, Pattada): tutti toponimi sardiani o protosardi (suffissi), da confrontare – non derivare – col lat. villicus «villico, rustico, campagnolo» (la derivazione vulgata del lat. villa da vicus lascia molto a desiderare e pertanto io la rifiuto; DELL, AEI, DELI). Vedi Billitènnero (Martis).

Bidighinzu, su, (Banari/Thiesi) - Lago artificiale che dà l'acqua a Sassari e ad alcuni villaggi della zona. Il toponimo corrisponde all'appellativo log. bidighinzu «clematide cirrosa», «fiammola», «vitalba» (Clematis cirrosa, flammula, vitalba L.), il quale deriva dal lat. vitex «viticcio, vétrice» e precisamente da una forma *viticineu(m) (DILS, NVLS). Evidentemente in origine il sito era caratterizzato dalla particolare presenza di questa pianta.

Billellara, Funtana di ra Billèllara (Billèllera) (Sorso) - Famosa fontana, che darebbe la pazzia a chi ne beve l'acqua e che tanta parte ha negli scambi di "sensi non propriamente amorosi" fra i Sassaresi ed i Sorsesi. L'idronimo corrisponde al log. billèllera «elleboro», che è una deformazione del corrispondente vocabolo italiano (DES I 206). Per lungo tempo in tutta Europa si è creduto che l'elleboro avesse la capacità sia di dare la pazzia sia di curarla... Però è un fatto che Mauro Maxia (RIOn X, 2004, 1, pgg. 39-52) ha luminosamente dimostrato che la esatta spiegazione del toponimo è quest'altra: = l'eba di l'èllara «l'acqua (o sorgente) dell'edera», espressione sorsese sulla quale in seguito è intervenuta, per paretimologia, la citata malevola spiegazione logudorese.

Billitènnero (Martis) toponimo sardiano o protosardo (suffisso), forse uguale a Biddichènnaru (Ossi). Vedi Biddichena.

Binghèntia (Cargeghe) «Vincenza», nome di donna, probabilmente della proprietaria del predio.

Birgalavò (Budoni, Posada): toponimo sardiano o protosardo (ossitonia), probabilmente da confrontare – non derivare - col lat. virgula «verghetta» (materiale molto ricercato per la confezione dei cestini), diminutivo di virga «verga», di origine ignota (DELL, DELI). Cfr. Berchidda (Comune di B.), Burgulái (Silanus), Virculái (Bitti).

Birilá (Nughedu S. N.): toponimo sardiano o protosardo (ossitonia), probabilmente da confrontare – non derivare - col tosc. pirolo «piolo, paletto, birillo» (di origine incerta; DELI). Cfr. Birilái (Bitti, Ovodda), Biriddi (Orgosolo), Biriddo (Dorgali); Biralò, Bírolo (Buddusò), Birolò (Siniscola), Chirilái (Orani).

Birisone (Mores, Osilo) corrisponde al log. barisone, barrasone, (b)errisone, errithone, ghirrisone «riccio (animale e involucro della castagna), fascio di spine, groviglio di sterpi o rovi», «fascio di spine, groviglio di sterpi o rovi, vepraio, siepe», «oggetto ingombrante», «individuo inselvatichito e grossolano», il quale è un relitto sardiano o protosardo (suff. -on-), da confrontare – non derivare - col lat. ericius «riccio», finora di origine incerta (DELL 200; DELI) (M.P., DILS, NVLS).  Vedi Barrastone (Erula).

Bisarcio (Bisárciu) (Ozieri) - Probabilmente deriva, con una supercorrezione, dal greco bizantino éxarchos oppure dal tardo lat. exarchus, *exarch(u)lus «esarca», vescovo di una circoscrizione ecclesiastica, cioè di una diocesi. E infatti Bisarcio è stato il capoluogo di una diocesi fino al 1502, anno in cui essa fu aggregata a quella di Alghero. Più tardi, nel 1803, la diocesi fu restaurata, ma come capoluogo ebbe non più Bisarcio (di certo ormai abbandonato per la malaria), bensì Ozieri.- Le più antiche documentazioni di questo toponimo lo presentano con la consonante iniziale velare sonora: Gisarclu, Gisarchu, Gisarcu (CDS I 158, CSPS, CSNT, CSMS, CSMB; CREST XXIV 11), mentre l'altra Bisarchiu, Bisarciu  è più recente (per il vero questa compare già nel documento IX e in quello XXI del 1116 del CDS I 156/1 e 193/2: senonché, secondo Enrico Besta il primo sarebbe falso, il secondo sarebbe della prima metà del sec. XIII). 

Bittittá (Alà), Bittittái, Bithithái, Vithithái, Vitzitzái (Fonni/Orgosolo, Galtellì, Sennariolo): toponimo sardiano o protosardo (ossitonia e suffissoide), probabilmente = «vetrice, salice da vimini», da confrontare - non derivare - col lat. vitex,-icis, che sarà un "fitonimo mediterraneo", dato che non si può accettare – per difficoltà fonetiche - la sua connessione vulgata col lat. viere «intrecciare». Vedi Ittitzái (Nughedu S. Vittoria); cfr. cognome Vitzizai (DICS).

Bòbboro (Chiaramonti) - Probabilmente = log. bòbboro «basso del coro», soprannome del proprietario del predio, vocabolo imitativo (DILS, NVLS).

Boddò (Alà dei Sardi) (ossitonia), Boddói (Benetutti) - Probabilmente è da connettere con l’appellativo boddói «uomo di nessuno o scarso valore»; boddòa «donna grossolana» (Desulo); vocabolo scherzoso e fonosimbolico (NVLS) (vedi bodda³); probabilmente soprannome del proprietario del predio).

Bòlloro, Bolloreddu (Alà, Olbia) (NGAO) - Forse corrisponde all’appellativo bòddoro, bòddero (bb-) «coccola del ginepro», «galla della quercia», relitto sardiano o protosardo da confrontare - non derivare - coi tosc. bòbbola, bòllora, bùbbula «coccola del cipresso» e «galla della quercia», sicil. bóddaru «chicco» (OPSE 202)

Bololtine, Bulultine (Cossoine, Semestene): probabilmente = «Valentino» (nome pers. masch.). Santu Bolentinu «San Valentino» è venerato ad Ozieri.

Bolóstiu (Alà): = «agrifoglio»; fitofimo colóstri(u), colóstrigu, (g)olóstri, golóstiqe, qolóstiqe, qolostri, olóstru, (g)olósti(u), olóstrighe, bolóstiu, (b)olostru, lóstiu «agrifoglio» (Ilex aquifolium L.); (Orani) colóstru «rosa canina» (Rosa canina L.): relitto probabilmente presardiano, da confrontare – non derivare - col greco kélastros «agrifoglio» (di origine ignota; GEW, DELG), col lat. genest(r)a, ginestra, genista «ginestra» (pur’esso di origine ignota; DELL, AEI, DELI), col navarrese colostia, corostia (g-) e col basco korosti (g-) «agrifoglio». Tutti questi fitonimi e toponimi mostrano di risalire al sostrato "mediterraneo" [suff. -st(r)-]. La connessione dei nomi delle tre piante, molto differenti fra loro, si può spiegare col fatto che l'agrifoglio ha le foglie aculeate, la rosa canina e alcune varietà di ginestra sono spinose (OPSE 99, LISPR, NVLS). Vedi Colostrái (Muravera), Colostráis (Arbus), Olostris (Buddusò).

Bolòttene (Cargeghe), Olòttene, Lòttene (Ossi) – Toponimo sardiano o protosardo (accento e suffisso) da connettere con gli altri Bolèssene (Aidomaggiore), Olèthana (Orgosolo), Volotana (Onanì), Toddòtana (Nùoro) e con Bolotana [Olòtana, (B)Olòthene, ant. Bolòthana, pronunzia dei vecchi Golòthene, Golòtzene] (borgo del Marghine), che è citato nelle Rationes Decimarum Italiae, Sardinia (RDS 161, 865, 1305, 1662, 2068, 2278 per gli anni 1341, 1342, 1346-1350) come Golessen, Golazane e Golosane (con qualche forma sicuramemte trascritta male) e nel Codex Diplomaticus Sardiniae (CDS I 834/2) come Golossane. Particolarmente quest'ultima forma del toponimo richiama il nome personale greco Golóssēs (Polibio 38.7.2), il toponimo Kolossái «Colosse», città della Frigia (Anatolia o Asia Minore), Kolossēnós «Colosseno o Colossese, nativo di Colosse» e l’appellativo kolossós «statua, statua colossale», i quali sono di quasi certa matrice anatolica. La connessione fonetica fra i citati toponimi (proto)sardi e i vocaboli anatolici richiamati è strettissima, fondata come è sulla corrispondenza di ben 7 fonemi, mentre quella semantica è piuttosto difficile intravederla e spiegarla. Forse si potrebbe spiegare in questo modo: i citati toponimi (proto)sardi facevano riferimento a pedras fittas o “menhir” preistorici – cioè “grandi statue di divinità” - oppure a “rocce” sembranti tali. Ed infatti a Bolotana esistevano sas Roccas de santu Basile «le rocce di San Basilio» ed erano particolaremente visibili per chi si avvicinava al borgo salendo da meridione. Infine si deve osservare che, comunque, anche questi toponimi (proto)sardi sono da connettere con gli altri che trovano riscontro più o meno esatto in altrettanti toponimi dell'Asia Minore, terra di origine dei Sardi: Ardali, Arzachena, Bargasola, Caralis, Libisonis, Sard(e)is, Scandariu, Sindia, Siniscola, Tiana.

Bonaccossu (Buddusò): = «Bonaccorso», nome pers. (di origine toscana) del proprietario del predio.   

Bonaita (frazione di Aggius) - Il toponimo significa «buona vite», cioè zona adatta alla coltivazione della vite, e deriva dai lat. bonus-a-um e vite(m) (DILS) (NLAC). 

Bonnanaro [localmente (B)Onnánnaru, (B)Unnánnaru] (Comune di B., SS). L’abitante (B)Onnannaresu - In epoca medievale il toponimo compare come Gunnannor (CSPS 290, 420; CSNT² 280; CDS I 840/1). Esso corrisponde ai toponimi Gunnánnaru (Lula), Bunnannaro (Sorradile), Bunnannaru (Uri), Unnánnaru (Bottidda) e inoltre al fitonimo sardiano o protosardo bunnánneru, erba bonnánaru «teucrio giallo» (Teucrium flavum L.), erba che provoca la mestruazione (LISPR, DILS). Questo fitonimo è da confrontare - non derivare - col lat. cunnus, connus «conno, vulva» (di origine ignota; DELL, DEI) (da notare l’alternanza tirrenica ú/ó), nonché col gallur. cunnina (GFS 281), tosc. connina «Chenopodium vulvaria L.» (pianta ritenuta antiisterica) di probabile origine etrusca. Il nostro toponimo dunque deriva dalla particolare presenza della pianta del «teucrio giallo» nel sito dove in origine è sorto il villaggio.- Questo è citato fra le parrocchie della diocesi di Sorres che nella metà del sec. XIV versavano le decime alla curia romana (RDS 128, 2714), poi tra i villaggi che sottoscrissero la pace fra Elenora d'Arborea e Giovanni d'Aragona del 1388 (CDS I 840/1), numerose volte nel quattrocentesco Codice di Sorres (CSorr) e ovviamente nella Chorographia Sardiniae (174.12) di G. F. Fara (anni 1580-1589).

Bono il più grande centro abitato del Goceano (SS). L’abitante Bonesu – Si deve premettere che tutto il Goceano è ricco di sorgenti, come dice perfino il suo nome (vedi) e come dimostra anche la circostanza, singolare in Sardegna, che questa subregione comprende ben sette villaggi, l'uno vicino all'altro. Oltre a ciò la popolazione di questi villaggi ha sempre goduto della fertilità e dell'abbondanza d'acque nella media valle del Tirso. Tutto ciò anche prima della conquista della zona da parte dei Romani, i quali d'altronde vi si sono installati, come dimostrano i resti dei bagni termali di San Saturno di Benetutti - probalmente le antiche Aquae Lesitanae - e inoltre il Ponte 'Etzu «ponte vecchio» di Illorai, quasi certamente romano (però abbattuto dalle piene e ricostruito almeno due volte, come dimostra la successiva elevazione del centro dell'arco principale rispetto a quello originario).- Tutto ciò premesso dico che è possibile che un proprietario romano avesse nella zona un bonum «bene terriero, patrimonio, possesso, possedimento», la cui villa propriamente detta o "fattoria" fosse nel sito dell'odierno Bono. Si potrebbe insomma pensare che il possedimento in realtà fosse prevalentemente nella vallata, mentre lui oppure il suo liberto amministratore vivesse a Bono al fine di evitare i pericoli della malaria imperante nella vallata stessa (cfr. Benetutti, Elini, Giave, Orani, Orotelli, Osini, Ottana). Dunque è possibile che il toponimo Bono derivi dal lat. bonum «possedimento». La -o finale sarebbe quella di una locuzione locativa in Bono, nella quale sarebbe finita per cadere la preposizione; proprio come è avvenuto rispetto al log. domo «casa», che evidentemente è derivato dal lat. in domo. (Si osservi la conservazione del caso locativo nei tre toponimi italiani Brindisi dal lat. Brundisium, Girgenti (= Agrigento) dal lat. Agrigentum, Rimini dal lat. Ariminum). La forma Bono con la -o finale è confermata da quasi tutte le antiche citazioni del toponimo.- Il borgo è citato nel Codice Diplomatico delle relazioni fra la Sardegna e la S. Sede (CDSS I 413, II 109) e compare fra le parrocchie della diocesi di Castro che nella metà del sec. XIV versavano le decime alla curia romana (RDS 189, 209, 879, 1673, 2707). Inoltre è ricordato tra i villaggi che sottoscrissero la pace fra Eleonora d'Arborea e Giovanni d'Aragona del 1388 (CDS I 835/2). Ed è citato anche nella Chorographia Sardiniae (182.24) di G. F. Fara (anni 1580-1589).

Bonorva (localmente Bonòlva, Onòlva) (Comune di B., SS) - La forma più antica di questo toponimo è Bonorba, che compare nel Condaghe di Trullas (CSNT² 160), poi negli elenchi delle parrocchie della diocesi di Sorres che versavano le decime alla curia romana nella metà del sec. XIV (RDS 2293), tra i nomi dei villaggi che sottoscrissero la pace fra Eleonora d'Arborea e Giovanni d'Aragona del 1388 (CDS I 838/2) e nelle schede num. 80, 86, 143 del quattrocentesco Codice di Sorres (CSorr). Nelle altre schede 25, 27, 101, 156, 226 di questo codice compare già la forma lievemente diversa Bonorva. È pertanto evidente e certo che la forma locale odierna Bonolva è effetto di una supercorrezione piuttosto recente. Ciò premesso dico di ritenere probabile che questo toponimo derivi da una locuzione lat. bona opera. L'appellativo lat. opera «opera, lavoro agricolo» è realmente entrato nella lingua sarda, come risulta dal Condaghe di Trullas (CSNT), dalle Carte Volgari campidanesi (CV) e dal Condaghe di Bonarcado (CSMB): opera e anche obera col significato di «giornata di lavoro» e anche di «unità di misura del valore economico di beni diversi» (P. Merci, CSNT², pg. 239). La forma òbera «opera» è tuttora attestata sia nel logudorese che nel campidanese (VSG, DSIL). Ciò detto, io ritengo che la trafila fonetica che ha fatto nascere il nostro toponimo dalla suddetta locuzione latina possa essere stata la seguente: bona opera > bon'opera > bon'obera > bonobera > *bonobra > Bonorba, con la apocope dunque della vocale atona /e/ del sostantivo e con la metatesi della consonante /r/. Si può ipotizzare che la originaria locuzione lat. bona opera significasse «(sito dove l') opera agricola (è) buona (cioè fruttuosa)» oppure fosse la denominazione bene augurante di una villa o «tenuta» di qualche proprietario romano, veterano o latifondista (UNS num. 11).- Oltre che nei documenti su riportati il villaggio è citato nella Chorographia Sardiniae (174.23) di G. F. Fara (anni 1580-1589) come oppidum Bonorvae

Bonu Ighinu (Mara) - Villaggio medievale ormai estinto, che il Condaghe di Silki (CSPS 311) cita come Bonuvichinu. Il significato e l'origine del toponimo sono del tutto chiari: significa «buon vicino» e deriva dalla espressione lat. bonus vicinus (DILS). Questa denominazione forse implicava un riferimento teoforico o sacrale, nel senso che si riferiva a un luogo di culto in cui si venerava un dio pagano, la cui "vicinanza" costituiva una garanzia di prosperità per il villaggio. La chiesa, attualmente dedicata alla Madonna, avrà sostituito quel luogo di culto pagano con un processo di sincretismo religioso molto frequente nella Sardegna antica e anche altrove (SN § 35). Iniziata la dominazione aragonese in Sardegna, il toponimo è stato tradotto in lingua catalana come Bon Vehi e come tale risulta citato nel Codex Diplomaticus Sardiniae (CDS I 769/1, 770/2, 773/1, 810/2, 826/2).- Nelle vicinanze del villaggio c'era un castello dei Doria, i quali lo persero assieme con quello di Monteleone Rocca Doria (vedi). G. F. Fara, Chorographia Sardiniae (188.20; anni 1580-1589) lo cita come castrum Bonvicini.

Bortigiadas (log. Bortigiádas e Bortijádas, gallur. Bultiggiáta) (Comune di B.) - Il villaggio, che faceva parte del Giudicato di Gallura, della curatoria di Geminis e della diocesi di Civita (Olbia), viene citato in documenti medievali come Gorticlata (CSMS 170), Gortiglata e Guortiglata (GG 280) e in virtù di queste forme del toponimo è abbastanza agevole ricostruirne la etimologia. Esso fa riferimento al lat. corticulus, che nella lingua sarda ha dato luogo all'appellativo cortígu, bortíxu «corteccia di sughero» (DILS, NVLS). Su questa base è stato formato un aggettivo *cortic(u)lata, da cui è derivato il toponimo Gortiglata e Bortigiada, col significato di «zona ricca di sughere»; e tale è realmente la zona in cui il villaggio è situato. La -s finale di Bortigiadas probabilmente è l'effetto di trascrizioni latineggianti o falsamente grammaticali, come si constata in numerosi altri toponimi sardi.- Negli elenchi della parrocchie della diocesi di Civita che nella metà del sec. XIV versavano le decime alla curia romana il villaggio è citato nelle forme di Orticlada e Orticlata (RDS 719, 1755, 2268), nelle quali la caduta della B- iniziale è conseguente al fatto che essa nel logudorese comune è mobile, ossia cade quando nella frase risulta preceduta da una vocale: dunque *Borticlata, ma bidda 'e 'Orticlata «villaggio di Bortigiadas» (cfr. Bortigali).- Dal punto di vista della dialettologia sarda Bortigiadas costituiva fino a non molto tempo fa un'isola logudorese in mezzo al dominio dialettale gallurese. Nelle sue stesse condizioni si trovava Olbia e si trova tuttora Luras (vedi). Invece attualmente a Bortigiadas si parla il gallurese.- Il villaggio è citato nella Chorographia Sardiniae (224.34) di G. F. Fara (anni 1580-1589) come oppidum Bortigiatae.

Bortioccoro (Bortiòccoro, Ortiòccoro) - Villaggio estinto del Goceano, nel territorio del comune di Esporlatu, il quale faceva parte della diocesi di Ottana (VSG). Il toponimo è da riportare al fitonimo o nome di pianta sardiano o protosardo ciòccoro, thiòccoro, icciòccoro, issòccoro, (i)stiòccoro,-e, ittiòccoro, artiòccoro, còccoro «aspraggine» (Helminthia echioides L.; "pianta cicoriacea", FPS, NPS 190) e «cardo dei lanaioli» (Dipsacus fullonum L.; FPS) ("voce certamente preromana" per i DES II 548, NPS 190, 192), per me relitto sardiano da confrontare col greco kikórion, kórkoron «cicoria selvatica» (Cichorium intybus L.), «anagallide» (Anagallis arvensis L.; NPRA) (di origine ignota; GEW, DELG) (OPSE 98, DILS II, LISPR). [Cfr. Gorthiòqoro (Orgosolo), Ortacesus].- Il villaggio è citato nel Condaghe di Salvenor (CSMS 247) come Gultiocor e inoltre nella Chorographia Sardiniae (180.34) di G. F. Fara (anni 1580-1589) come oppidum Bortiocoris ancora in vita. (Day 101).   

Borutta (Borutta, Orutta) (Comune di B., SS). L’abitante Boruttesu, Oruttesu - Il toponimo corrisponde all'appellativo grutta «grotta», che deriva dal lat. crupta per crypta (DILS) e prende nome dalla grande grotta che si apre sotto la rupe di Ulári, sul fianco occidentale della collina di Monte Mura, dove attualmente si trova la basilica di San Pietro di Sorres. Sicuramente in quella grotta si praticava nel lontano passato il culto delle divinità infere e dei morti e tutta la collina aveva un carattere sacrale, come è dimostrato sia dalla presenza dei resti di un nuraghe a qualche decina di metri dall'abside della basilica, sia da numerose tombe rupestri o domos de Janas che sono scavate sulla parete settentrionale della collina stessa. Di certo nel sito si è determinato il noto fenomeno del “sincretismo” fra l’antica religione dei Nuragici e quella nuova cristiana, nel senso che questa si è insediata nel medesimo luogo in cui c'era un precedente culto pagano, sostituendolo (SN 190). Nella grotta e in alcune altre vicine si trova «molto ossame umano» (V. Angius), segno che esse venivano adoperate anche come tombe.- Il villaggio compare numerose volte fra le parrocchie della diocesi di Sorres che nella metà del sec. XIV versavano le decime alla curia romana con le forme di Gruta e Ruta (RDS); poi compare come Gurruta tra i villaggi che sottoscrissero la pace fra Eleonora d'Arborea e Giovanni d'Aragona del 1388 (CDS I 840/1) e ancora parecchie volte nel quattrocentesco Codice di Sorres (CSorr) come Borupta, Boruta, Buruta. Il villaggio poi è citato nella Chorographia Sardiniae (100.15; 174.12) di G. F. Fara (anni 1580-1589) come oppidum Boruttae.

Bottidda (Bóttidda, Óttidda; errata la scrittura Bottida) (Comune di B., SS). L’abitante Bottiddesu, Ottiddesu - Il toponimo si presenta col suffisso diminutivo tirrenico e sardiano -ill- e inoltre con la ritrazione dell’accento tonico, fenomeno non raro nella lingua (proto)sarda e soprattutto nei toponimi trisillabici (cfr. Gesturi, Fígari, Póntidda, Sedini, Sisini, Tonéri e Tóneri). Esso ricorre nel Condaghe di Trullas (CSNT² 319) come Gothilla ed è da confrontare coi toponimi Gotziddái (Olzai), Guthiddái (conca ricca di acque, Oliena), Othiddái (Lodè, Onanì); Guttánnaro, Guttibái (Nùoro); (G)Ottianu, (G)Uttianu (= Goceano; vedi); Guttímene, rivu Guthioddo (Orgosolo), Guttulichè (Nùoro, Orani), Guttuíne (Loculi), funtana Buttiachis (Suni), Búttule (Ozieri; antico Gutule, VSG).- Ciò premesso dico, con la massima cautela, che è possibile che il nostro toponimo sia da connettere con l'appellativo (b)úttiu, (b)uttíu, gúttiu, guttíu, gútziu, (g)útzu «goccia, stilla» e ai verbi guttiare, gutz(i)áre «gocciolare», buttulare «traboccare, stravasare»; tutti da confrontare - non derivare - coi lat. gutta «goccia, stilla» (di origine incerta; ThLL, DELL, AEI, OLD), diminutivo guttula, cognomen Guttilla (RNG) (però alcune varianti degli appellativi e dei verbi sardi possono senz'altro derivare dal latino). Nei toponimi citati potrebbe esserci il riferimento a "fontane gocciolanti" (cfr. funtana gutti-gutti e funtana guttiosa del CSPS 11, 96, 424), pur sempre utilissime in una terra perennemente assetata come la Sardegna, e in questo quadro ambientale e linguistico Bóttidda potrebbe significare «Piccola Goccia, Piccola Stilla».- Il villaggio compare fra le parrocchie della diocesi di Ottana che nella metà del sec. XIV versavano le decime alla curia romana (RDS 169, 1126) come Gossilla e inoltre fra quelli che sottoscrissero la pace tra Eleonora d'Arborea e Giovanni d'Aragona del 1388 (CDS I 835/2) come Gocilla. Ed è citato pure nella Chorographia Sardiniae (180.34) di G. F. Fara (anni 1580-1589) come oppidum Botidae.

Buada, sa, (Nughedu S. N.): probabilmente corrisponde all’appellativo vuvada «luogo in cui le galline depongono e covano le uova» (Orgosolo); uada, uvat(t)a, ugatta, bubada, buvada, buada, abbuada «tana, nascondiglio di animale (cinghiale, volpe, lepre, gallina)», che probabilmente deriva dal lat. ovatus-a (M.P.). Vedi Salvuadas (Alà).

Bubalis, Santa Maria in Bubalis (Siligo, SS), Bualis (GG 129) – È un’altra denominazione della chiesa di Nostra Segnora de Mesumundu (vedi). Il toponimo deriva chiaramente dall’appellativo lat. bubalus «bufalo» (Plinio, nat. hist. 8.38). 

Bucc'Aidu [(B)Ucc'Áidu, con la B- mobile] (Bono) - Valico montano, elevato 1046 metri sul mare, che consente il superamento del Monte Rasu da Bono verso il Logudoro. Il toponimo letteralmente significa «bocca di valico» e deriva dai lat. bucca «bocca» e aditu(m) «passaggio, valico» (DILS, NVLS).

Buddeu (Arzachena) (NGAO) = pansardo goddeju, coddéu, goddéu, boddeju, (b)oddeu, poddeu, paddeu «crocchio di persone», (Sulcis) «gruppo di case di pastori» (che forma un villaggetto), (Abbasanta) «capanna di pastori»; deriva dal lat. collegiu(m) (M.P., NVLS). 

Buddi-Buddi (Sorso) - È il nome di una zona che letteralmente significa «bollisci-bollisci», cioè «bollente» (dal log. buddire «bollire») e fa riferimento a numerose sorgenti di acqua tiepida che sgorgavano nel canalone di San Michele di Plaiano (Santu Miali de Plaianu), ormai scomparse a causa della recente perforazione di numerosi pozzi nella zona. Il toponimo presenta una forma verbale di modo imperativo, sottoposta ad iterazione per indicare la continuità del fenomeno dell'acqua che ribolle (GSN § 227). Vedi Coghinas, Frisgianu.

Buddureddu (Sorso) probabilmente «cicuta», diminutivo di búddaru, (b)údduru, budduri(u), (b)uddúri(gu), biddúri, gúdduru, guddútulu, guddútaru (masch.) «cicuta» (Conium maculatum L.) (adoperata per avvelenare le pozze dei fiumi e prendere i pesci storditi); toponimi Budduris (Orgosolo), Budurrai (Nùoro, Orgosolo), su Budduri o Gudduri (Nùoro), Goddorè (Orgosolo); relitto sardiano o protosardo probabilmente da confrontare – non derivare - col tosc. bìlleri «varietà di nasturzio» (già indiziato come relitto etrusco dai DEI 520, NPS 151) (le due piante crescono ugualmente in luoghi molto umidi e vengono usate nella medicina popolare) (OPSE 203, LISPR, NVLS).

Buddusò [pronunzia della zona anche (G)uddusò(e)] (Comune di B., SS) - Il toponimo è certamente sardiano o protosardo, come indizia già la sua accentazione, cioè la caduta dell'accento sulla sua ultima vocale (cfr. Burvuddò, Gonnosnò, Tiriddò, ecc.). Esso è da collegare coi toponimi Montrigu ‘e uddusò (Illorai), Biddisari (Giave, Mores), Biddísu (Siligo), Biddisúi (Olzai), Bidditzái (Talana) ed è da riportare all'appellativo sardiano biddisò «passero» (VSI, VTI; sass.), chilísi/u, chirísi, «pettirosso», mama 'e gherísi «passerotto» (DILS, LISPR). Il villaggio dunque deriva la sua denominazione dalla particolare presenza, in origine, di passeri o, in subordine, di pettirossi nel sito in cui è sorto (cfr. Abiadori, Baratili, Girasole). C’è da precisare che nel riferimento ai passeri era implicito non l’atteggiamento degli odierni “amanti della natura e degli animali”, bensì il timore che i contadini avevano per la sorte del loro frumento. Notevole è anche il fatto che l'etnico Buddusoínu sia caratterizzato dal suffisso sardiano o protosardo -ínu, esattamente come gli altri Alaínu, Lanuseínu, Lodeínu, Oroseínu, Torpeínu, Trieddínu, Urzuleínu, ecc. (UNS 215).- Il villaggio faceva parte della curatoria del Monteacuto e della diocesi di Castro ed è citato come Bulluso nel Condaghe di Trullas (CSNT² 208) e come Gulluso nel Condaghe di Silki (CSPS 242); risulta pure nel Codice Diplomatico delle relazioni fra la Sardegna e la S. Sede (CDSS I 410). In forme grafiche in gran parte errate è citato fra le parrocchie che nella metà del sec. XIV versavano le decime alla curia romana (RDS 208, 1746, 2046, 2709) e inoltre fra i villaggi che sottoscrissero la pace tra Eleonora d'Arborea e Giovanni d'Aragona del 1388 (CDS I 831/2). E viene pure citato nella Chorographia Sardiniae (136.27; 184.2) di G. F. Fara (anni 1580-1589).  

Budoni (Comune di B., Gallura meridionale) - Il noto «Itinerario di Antonino» (79, 6), redatto probabilmente all'epoca dell'imperatore M. Aurelio Antonino - più conosciuto come Caracalla - (211-217 d. C.), in un tracciato di strada che andava da Olbia a Caralis seguendo la costa orientale della Sardegna, fra il golfo di Olbia e quello di Orosei riporta un Portu(s) Liguidonis o, a seconda dei codici del testo, Luguidonis o Luquidonis. Già da tempo io ho proposto di identificare quella antica stazione stradale e anche marittima con l'attuale Budoni. La derivazione di questo toponimo odierno dall'antico Portu Liguidonis (in ablativo di moto) si può spiegare agevolmente con un errore in cui era facile incorrere, come di fatto incorse un antico copista del citato «Itinerario»: invece di Portu Liguidonis = «dal Porto di Liguidone» lesse e interpretò Portuli Guidonis = «del porticciolo di Guidone». E la successiva trasformazione di un originario Guidonis nell'odierno Budoni non dà luogo ad alcuna difficoltà sul piano fonetico. C'è da precisare che evidentemente il porto di Liguidonis si trovava nella foce del fiumiciattolo che scorre proprio vicino a Budoni e che sfocia nella vicina Cala di Sant'Anna. Nei tempi antichi, per la piccolezza delle navi e soprattutto per il loro scarsissimo pescaggio, perfino le foci dei più piccoli corsi d'acqua costituivano altrettanti porti o scali.- L'antico toponimo Portus Liguidonis o Luguidonis si collega chiaramente con Luguidone o Lugudone, località registrata anch’esa dall'«Itinerario di Antonino», la quale probabilmente va identificata col borgo di Ploaghe (vedi).

Bulasca, Bulalca (Castelsardo): forse deriva dal log. filasca «erbaccia filamentosa, specie di crine vegetale con cui si riempivano i pagliericci», anche «macchiume con intrico di pruni, rovi e smilace», fitonimo  da confrontare – non derivare – con l'ital. falasca, denominazione di alcune graminacee (Festuca elatior Nocea, Agropyrum repens Beauv.), quasi certamente di “origine mediterranea” (DELI) (M.P.). 

Bulóriga (Bulzi) toponimo sardiano o protosardo (suff.),è da riportare a coloru/a, colóvuru «serpente, biscia» e da confrontare – non derivare – col lat. coluber, di origine ignota (DELL). Cfr. Golori (Ollolai), Coloriche (Orani), Golóriqa (Oliena), Golóriqe (Ovodda), Golori, Goloriqobo, Golorispái (Ollolai), Goloritzè (Baunei), Bolóriqa (Orgosolo) (M.P.; TSSO). 

Bultei [(B)Ultéi, (B)Urtéi] (Comune di B., SS). L’abitante Bulteinu, Ulteinu - È da premettere che esiste nell’agro di Bultei e inoltre in quelli di Austis, Illorai e Pulilatino un toponimo Ortéi. Questo è sardiano o protosardo (suffissoide), il quale, assieme ad altri aventi la radice *ort-, inducono a ritenere che anche nella lingua sardiana o protosarda esistesse una radice *ort- «orto», già prima che nell'Isola i Romani portassero il loro vocabolo (h)ortus «orto, giardino» (indeur.; DELL, DELI). La qual cosa viene confermata dal fatto che questo stesso appellativo probabilmente esisteva anche nella lingua etrusca - imparentata con quella sardiana -, come dimostrano i seguenti vocaboli etr. hurtu, hurthu, urtu; Hurtina, Hurtate «nativo di Hurta» (= odierna Orte). Dunque è probabile che (B)Ultéi, (B)Urtéi, cioè Ortéi significhi «sito di orti»; le differenze tra Bultéi e Ortéi risultano del tutto normali ai sensi della fonologia della lingua sarda. Vedi Ortái (Bitti, Dorgali, Macomer, Nùoro), Orthái, Ortzái (Comune di Olzai), Biortái (Bitti), Ortiái (Lula), Ortachis (Bolotana), Òrtana (Bono), Ortéi (Austis, Illorai, Paulilatino), Ortueri (Comune di O.), Ortúi (Teti).- In via subordinata si può pensare che Bultéi derivi dal vocativo del gentilizio lat. Bulteius (RNG; UNS 146, 181) di un proprietario romano che aveva terreni agricoli nella valle del Tirso (vedi Burtéi, Nùoro).- La più antica attestazione di questo villaggio, che sono riuscito a trovare, si trova tra i villaggi che sottoscrissero la pace fra Eleonora d'Arborea e Giovanni d'Aragona del 1388 (CDS I 835/2, 837/1), citato come Gulsei, Gulcei. Ed è ricordato anche nella Chorographia Sardiniae (182.25) di G. F. Fara (anni 1580-1589): Bultei della diocesi di Castro e della curatoria di Anela. 

Bulvaris (Chiaramonti, Perfugas) «recinto per bovini»; vulvare (uuluare), vurvale, bulvare, gulvare, gulbare (mediev.), (b)urbare, urvare (Lula, Loculi, Altipiano di Abbasanta), (b)urbara (Illorai, Scano M.), uvvari (Ozieri), probabilmente deriva da un lat. *bubulare (V. Tetti 146) (corrige DILS, NVLS).

Bulzi (tz) (Comune di B., SS). L’abitante Bultzesu.- È probabile che il toponimo derivi dal vocativo del gentilizio lat. Burcius oppure dell'altro Bulcius (RNG) di qualche proprietario romano, che aveva terreni agricoli nella zona.- Il villaggio risulta fra le parrocchie della diocesi di Ampurias, nell’Anglona, che nella metà del sec. XIV versavano le decime alla curia romana (RDS 253, 845, 2097) e inoltre è citato nella Chorographia Sardiniae (176.6) di G. F. Fara (anni 1580-1589) come castrum Burcis

Buppittos (Berchidda, Laerru, Tula) «piccoli attingitoi di sughero» (che si lasciavano nelle fontane a disposizione dei passanti), diminutivo plur. di guppu, (g)uppu, (b)uppu, up(p)u «bicchiere rudimentale di sughero o legno», che corrisponde a cuppu «tino», probabilmente relitto sardiano o protosardo, da confrontare - non derivare – col lat. cuppa «coppa» (DILS, NVLS).

Burdunispa (Posada): probabilmente è da leggere e intendere Burdonisca «zona di grappoli d’uva», diminutivo femm. di butrone, budrone, burdone «grappolo d'uva», che deriva dal lat. butrone(m) (DILS, NVLS). Per il suffisso cfr. Tamarispa (Posada).

Buréu (Alghero, Perfugas) «carciofo selvatico» (Cynara cardunculus L.); corrisponde al fitonimo cardu eru, cardu vreu, cardu reu/leu, cardu guréu, (g)uréu, bardu reu, bardu eru, che deriva da cardu feru «cardo selvatico» (DILS, NVLS). 

Búrghidu (Tula), Búhhidu (Ozieri, nuraghe): forse = «(nuraghe) con passaggio stretto», da (b)urgu «passaggio stretto, strettoia, viottolo» (DitzLcs 1719), dal tosc. borgo (cfr. Borgo Largo e Borgo Stretto di Pisa); oppure «(nuraghe) rinforzato», dal tardo lat. burgus «piazzaforte, castello, borgo» (REW 1407, DELL) (M.P.). 

Burgos (localmente su Burgu) (Comune di B., SS). L’abitante Burghesu - «Esso è così appellato perché trovasi ai piedi del Castello del Goceano. Tutti i villaggi messi ai piedi di questi castelli antichi prendevano questo nome coll'aggiunta del villaggio. Così troviamo in tutte le carte antiche il villaggio d'Ardara, su Burgu de Ardara, quello di Osilo su Burgu de Osile, di Posada su Burgu de Posada, e così via via. Questo però di Goceano ha tenuto il primo nome» (G. Spano, VSG). È dubbio se il vocabolo derivi dall'ital. borgo, come dice il Wagner (DES I 242), oppure derivi direttamente dal tardo lat. burgus «piazzaforte, castello, borgo» (REW 1407, DELL). La forma plurale Burgos è quasi certamente effetto di una tarda imitazione del nome della città spagnola Burgos (cfr. Ampurias).- Come è abbastanza noto, nel castello di Burgos morì la giudicessa Adelasia di Torres, vedova anzitempo o ante mortem del marito re Enzo di Svevia (CVS 140).- La più antica attestazione del villaggio si trova nella Carta di permuta fra Torbeno e Costantino d’Orrubu del 1102, nel quale si parla di un Comita de Burcu, Burgu (CREST XII 25, 44); una successiva attestazione compare in un documento dell'anno 1353 (CDS I 763/1, 2).- Burgos figura tra i villaggi che sottoscrissero la pace fra Eleonora d'Arborea e Giovanni d'Aragona dell'anno 1388 (CDS I 835/2) ed è citato dalla Chorographia Sardiniae (136.28; 180.32) di G. F. Fara (anni 1580-1589) come castrum Gotiani «Castello del Goceano». 

Burrái (Loiri) (NGAO) cognome (Bitti, Nùoro, Olbia, Orosei), che potrebbe essere una variante supercorretta del cognome Urrai e pertanto significherebbe anch'esso «(nativo di) Urray» (DICS).

Burrosu (Sedini) probabilmente «sito cespuglioso», da burra «intrico di cespugli», «covo del cinghiale», «giaciglio della scrofa», «letto della partoriente», (Bitti) borra e burra «sterro del cinghiale»; toponimi Burrái (Lula, Olbia), Burrè (Ploaghe), Burranca (Sinnai), Burri (Giave), Burrumbè (Pattada) (alternanza ú/ó, ossitonia e suffissoide): probabilmente relitto sardiano o protosardo da confrontare – non derivare - col lat. burra «stoffa di lana grossolana», «cosa grossolana» (di probabile origine etrusca; ESL 79), dal quale invece è derivato regolarmente il sardo burra² «borra, tosatura del panno, coperta di lana grossolana». È dunque probabile che il nostro vocabolo esistesse già in Sardegna, nella lingua sardiana o protosarda, prima che ve lo portassero i Romani (M.P.; LISPR, NVLS). Vedi Riu burrosu

Busa (Martis) «macchia, grosso cespuglio, zona di cespugli»; è l’appellativo busa, (b)usa «macchia, grosso cespuglio, zona di cespugli» (Illorai, Bolotana) (DitzLcs), finora sconosciuto e probabilmente relitto sardiano o protosardo. Toponimi Busachi (Comune di B.), Busadda, Busaddedda (Cargeghe), Busadde (Cuglieri), Busanca (Ulassai), Busola (Borore), Busoro e Busurté(i) (Sedilo) (M.P.). 

Busadda, Busaddedda (Cargeghe), toponimo citato nel Condaghe di Trullas (CSNT 255, 264) e in quello di Salvennor come Gusalla, Usalla, Osalla, per il quale sono possibili due spiegazioni etimologiche: 1ª) È da riportare all’altro Osalla, Osala (Dorgali, Orosei; cala) toponimo sardiano o protosardo (-ll- conservato e suff.), che potrebbe significare «bocca, foce», da confrontare - non derivare - col lat. os «bocca», dalla base indeur. *osa «bocca; foce di fiume» (DELL) (TSSO). 2ª) È da riportare all’appellativo busa, (b)usa «macchia, grosso cespuglio, zona di cespugli» (Illorai, Bolotana) (DitzLcs), finora sconosciuto e probabilmente relitto sardiano o protosardo. Vedi Busa (Martis), Busadde (Cuglieri), Bosa (Comune di B.), Flumendosa (Villaputzu), Osolái (Bitti, Dorgali), Osana (Onifai, Orosei), Busalla (in Liguria).

Buttángaru (Sorso) «pozzanghera», vedi puthancaru (m.) «pozzanghera» (mediev., CSPS 404); toponimi Putzáncaru (Sedilo): probabilmente relitto sardiano o protosardo da confrontare – non derivare - col tosc. pozzànchera, pozzànghera (non sufficientemente spiegato; DELI²), toponimo tosc. Pozzàcchera (TTM 355) e inoltre col lat. puteus «pozzo» (già prospettato come di origine etr.; DELL) (M.P., OPSE 226, DILS, LISPR). 

Cabu Abbas (prov. di Sassari) - Nome di una curatoria del Giudicato di Torres, che comprendeva i seguenti cinque villaggi: Bessude, Cheremule, Cossoine, Giave, Thiesi. Letteralmente significa «Capo (delle) acque», dal lat. caput «capo» e aquas «acque» (accusativo plur.), ed è una locuzione che si ripete in altre zone della Sardegna e precisamente nei pressi di Bortigali, Olbia, Perfugas, Sindia, Siliqua e Villaurbana (SSls 167) e che indica il monte o il sito da cui iniziano uno o più corsi d'acqua oppure un antico acquedotto romano (come ad Olbia). Vedi Caputabas nei CSPS 294, 308, 310; Csorres (DES I 294; NGAO num. 313).

Cácchile (Chiaramonti, Nule) «sito di polloni»; log. cácchile «insieme di polloni»; caccaone «picciòlo, peduncolo di frutta e di foglie», «raspo d'uva»; probabilmente relitto sardiano o protosardo da confrontare – non derivare - coi tosc. cacchio «germoglio», «primo tralcio della vite», romanesco «piccolo grappolo», tosc. cacchione «piuma nascente dei gallinacei» (suff. -on-), pisano càccolo «torsolo di un frutto», reggiano kakle, modenese kakel «torsolo di mela o pera» e infine con l'antroponimo etr. Caciu (DETR; DILS, NVLS).

Cala Austina (pronunzia locale Cal'Aultína, trascrizione doppiamente errata e antistorica Baja Ostina) (Castelsardo) - L'appellativo cala «insenatura di mare» deriva dal corrispondente ital. o catal. o spagn. (DILS 245). Circa l'etimologia di Austina ritengo che Mauro Maxia (NLAC), abbia prospettato la sua migliore ipotesi quando, richiamata la forma medievale Lagustina, ha prospettato che il toponimo derivi dall'aggettivo etnico lat. Ligustinus,-a = «Ligure». Pertanto «Cala Austina» quasi certamente in origine significava «Cala volta od aperta alla Liguria». Vedi Tibula minor

Calambru, riu Calambru (Bonorva) - Questo idronimo significa «rivo impetuoso, rivo dalle piene rovinose» e deriva dall'aggettivo calambru «violento, impetuoso» (Bonorva). Questo probabilmente è una retroformazione da iscalambrare «uccidere, far preda», iscalabrare «ferire in malo modo, scempiare, sfigurare, sfregiare, rovinare», che deriva dallo spagn. descalabrar (DILS 246).

Calancói (Osilo): toponimo prelatino, come indizia già il suffissoide -ói, da riportare all’appellativo calanca «fessura di roccia, crepaccio», «cavità oculare»; calancone, calangone, coloncone «grosso buco, pertugio, antro» (suff. -on-): relitti sardiani o protosardi, da confrontare – non derivare - con gli ital. calanca «insenatura», calanco «solco di erosione del terreno» e da connettere con cala «cala, buca, tana». Cfr. Calanchèo (Bosa) (M.P., LISPR).

Calangianus (pronunzia gallur. Calagnani, Caragnani; log. Calangianos, Calanzanos, Calenzanos) (Comune di C.). L’abitante Calagnanesu, Calangianesu. Si tratta certamente di un toponimo prediale, cioè derivato da un aggettivo sostantivato *Calanianos (al plur.), nome di coloni di una villa o tenuta di un proprietario romano chiamato Calanius. Questo gentilizio è realmente documentato, sia pure non in Sardegna (RNG; UNS 146).- Sia nella sua pronunzia originaria logudorese, sia in quella successiva gallurese il toponimo dal punto di vista morfologico risultava al plur., però purtroppo è stato erroneamente ridotto al sing. dagli amanuensi e dai burocrati; proprio come è avvenuto per Silanus (vedi).- Il villaggio è citato in età medievale come Calayano e Villa Calanyanus (GG 272). Per l'anni 1580-1589 è citato da G. F. Fara, Chorographia Sardiniae (130.2; 224.23; 226.5) come oppidum Calangiani della curatoria di Geminis e della diocesi di Civita (Olbia).

Caldosa, la, (frazione di Arzachena) - Il toponimo significa «la (zona) piena di cardi» e deriva dal gallur. cáldu «cardo», a sua volta dal lat. cardu(u)s (REW 1687). Cfr. Aldosu, Gardosu.

Calvái (Perfugas) è da connettere col toponimo sardiano o protosardo, Carbái, Carvái (Oniferi, Suni) (suffissoide) e da riportare all’appellativo carba, carva «ramo d'albero», relitto “mediterraneo” imparentato geneticamente con gli asturiani carba «sterpeto», garbu, gárabu «legna minuta», basco karbasta «palo provvisto di rami», provenzale garbo «tronco d'albero cavo» (M.P.; DILS, LISPR). Ma potrebbe essere un errore per Calvia (vedi).

Campanedda (frazione di Sassari nella Nurra) – Il toponimo corrisponde al nome di pianta log. campanedda «convolvolo, vilucchio» (Campanula persicifolia L.). Questo è il diminutivo di campana «campana», il quale deriva dal lat. campana (DILS).

Campeda (tra la prov. di Sassari e quella di Nùoro) - Attualmente il toponimo indica l'altopiano che, con una altezza media di 650 metri sul mare, sovrasta Bonorva a sud e Macomer a nord e consente l'attraversamento della catena del Marghine (vedi). In epoca medievale indicava un villaggio della diocesi di Bosa, chiamato ripetutamente Campeta nel Condaghe di Trullas (197, 199, 225, 306) e Campeta, Campeda nel Condaghe di Bonarcado (13, 88) e nel Codex Diplomaticus Ecclesiensis (CDE 986). Molto probabilmente corrispondeva all'antico stanziamento umano che era a Padru Mannu = «Prato grande», dove si trovano tuttora cippi funerari di epoca romana e dove passava la strada romana che andava da Cagliari a Porto Torres e ad Olbia.- Secondo Max Leopold Wagner (HWS § 94; DES I 278) e Antonio Senes (CVS 493), campeda esisteva nella lingua sarda anche come appellativo, indicante una «zona pianeggiante di alta collina ed acquitrinosa». La sua etimologia è sicura: deriva dal lat. campus «campo pianeggiante ed aperto», fornito del suff. -etum, al femminile, cioè campeta.- Esiste un toponimo Campeda nell’agro di Bosa e sas Campedas in quello di Montresta. Vedi Gitil.

Campuiledda (Telti) (NGAO): probabilmente cognome doppio Campui Ledda. Vedi Campui, Campuy (mediev.; CSP 400, RDS).

Canaili (frazione di Luras) - Forse il toponimo è da pronunziare cannaíli e da interpretare come «canapaio, campo coltivato a canapa», il quale deriverebbe da cannáu «canapa», «canapo», a sua volta dal lat. cannabus (DILS).

Canale, su, (frazione di Monti, Gallura) – Il toponimo corrisponde all'appellativo log. canale «canale», il quale deriva dal lat. canale(m) (DILS). Cfr. Domusnovas Canales.

Caniga (Cániga) (frazione di Sassari) – Il toponimo è citato numerose volte nel Condaghe di Silki come Canache, Canake e anche negli Statuti del Comune di Sassari (StSS I 106). Circa l'etimologia si possono prospettare ben due differenti soluzioni: 1ª) Potrebbe derivare dall’appellativo lat. canicum «ortica» (Oribasio), al neutro plurale; 2ª) Potrebbe derivare dall’appellativo lat. canĭcae,-arum «crusca di grano» (Lucilio). 

Cannedu - Antico centro abitato situato a circa 1 chilometro da Ittiri, nella forte discesa che porta ad Alghero e che è stato sempre considerato come facente parte del medesimo nucleo abitativo di Ittiri; tanto è vero che, per distinguere Ittiri da Ittireddu, nell'Ottocento e nella prima metà del Novecento si parlava di Ittiri Cannedu differente da Ittiri Fustialbu (vedi). Il toponimo deriva dal lat. cannetu(m) «canneto» (DILS). La più antica documentazione del toponimo probabilmente è quella del Condaghe di Silki come Cannetu (CSPS 97, 205, 345) (Day 87).

Cannigione (frazione di Arzachena) - Il toponimo corrisponde al fitonimo o nome di pianta cannigiòne, cannisòne, cannijòne,-i «cannuccia palustre», «gramigna perenne» (suff.), che molto probabilmente è un relitto sardiano da confrontare - non derivare - col greco kánna «canna» (prestito forestiero; GEW, DELG, DELL, DEI, AEI, NPRA, DELI²). A mio avviso, dunque, è probabile che l’appellativo cannigiòne e l’altro canna esistessero già in Sardegna, nella lingua sardiana o protosarda, prima che i Romani vi portassero il loro canna (DILS, LISPR, NVLS).

Cantaru (Cántaru, su, (in parecchi Comuni).– Il toponimo corrisponde all'appellativo cántaru «condotto d'acqua, sorgente, fonte, fontana» (soprattutto la fontana in cui l'acqua sgorga da un condotto di pietra o di metallo», il quale deriva dal lat. cantharos, a sua volta dal greco kántharos «tazza» (DILS). Cantareddu è la fontana centrale della vecchia Ozieri. Cfr. Modolo.

Capannaccia (frazione di Palau, Gallura) – Il toponimo è di coniazione recente e di struttura italiana e significa chiaramnte «brutta capanna».

Capichera (frazione di Arzachena) - Considerato che in un documento dell'anno 1421 il toponimo è citato come Capichere (GG 246), cioè con un suffisso sardiano o protosardo -ère, -éri (LISPR 65), è probabile che sia anch’esso sardiano o protosardo. Ma non si intravede per esso alcun significato sicuro.- La Chorographia Sardiniae (226.17) di G. F. Fara (anni 1580-1589) cita l'oppidum Capicherae come distrutto.

Caprera (isola dell'arcipelago della Maddalena) - È del tutto evidente e certo che Caprera significa «isola delle capre selvatiche», proprio come l'isola dell'arcipelago toscano Capraia. L’esistenza di capre in queste isole è probabilmente dovuta ai naviganti antichi, i quali ve le introducevano per avere negli sbarchi successivi sia il latte sia la carne delle bestie.- La più antica attestazione dell'isola sarda probabilmente si trova nella Cosmographia dell'Anonimo Ravennate (V, 25) come Capraria. In epoca medioevale il toponimo subì l'influsso della lingua toscana diventando Caprara e poi quello catalano oppure castigliano diventando Caprera (CS 112).

Caramalzu (Buddusò): caramarzu, caramalzu «grande rifugio naturale, antro, spelonca», da cárama «nicchia, ripostiglio, camera», probabilmente relitto sardiano o protosardo, da confrontare – non derivare – col greco kamárha «cavità, conca, volta di stanza, camera a volta» (di origine incerta; DELI) (M.P., LELN 93, NVLS). Vedi Caramatta (Bitti), Caramiddái (Bottidda).

Caramatta (Bitti), Caramiddái (Bottidda), Caramulòe (Ollolai): toponimi sardiani o protosardi (suffissoidi), da riportare all’appellativo cárama «nicchia, ripostiglio, camera»; caramitta, caramotto «cameretta, nicchia, volta, ripostiglio, antica tomba scavata nella roccia, domo de janas» (DitzLcs, DSIL); caramarzu «grande rifugio naturale, antro, spelonca»: probabilmente relitto sardiano o protosardo, da confrontare – non derivare – col greco kamára «cavità, conca, volta di stanza, camera a volta» (di origine incerta; DELI). Probabilmente i toponimi si riferiscono ad altrettante domo de janas (M.P., LELN 93).

Carbia (Alghero) - Mansione citata dal romano «Itinerario di Antonino» (83, 7), in un tracciato di strada che seguiva la costa occidentale della Sardegna e di certo passava attraverso il ponte romano dello stagno di Calich. Carbia quasi certamene si trovava presso la chiesetta di Santa Maria di Calvia, poco a nord-est di Alghero, nei pressi del rio Calvia. Questa chiesetta era in precedenza un edifizio religioso di epoca romana, il quale forse era dedicato alle Ninfe, divinità delle acque, dato che nel suo interno sgorga ancora l'acqua (in epoca classica sia la vicina isola Foradada sia il vicino Porto Conte erano dedicati appunto alle Ninfe).- Il toponimo Carbia si collega a questi altri: Carbia (Illorai), Carbái, Carvái (Oniferi/Orotelli, Suni), Crabái (Villasor, Zerfaliu), Crábia (Milis) e probabilmente è da connettere con l'appellativo sardo carba, carva «ramo d'albero» e tutti sono da confrontare - non derivare - con gli asturiani carba «sterpeto», garbu, gárabu «legna minuta», basco karbasta «palo provvisto di rami», provenzale garbo «tronco d'albero cavo» (SSt; LISPR). Collegato come risulta con vocaboli imparentati dell'area ibero-basco-provenzale, quello sardo probabilmente è un relitto “mediterraneo” e quindi precedente all'arrivo dei Sardi dalla Lidia nell'Asia Minore (vedi Sardara, Sardegna, Serdiana). Con riferimento all'antico centro abitato probabilmente Carbia indicava una carba, ossia un "ramo dello stagno di Calich", presso cui essa era situata, stagno che nell’antichità aveva di certo un'area in parte differente da quella attuale.- In epoca medievale il villaggio di Carbia, Carvia è citato parecchie volte nel Condaghe di Silki, nel Condaghe di Trullas e nella Carta di permuta fra Torbeno e Costantino d’Orrubu del 12 ottobre 1102 (CREST XII 8). Esso andò in rovina quando fu fondato Alghero, che con le sue mura poteva difendere meglio la popolazione dagli attacchi dei soliti pirati saraceni.- Da Carbia è derivato il cognome sardo Calvia, che indicava un individuo nato od originario di quella località (CSSO, DICS). 

Cardarone (Florinas) «calderone», dal corrispondente italiano. 

Caresi (Olbia, S. Teresa G.) (NGAO) - Probabilmente è il gentilizio di un proprietario romano Caresius (RNG) (in caso vocativo), che avrà avuto possedimenti nelle due località galluresi (UNS 148) (Day 125). Di questo cittadino romano sarà stato cliente quel militare Tunila Cares[ius], di cui è stato trovato il congedo in bronzo presso Dorgali (CIL X 7890).

Cargeghe (localmente Calzeghe, Carzeghe, Caxeghe, sass. Cagliegga) (Comune di C., SS). L’abitante Cargeghesu, Calzeghesu - Nel Condaghe di Silki (CSPS 24) compare come Carieke. Già per il suo suffisso -èk- (quello di Monteghe, Nuréchi, Nuréci, Murrecci, Pedrecche; vedi) mostra di essere un toponimo sardiano o protosardo (LISPR 64). Ed io sono dell'avviso che il toponimo possa significare «(sito) rovinoso», da connettere – non derivare - col lat. caries «corrosione, disfacimento, materiale in disfacimento», il quale fa capo ad una radice indeuropea che significa anche «rovina» (DELL). Ed infatti il villaggio è situato sull’ampio ciglione settentrionale del monte Pitzu ‘e Adde. Cfr. Gherjeqe (Orgosolo; corrige TSSO 512).- Il villaggio è citato nel Codice Diplomatico delle relazioni fra la Sardegna e la S. Sede (CDSS I 408, 411) e compare fra le parrocchie della diocesi di Ploaghe che nella metà del sec. XIV versavano le decime alla curia romana (RDS 377, 2103, 2658, 2735). Inoltre è citato nella Chorographia Sardiniae (124.30; 172.14) di G. F. Fara (anni 1580-1589) come oppidum Cargeguae.

Casagliana (frazione di Olbia) - Il toponimo probabilmente significa «zona di case coloniche» oppure «zona di case rustiche in rovina» e deriva o dal tardo lat. casale «gruppo di case rurali» o dall’ital. casale (NGAO).

Castannuri (Buddusò): da connettere col pansardo castángia, castagna, castanza «castagno e castagna» (albero e frutto), che deriva dal lat. castanea; oppure col fitonimo castannáriu, castan(n)arzu, castannágliu, castangiárgiu, castennárgiu «erica arborea e scoparia» (Calluna vulgaris L., Erica arborea, E. scoparia L.), che deriva da castángia, castanna, castanza, indicando propriamente il «tubero o bulbo» della pianta, che è "tondeggiante come una castagna", tanto che se ne fanno le pipe (M.P., corrige DILS, NVLS).

Castanza, sa, (frazione di Olbia) - Il toponimo corrisponde al fitonimo o nome di pianta log. castanza «castagno», il quale deriva dal lat. castanea. Il fitonimo log. indica sia l'albero che il frutto, però in questo caso probabilmente indica l'albero, al singolare, ma col valore collettivo di "alberi di castagno".- Un altro centro abitato chiamato Castagna esisteva nel Gerrei (Day 36).

Castel Doria (pronunzia log. Casteddu Doria) (Santa Maria Coghinas, Anglona) - È un toponimo bimembre di chiara matrice italiana, che propriamente significa «Castello (dei) Doria», ossia della famosa e potente famiglia genovese, che lo avrebbe fondato e che l'ha posseduto fra il XII sec. e la metà del XV. Esso era in una posizione di notevole valenza strategica e precisamente al confine fra il Giudicato di Torres e quello di Gallura.- Le più antiche attestazioni del toponimo sono in latino: Castrum de Auria. Quest'ultima è la forma latineggiante - ma non è sicuro che sia quella originaria - del cognome della famiglia genovese, il cui svolgimento sarebbe: de Auria, d'Auria, d'Oria, Doria. 

Castel pedreso (Olbia) (NGAO num. 2282) = «castello pietroso», che probabilmente deriva da un lat. *petrensis-e (M.P.). Vedi Pedresi (Perfugas). 

Castelsardo (in sardo Casteddu Sardu o Saldu) (Comune di C., SS). L’abitante Castellanu, Castiddanu - La storia della denominazione di questo ridente paese sardo documenta icasticamente la storia delle dominazioni forestiere che si sono susseguite in Sardegna. Il primo componente del toponimo deriva chiaramente dal lat. castellum, mentre la denominazione Castelsardo (che sarebbe stato molto meglio scrivere Castel Sardo) risale appena al 1769, anno in cui Carlo Emanuele III di Savoia cambiò il nome del paese. In precedenza, dopo l’occupazione da parte degli Aragonesi nel 1448, era stato denominato Castell'Aragonese; ma prima ancora si chiamava Castrum Januense o Castel Genovese. E appunto come Castedu Ianuae compare negli Statuti di Castelsardo degli anni 1334-1336 (CREST XXVII 195, 4).- Molto probabilmente in epoca classica il centro abitato si chiamava Tibula, il quale però si trovava non sul promontorio che si spinge nel mare e dove, per migliori condizioni di difesa, è stato in epoca medievale costruito il "castello", cioè nel cosiddetto Capo Bella Vista, bensì su quel costone di monte, oggi denominato lu Póbbulu oppure Monti di la Marina o di sant'Antoni, che gli si oppone a mezzogiorno e che incombe sulla foce del fiume Frigiano. Qui infatti ancora alla fine del sec. XVI G. F. Fara vedeva i resti di costruzioni e di monumenti non dispezzabili di una città antica, che egli chiamava - sbagliando - Fresano o Frisano, cioè col nome del detto rivo (cfr. Chorographia Sardiniae, 80.12; 176.29). Di questi resti rimangono tuttora alcuni, compreso un lungo tratto di mura, che però stanno per essere distrutti dalla invasione della edilizia cittadina...- Ancora G. F. Fara, dicendo di seguire autori spagnoli, attribuisce la fondazione di Castel Genovese alla famiglia dei Doria e colloca tale evento nel 1102. Però è molto più probabile che tale famiglia fosse quella dei Malaspina e non quella dei Doria.- Sembra che la più antica attestazione del nuovo insediamento sia quella che compare nelle Rationes Decimarum Italiae, Sardinia, nella scheda 250 del 1341, come Castrum Ianuense. 

Castra, Castro (Oschiri) – Antico centro abitato di cui rimangono i resti nel territorio di Oschiri, a circa 1 chilometro a sud-ovest della chiesa di Nostra Signora di Castro. Questo di certo era in origine un campo militare romano, come indica chiaramente il vocabolo lat. castra,-orum, al plur. Il campo sarà stato impiantato dai Romani, all’epoca di Augusto (Meloni, Rom.² 310; Mastino, StSarAnt 543), per controllare e difendere la vallata che porta dalla piana di Chilivani al territorio di Olbia, zone che subivano le continue incursioni e razzie dei Corsi della Gallura e dei Balari di Perfugas (vedi). Probabilmente Castra ha sostituito un precedente insediamento sardiano-nuragico, come dimostra il fatto che entro la cerchia delle sue mura - di cui rimangono ancora resti - si trova pure la base di un nuraghe. Il campo militare è citato dall’Anonimo Ravennate (di epoca bizantina) come Castra Felicia e probabilmente anche da Leone il Saggio, Episcopatuum Orientalium Notitiae, come Kástron Toûta (Patrologia Graeca, CVII c. 344).- Da Castra, dove è accertata la presenza di una III coorte di Aquitani, è partito un suo “distaccamento” che ha fondato Caput Tyrsi nei pressi di Orune (vedi).- Una volta accertata la ubicazione dell'antica Tibula a Castelsardo (vedi), si deve escludere che Castra dei Romani abbia sostituito il precedente centro sardo di Lugudone, il quale invece probabilmente va localizzato e identificato con l'odierno Ploaghe (vedi).- In epoca medievale la forma del toponimo Castra fu mutata nell'altra di Castro. E come Castro fu capoluogo di una diocesi, che comprendeva le seguenti parrocchie: Oschiri, Berchidda, Monti, Buddusò, Osidda, Nule, Orune, Bono, Olesa, Pattada, Tula, le quali versavano le decime alla curia romana, come indicano le Rationes Decimarum Italiae, Sardinia della metà del sec. XIV. Molto prima però nel Condaghe di Silki è citato un arkipiscopu Gosantine de Castra, ma la località è citata anche prima nel medesimo Condaghe di Silki (CSPS 273, 340). Castra è citato anche nella Carta di donazione di Pietro de Athen del 29 ottobre 1113 e nella Carta di revoca tributaria a favore di Montecassino del 1170 (CREST IIBb 8; XXIV 11). Si deve tener presente che anche Cagliari fu talvolta chiamato Castro (= Casteddu) e che esisteva un altro Castro presso Civita (Olbia).

Cataletta (Padru, Valledoria) (NGAO) = «catasta pensile di legna»; log. catalettu, cadalettu, cadalittu, qadalettu, qodalettu «scaffale rustico», «catasta pensile di legna», «pagliaio», «soppalco rustico per il guardiano degli orti», che deriva da un lat. *catalectu(m) (DILS, NVLS). 

Cheltusunele (Alà): probabilmente = «ricerca, caccia della volpe»; chertu (m.) «ricerca», da chertu participio di chèrrere «chiedere, domandare». Vedi Unele

Cherchi (Sassari) antico villaggio chiamato nel Medioevo anche Kerki (Kerqui nel CSPS 420), situato a 5 chilometri a sud-est di Porto Torres, citato frequentemente in tutti i documenti medievali. Il toponimo potrebbe derivare dal gentilizio latino Cercius (RNG; UNS 149) (in caso vocativo, come avveniva spesso con gli antroponimi). E questo sarebbe stato un proprietario della vicina colonia romana di Turris Libisonis (vedi).- Attualmente Cherchi ricorre come cognome diffuso in tutta l’Isola (DICS). A Bosa esiste il toponimo Calchettanos = «nativi od originari di Cherchi».

Cheremule (Cherémule, Chelémure) (Comune di C., SS). L’abitante Cheremulesu, Chelemuresu - Questo piccolo villaggio, della curatoria di Cabu Abbas, è citato molto per tempo e parecchie volte nei documenti mediev.: Kelemule e Chelemule (CSPS); Kelemule, Kelemuli, Kilemuli, Gillemuli (CSNT); Chelemule, Quelemule, Calemole, Caremole (CSorr).- È probabile che il toponimo sia di origine bizantina, corrispondendo all’appellativo greco cheiromúlē, cheirómylon «macina a mano». Tale denominazione farebbe riferimento al particolare basalto, esistente nella zona, detto appunto «cheremulite», pietra nera, porosa e leggera, particolarmente adatta per la fabbricazione delle macine (cfr. Mulargia).- Il villaggio è citato pure negli elenchi delle parrocchie della diocesi di Sorres che nella metà del sec. XIV versavano le decime alla curia romana (RDS 134, 797, 1297, 1730), nonché tra i villaggi che sottoscrissero la pace fra Eleonora d'Arborea e Giovanni d'Aragona del 1388 (CDS I 842/2). Inoltre è citato nella Chorographia Sardiniae (174.29) di G. F. Fara (anni 1580-1589) come Chelemulum. 

Cherina, sa, (Chiaramonti) «il recinto per ovini o per suini»; pansardo chirra, chírria, cirra, chirrina, chirina/u, cherina, cirina, cerina, qerina/u, chirrone, tzirrone «recinto per ovini o per suini»; toponimo Qeriniddái (Ollolai) (suff. e suffissoide): relitto sardiano o protosardo da confrontare – non derivare – col lat. cirrus, cirra «cirro, ciocca di capelli, ricciolo» (di origine ignota; DELL, AEI, DELI) (la connessione semantica tra la «ciocca di capelli» e il «recinto» si trova nel significato intermedio di «groviglio, siepe»). L’appellativo dunque esisteva già in Sardegna, nella lingua sardiana, prima che i Romani portassero quello loro, il quale ha dato regolarmente il seguente chirra² (M.P., DILS, NVLS). 

Chiaramonti (localmente Tzaramonte) (Comune di C., SS). L’abitante Tzaramontesu - Il toponimo deriva dalla locuzione log. craru de monte «luogo panoramico» (letteralmente «chiaro di monte»), attraverso le fasi craru 'e monte, crar' 'e monte, locuzione però italianizzata. A Nùoro si dice semplicemente su craru, il quale è un aggettivo sostantivato che deriva dal lat. clarus. È da confrontare col toponimo Craru de Idda (Erula) = «Sito panoramico del villaggio».- Il villaggio di Chiaramonti risulta citato in documenti relativamente recenti: Codice di S. Pietro di Sorres (CSorr 8, 35, 269) come Çaramonte, Zaramonte, Saramonte; tra i villaggi che sottoscrissero l'atto di pace fra Eleonora d'Arborea e Giovanni d'Aragona del 1388 (CDS I 837) come Çaramonte; e nella Chorographia Sardiniae di G. F. Fara (anni 1580-1589) come oppidum Claramontis. 

Chidade, sa, (Alà, Olbia, Pattada): «la città» (evidentemente resti di un antico insediamento umano) (anche ad Alà ed Olbia). Cfr. Chitate (Bitti). 

Chighinele (Oschiri): toponimo sardiano o protosardo (suff. diminutivo -nèle), il quale è da connettere con l’appellativo chíghine «cenere mista a frammenti di carbone accesi» (Goceano), che corrisponde - non deriva - al lat. cinis,-eris «cenere» (di origine molto dubbia; DELL). Vedi cognome Chighine/i (CSSO, DICS).

Chighizu (Sassari) - Zona a oriente di Sassari che termina col ciglione che sovrasta le odierne gallerie della superstrada Porto Torres-Cagliari. È molto probabile che questo toponimo derivi dal gentilizio romano Caecilius. E infatti rappresentanti della famosa gens Caecilia risultano documentati come presenti in Sardegna da alcune iscrizioni romane rinvenute nell'isola (CIL X 7852, 8326 Porto Torres, ecc.) (Rowland 218, 220, 222). Oppure, in subordine, potrebbe derivare da su chizu «il ciglione» (con agglutinazione dell’articolo), a sua volta dal lat. ciliu(m). 

Chigonza (Mores, in zona di orti), deriva dal lat. ciconia «cicogna e mazzacavallo per attinger acqua» (A. Areddu 121; DILS).

Chilivani (Ozieri): ampia zona piana della Sardegna centro-settentrionale e frazione di Ozieri. Il toponimo è da connettere con gli altri Zeddiani (antico Cellevane; Comune di Z.), Theddevane (Oliena). Tutti e tre sono toponimi sardiani o protosardi, forse da confrontare – non derivare - col lat. caelebs «libero, celibe, vedovo», finora di origine ignota (DELL, DELI), ma da qualcuno prospettato come di origine etrusca (ESL 137). I tre toponimi, sardiani o protosardi, potrebbero pertanto significare «sito libero di alberi, sito aperto».- In ogni modo è da respingersi la favola, secondo cui il toponimo sarebbe derivato dal nome di una giovane indiana chiamata Chili-Vani, portata in Sardegna dall'inglese Beniamin Piercy, uno dei costruttori delle ferrovie della Sardegna alla fine dell'Ottocento. Il toponimo infatti risulta già citato in una relazione spagnola del 1768 come Quilifani (Quaderni Bolotanesi, num. 12 del 1986, pg. 303) e inoltre in una delibera del Consiglio Comunale di Ozieri dei primi decenni dell’Ottocento (CVS² 56). In questa favola l'unica nota vera sarà stata la fortuita corrispondenza fonetica che gli amici del Piercy avranno constatato e sottolineato fra il toponimo sardo e il nome della giovane indiana. 

Chirialza (frazione di Monti) - È possibile che questo toponimo significhi «zona di recinti per agnelli o capretti o per suini», derivando da chirra «recinto per agnelli o capretti o suini» (DILS, NVLS). Vedi Cherina. 

Chiriddò (Oschiri), toponimo sardiano o protosardo (suffisso, ossitonia), forse da connettere con l’altro Biriddo (Dorgali) e da confrontare – non derivare - col tosc. pirolo «piolo, paletto, birillo» (di origine incerta; DELI). Cfr. Biriddi (Orgosolo), Birilà (Nughedu S. Nicolò), Birilái (Bitti), Biralò (Buddusò), Iriddo (Bottidda).

Chirigghina (Sorso) probabilmente «piccola Quirica», nome pers. femm. al diminutivo.

Chiscuza (Perfugas): corrisponde al log. chischiza, chirchiza, chiscuza/u, cuscuza,-u, cuscuzía, curcuza,-u, chercuzu «vagliatura del grano nell'aia», «fruscoli, ramoscelli secchi», «rimasugli di paglia, legna, ecc.» (collettivo), da confrontare – non derivare - col lat. quisquiliae (M.P.; DILS, NVLS). 

Chisterra, sa, (Olbia-Berchiddeddu) (NGAO) «la capannuccia dei maialini», deriva dal lat. cisterna (DICLE).

Chita (Lodè), Chida (Bono), sa: «il turno di riposo dei pastori, il loro punto di incontro per il cambio»; Janna ‘e sa chida (Nùoro) «valico del turno di riposo»; chita (bittese e baroniese), chida (nuorese e log.) = «alternanza, turno, turno settimanale, settimana» è un deverbale di chitare «lavorare di turno per una settimana» (Lodè), acchidare «alternare» e «aggiustare» e deriva dal lat. quietus, quetus (REW 6958), come l'antico ital. chitare, quitare «lasciare, abbandonare» (DEI 911) e il francese quitter «lasciare, smettere, smontare per aver finito il proprio turno di lavoro». In passato i pastori sardi, sempre in movimento con le loro greggi, per darsi il turno fra loro si davano l'appuntamento in qualche località preventivamente fissata. Oltre ai toponimi citati, si presti attenzione a questi altri: sas Chidas (Bottidda), sa Tanca ‘e sa Qida (Oliena) (M.P., DILS, NVLS). 

Chitate (Bitti), Chidade, sa, (Alà, Olbia, Pattada): «la città», tre toponimi riferiti ai resti di quelle che erano ritenute antiche città; derivano chiaramente dal lat. civitate(m) (NGAO num 369).

Ciaccia, la, (frazione di Valledoria) – Il toponimo significa «il ginepro rosso», perché corrisponde al fitonimo o nome di pianta gallur. giáccia, (a)jáccia «ginepro rosso» (NLAC 128) (da confrontare col nome della città di Aiaccio della Corsica), il quale si connette col ligure occidentale agáyxu «ginepro rosso» (NPS 444). 

Codaruina (gallur. Codaruína, log. Coaruína) (Valledoria) - Toponimo composito, il cui significato letterale è «coda (della) rovina», che però in effetti significa «terreno terminale (della) rovina». Quasi certamente esso contiene il riferimento a "rovine" di un insediamento antico e cioè di qualche sobborgo dell'antica Ampurias (vedi), la quale distava meno di 2 chilometri, sulla foce del fiume Coghinas. Il primo componente del toponimo còa «coda» deriva dal lat. parlato coda (per cauda), il secondo ruína «rovina» deriva dal lat. ruina (REW 7431; DILS) (cfr. Coderra, Ruinas).- Il toponimo è ormai in fase di sparizione, da quando nel 1961 si è formato il nuovo comune di Valledoria (vedi), che ha inglobato le frazioni di Sedini (Codaruina, S. Maria Coghinas, Vidda Noa) e di Castelsardo (La Mudditza e La Ciaccia) (NLAC). 

Codina, sa, (Martis, Perfugas) «la roccia»; (centr., log.) cotina, codina «pietra, roccia affiorante, roccia piatta e lunga, macigno, ammasso di rocce», relitto sardiano o protosardo, da confrontare – non derivare - coi lat. cos o cotis, cutis, cautis «cote, sasso, roccia, rupe, scoglio», antronimo Cutin(i)us da connettere con quello etr. Cutna, Cuthna e inoltre coi tosc. còtano «grosso ciottolo» (DEI, GDLI) e ciòttolo «piccolo sasso tondeggiante di fiume» (di probabile origine preindeur. DELI²) (OPSE, LISPR, DILS, NVLS).

Codrongianus (anche Codrongianos, localmente Codronzanu) (Comune di C., SS). L’abitante Codrongianesu, Codronzanesu - Nel Condaghe di Silki il villaggio è citato molte volte come Cotronianu, Cotronianum, Quotronianum, Cotroianum, Cotrongianu. Da questa forma è piuttosto facile ricavare l'etimologia: in origine era una indicazione prediale che derivava da un *Crutonianu(m) e indicava il possedimento di terre da parte di un proprietario romano chiamato Crutonius; questo è un gentilizio realmente documentato, sia pure non in Sardegna (RNG). La -s finale della forma ufficiale del toponimo è effetto di una manipolazione semidotta degli scrivani antichi. (È più costoso, dal punto di vista fonetico, richiamare, come hanno fatto alcuni autori, il gentilizio lat. Catronius). La presenza di un possidente romano nel sito di Codrongianus trova una perfetta spiegazione nella particolare ricchezza agricola del suo territorio.- Già il Condaghe di Silki cita il nucleo abitato Quotronianu Josso (CSPS 427), quello che ha ricordato Vittorio Angius nell'Ottocento, dicendo che aveva una chiesa dedicata a San Procopio.- Il villaggio è citato anche dal Condaghe di Salvenor (CSMS 160), da due documenti del Codex Diplomaticus Sardiniae, rispettivam. degli anni 1125 e 1183 (CDS I 205/1, 254/1), dal Codice Diplomatico delle relazioni fra la Sardegna e la S. Sede (CDSS I 408). Risulta fra le parrocchie della diocesi di Ploaghe che nella metà del sec. XIV versavano le decime alla curia romana (RDS 329, 334, 890, 1224, 1709) ed è citato nel quattrocentesco Codice di Sorres (CSorr 328). Inoltre è citato nella Chorographia Sardiniae (124.29; 172.15) di G. F. Fara (anni 1580-1589) come oppidum Codrongiani. Vedi Logudoro.

Coghinas - Fiume dell'Anglona, che sfocia nel golfo dell'Asinara. Di certo ha preso nome dal villaggio di Coghinas (adesso Santa Maria Coghinas; vedi), presso cui scorre. Coghinas significa «Cucine» e deriva dal lat. cocina per coquina (DILS). Tale denominazione deriva dal fenomeno della “ebollizione” cui vanno soggette le acque del fiume, nel sito in cui queste si confondono con le emissioni termali del sottosuolo (NLAC). L'idronimo in seguito si è esteso fino ad indicare l'intero fiume; anche se bisogna precisare che questo, nel suo corso a monte, viene denominato Riu Mannu «Rivo Grande» e anche con altre denominazioni a seconda delle zone attraversate (come d'altronde avviene per tutti i fiumi sardi).- La più antica documentazione del fiume in epoca medievale sembra che si trovi nel Codex Diplomaticus Sardiniae (CDS I 150/1) in un documento senza data, il quale, secondo il Besta, riferirebbe avvenimenti della I metà del sec. XII, ma sarebbe stato redatto un secolo dopo: Ampurias in sa fogue de coquinas. Io invece accetto la tesi di Mauro Maxia (NLAC) secondo cui la redazione o almeno la ritrascrizione di questo documento è molto posteriore, dato che le scritture fogue e coquinas risultano fatte secondo la grafia spagnola (cfr. Ampurias).

Cogude (Laerru): probabilmente = «cappuccio, coperchio, cima»; pansardo cucuthu, cucuttu, cuhuttu, cuguttu, cugutzu, ququthu «cappuccio del cappotto maschile di orbace», «coperchio, copertura», «cima», che deriva dal lat. cucutiu(m) (M.P.). 

Coloru (Bonorva): coloru/a, colóvuru, caboru, carhodu «serpente, biscia», «formazione lunga stretta e sinuosa, percorso stretto e sinuoso»; relitto sardiano o protosardo, da confrontare – non derivare – col lat. coluber, di origine ignota (DELL) (differenza delle rispettive vocali toniche). Cfr. Colorighe (Orani), Golóriqa (Oliena), Golóriqe (Ovodda); Golori, Goloriqobo, Golorispái (Ollolai), Goloritzè (Baunei), Bolóriqa (Orgosolo) (M.P.).

Concas (frazione di Torpè, NU) – Il toponimo corrisponde al plurale dell'appellativo conca «conca di pietra o di legno», «grotta, caverna», «tomba rupestre», «testa», il quale deriva dal lat. concha (DILS). Per il toponimp torpeino è da privilegiare o il significato di «grotte, caverne» oppure quello di «tombe rupestri», che sarebbero le famose domos de janas «case delle fate».

Conia, la, (frazione di Arzachena) - Il toponimo probabilmente corrisponde all'appellativo tempiese cònia «cuneo, zeppetta, bietta» e «cozza, mitilo» (VTI), ma fra questi due significati non si intravede quale si debba privilegiare per tentare di spiegare quello che quasi certamente era il soprannome del proprietario del terreno o dello stazzo. In ogni modo c'è da affermare che la trascrizione corrente del toponimo come Laconia è gravemente errata (NGAO num. 470).

Contra, sa, (frazione di Perfugas) – Il toponimo corrisponde all'appellativo log. contra «altura contrapposta o che sta di fronte», il quale deriva dalla preposizione lat. contra sostantivata (NLAC; DILS). Vedi sas Contreddas.

Contrábile (frazione di Ozieri) - Il toponimo va esattamente inteso come Contr'Ábile e significa «altura antistante dell'aquila», i cui componenti contra «altura o pendio che sta di fronte» e áb(b)ile «aquila» derivano rispettivamente dalla preposizione lat. contra sostantivata e dal lat. aquila (DILS). L'aquila attualmente si trova ancora nelle zone montane della Sardegna centrale, mentre fino a circa un secolo fa era presente in un'area molto più vasta, compresa quella di Ozieri.

Contreddas, sas, (frazione di Perfugas) - Il toponimo significa esattamente «le piccole alture contrapposte», costituendo il diminutivo plurale di contra «altura contrapposta o antistante» (NLAC; DILS). Vedi sa Contra.

Coratza, Goratza, sa, (Laerru) «la brutta gora», peggiorativo di cora, gora, gori «gora, canale, grande solco, scolatoio, rigagnolo»; toponimi Corache (antico; GG), Goraè (Orani), Goreái (Ollolai), Gorare (mediev., = Bòrore; CSPS 74), Gore (Teti), Goritto (rione di Dorgali), Goroèo o Guruèo (Fonni), Guruè (Talana, torrente), Gurellu (CSPS 420); probabilmente tutti relitti sardiani o protosardi (suffissi e suffissoidi) da confrontare – non derivare - col tosc. gòra «fossato, canale» (prospettato come prelatino; GDLI, DELI) (OPSE 212, LISPR).

Coros, Nostra Segnora de Coros – Chiesa presso Ittiri, sulla strada per Banari, costruita dai Cistercensi tra il 1250 e il 1280. Probabilmente Coros corrisponde all’appellativo plur. coros «cuori», con riferimento a quelli di argento che dappertutto in Sardegna si donavano e si donano ancora come ex voto alla Madonna. Ancora probabilmente è derivato da questo santuario il nome della curatoria di Coros del Giudicato di Torres, situata a sud-ovest di Sassari (EncSard). 

Corratzadda (Sorso, fontana) probabilmente «(fontana) corazzata o coperta».

Corrugunele (Alà): probabilmente «volpe cornuta» (in dispregiativo), vedi Unele.

Cossica, Cossiga (Cóssica, Cóssiga) - Nome della Corsica, l'isola sorella di quella sarda. Ormai il toponimo, nella sua seconda forma, si è trasformato in un cognome, il quale in passato era un soprannome che indicava che un individuo era nativo od originario della Corsica. Di questo cognome la pronunzia esatta è Cóssiga, mentre quella corrente Cossíga è errata (CSSO, DICS). L'etnico corrispondente era Cossighesu = «nativo od originario della Corsica» (VSG 43), ma molto più frequente era l'altro Cossu, regolarmente derivato da Corsu, quello che è diventato anch’esso un cognome molto frequente soprattutto nella Sardegna settentrionale.- È molto probabile che una delle quattro tribù di montanari, che in epoca antica attaccavano di continuo le zone fertili della Sardegna, fossero i Corsicani, che il testo conservato di Strabone (V 2, 7) presenta come Sossinátoi, che invece io leggo e interpreto Korsikánoi (stesso numero di fonemi e soprattutto stesse vocali).- Nonostante una diversa opinione corrente, io ritengo che anche i Corsi fossero della medesima etnia dei Protosardi o Nuragici e precisamente una delle loro tribù, come è dimostrato in maniera abbastanza evidente dalla circostanza che anche nella Gallura, dove risultavano stanziati i Corsi fin da epoca molto antica, si trovano i monumenti tipici della civiltà nuragica: i nuraghi, i pozzi sacri, le tombe dei giganti, i bronzetti, ecc. È pertanto lecito ritenere che all'inizio i Corsi o Corsicani si siano mossi dalla Sardegna settentrionale per sbarcare nell'altra grande isola, alla quale hanno dato appunto il nome di Corsica e nella cui parte meridionale essi hanno esportato anche il nuraghe, dando origine alla cosiddetta «civiltà torreana o delle torri (nuragiche)». La notizia, piuttosto tardiva, data da Pausania (X 17, 8) di una parte non piccola di Corsi passati dalla Corsica in Sardegna si può interpretare come quella di un "ritorno" massiccio di Corsi in Gallura.- In epoca molto più recente ci sono state in Gallura altre massicce immigrazioni di Corsi, parecchi dei quali ormai erano anche di antica etnia ligure, provenienti invece dalla Corsica settentrionale, come si evince anche dal tipo somatico di molti Galluresi odierni e soprattutto dal colore azzurro dei loro occhi (OPSE 80, 150-151, 266).

Cossoine (Cosseíne, Cossaíne, Cussuíne) (Comune di C., SS). L’abitante Cossoinesu, Cussuinesu - Risulta citato parecchie volte nel Condaghe di Trullas come Consedin, Cossedin, Cosedin (CSNT). È probabile che il toponimo derivi da un gentilizio latino *Considinus (propriamente al vocativo *Considine), che ritengo di poter supporre in base ai gentilizi, realmente documentati, Considius, Considienus, Considianus (RNG). E sarà stato il gentilizio di un proprietario romano, che nel sito aveva una villa o «tenuta».- Il villaggio risulta tra le parrocchie della diocesi di Sorres che nella metà del sec. XIV versavano le decime alla curia romana (RDS 136, 1266, 2286, 2559) e inoltre fra i villaggi che sottoscrissero la pace tra Eleonora d'Arborea e Giovanni d'Aragona del 1388 (CDS I 842/2). È poi citato parecchie volte nel quattrocentesco Codice di Sorres (CSorr) ed compare nella Chorographia Sardiniae (174.28) di G. F. Fara (anni 1580-1589). 

Cossu, su, (frazione di Torpè).- Il territorio comunale di Torpè confina con quello della Gallura meridionale, nella quale - come tutti sanno - ci sono stati numerosi stanziamenti di Galluresi, cioè di Còrsi. Pertanto su Cossu significa «il Còrso», con l’indicazione dell’origine del proprietario dello stazzo, oppure con valore collettivo «i Còrsi». 

Costera (prov. di Sassari): è la subregione che costituisce il versante orientale della catena montuosa del Marghine e pertanto corrisponde al Goceano (vedi). Essa comprende i comuni di Anela, Bono, Bottidda, Bultei, Burgos, Esporlatu e Illorai. Il coronimo deriva dall'appellativo spagn. costera «costa di collina o monte, terreno in pendenza» (DILS). Notevole è l'etnico che ne deriva: Costerínu. Vedi Costera (la parte alta di Iglesias) e sa Costera (Lula). 

Coveccada, sa, (Alà, Benetutti, Bottidda): = «la coperchiata», dal lat. cooperc(u)lata, riferito a qualche lastra di dolmen distrutto o di “tomba di gigante” (DILS, NVLS). Vedi Covoccada (Abbasanta), Copercada (Borore, Nùoro), Cobercada (Dualchi).

Crisciuleddu (frazione di Luogosanto) - Probabilmente questo toponimo costituisce il diminutivo di crisgiólu «crogiolo» e sarà stato il soprannome del proprietario di uno stazzo o di un terreno.

Crucca, la, (frazione di Sassari) - Come villaggio medievale, situato fra Sassari e Porto Torres, viene citato parecchie volte nel Condaghe di Silki nella forma di Curcaso e Curcas (CSPS 42, 45, 68, 85, 222). Privilegiando quest'ultima forma, si può ipotizzare che il toponimo derivi dal lat. gurga ed abbia pertanto il significato di «polle d'acqua».- Da questo toponimo sono derivati i cognomi Curcas e Crucca(s) (CSSO, DICS).

Cuccái (San Teodoro) forse forma affettiva di cuccu, cuccú, cuccúi, cuccheddu «cuculo» (Cuculus canorus); (Nùoro) betzu chei su cuccu «vecchio come il cuculo» (forse perché ritenuto saggio); ja l'est cantau su cuccu! «gli è andata bene!, è stato fortunato!»; cuccu gregu «cuculo greco», cioè "imbroglione" (perché veniva invitato dalle ragazze a predire col suo canto il loro futuro di amore e spesso le deludeva); vocabolo di carattere imitativo, proprio come il lat. cuculus e altri vocaboli neolatini (DILS, NVLS).

Cucculà, Cuccullái (Chiaramonti) «cocuzzolo»; toponimo sardiano o protosardo [suffissoide –á(i), suff. -ull-], col probabile significato di «cappuccio», nel senso geomorfico di «cocuzzolo», da confrontare – non derivare - coi lat. cucullus/a «cappuccio» (prestito forestiero; DELL, DEI, DELI s. v. cocollo/a). Dal lat. cucullus è regolarmente derivato il sardo cucuddu «cappuccio». È pertanto probabile che il vocabolo esistesse già in Sardegna, nella lingua sardiana o protosarda, prima che ve lo portassero i Romani. Vedi Coqoddío (Gavoi), Cuccullao/u (Bosa), Cuccullío (Nùoro), Cucculò (Pattada) (LISPR).

Cucculò (Pattada): «cocuzzolo», toponimo sardiano o protosardo (ossitonia) da confrontare – non derivare - col lat. cucullus, cuculla «cappuccio» (di origine ignota; DELI s. v. cocolla). Vedi Cuccullái (Chiaramonti).

Cuccuru (Cúccuru) – È l'appellativo sardiano o protosardo cúccuru, cúccaru, cúguru, cuccurúddu «sommità della testa, cocuzzolo, cima di collina o di monte»; cúccura,-èdda «fusaiola», cuccurèntzia «sommità della testa», «cappuccetto della trottola», cuccuruddúa «fiorrancio o crisantemo dei campi» (Lollovi; VNI), cuccúrru «colmo» (BNI, CSSO) (presentati come "preromani" dal DES I 416), toponimi Cuccurada (Mogoro), Cuccurali (Luogosanto), Cuccurárgiu (Capoterra), Cuccurari (Barì), Cuccurili (San Teodoro), Cuccurinnái (Bitti), Cugurentos (Luras), Cucurru (Assolo), Cugurenza (Aggius), Cugurònnero (Torralba), Cugurranti (San Vito), Cugurru (Seneghe), Cuguruddu (Esporlatu, Siligo), Cuguruntis (Mara), su Cuguruntzi (Abbasanta), Cuguruttu (Bortigali), da confrontare – non derivare - coi tosc. cocoruzzo «cima di monte a forma di pera, cocuzzolo» (presentato come "mediterraneo" dal DEI), toponimi toscani Cuccurùzzolo (Gorfigliano, LU), Cuccari, Cúccheri (quattro), Cugheri (TTM, TVA), Cùccaro (Salerno), ecc.

Cugiani, Coggianu, Cugianu villaggio distrutto dell' Anglona (VSGP), che potrebbe derivare da uno dei gentilizi lat. Cullius, Col(l)ius, Colianus (RNG) indicando un possedimento terriero. Vedi Cuiano antico villaggio della diocesi di Bosa (RDS 1942).

Cugnana (frazione di Olbia) - Probabilmente questo toponimo porta in sé un riferimento all'antico tessuto fondiario o latifondiario romano. Esso infatti potrebbe derivare da una locuzione lat. (villa) Coniana vel Cuniana «(tenuta) di Conio oppure Cunio», appartenente cioè ad un proprietario romano chiamato Conius oppure Cunius, con gentilizi latini che sono realmente documentati, sia pure non in Sardegna (RNG, ThLL; UNS num. 11).

Cugurenza (Aggius) «cima, cocuzzolo», vedi Cuccuru. 

Cugurònnero (Torralba) «cocuzzolo, cima», vedi Cuccuru.  

Cugurra, sa, (Ozieri): corrisponde all’appellativo cucurra, cugurra «forfecchia», «bruco» e «groviglio», che è un relitto sardiano o protosardo (DILS II 822; NVLS); è documentato nel Condaghe di Bonarcado 104, 115, 137.

Cugurrele, Cogorrele (Pattada): toponimo sardiano o protosardo (suffisso diminutivo), probabilmente da riportare a cucurra, cugurra  «forfecchia, forbicina» (DILS). Vedi Cugurrutta (Bottidda). Cfr. Eligannele, Ippinele

Cugurunti(s) (Mara): probabilmente «cocuzzolo», variante di cúccuru «cocuzzolo» (DILS II, NVLS). Vedi Cuguruntzi (Abbasanta), Cuguruntu (Bonorva).

Cultisia (Cultisía) (frazione di Luogosanto) - Il toponimo corrisponde al gallur. cultisía «cortesia», il quale sarà stato il soprannome del padrone di uno stazzo o di un terreno.

Culuvorrò (Olbia-Berchiddeddu) (NGAO) toponimo sardiano o protosardo (ossitonia) da connettere con l’appellativo log. coloru/a, colóvuru, caboru, carhodu «serpente, biscia», probabilmente relitto sardiano o protosardo, da confrontare – non derivare – col lat. coluber, che è di origine ignota (DELL) (differenza delle vocali toniche). Cfr. toponimi Colovrái (Nuoro), Colorighe (Orani), Golóriqa (Oliena), Golóriqe (Ovodda); Golori, Goloriqobo, Golorispái (Ollolai), Goloritzè (Baunei), Bolóriqa (Orgosolo) (NVLS). 

Culvara (Valledoria) «corvara, sito di corvi», che deriva da corvu, colvu «corvo».

Curichena (S. Teresa): toponimo sardiano o protosardo (suffisso), ma di significato ignoto. 

Doglia, Monte Doglia (Alghero) - Siccome gli Algheresi sentono il toponimo come Mont d'Olla, è probabile che esso derivi dall'appellativo catal.-spagn. olla «pentola, pignatta» e che indichi il monte in questo modo per la sua caratteristica di sembrare una pignatta capovolta.- Il monte è citato nella Chorographia Sardiniae (100.16) di G. F. Fara, che è degli anni 1580-1589.

Donigagia (Castelsardo), Donnigaza (Cossoine, Perfugas, Semestene), (D)Onnigágia (Sorgono), Onnigaza (Ghilarza). Attualmente esistono in Sardegna tre piccoli villaggi chiamati Donigala, due dei quali vengono distinti fra loro come Donigala Fenughedu nei pressi di Oristano e Siurgus Donigala ai margini della Trexenta. Il terzo Donigala nell'Ogliastra, presso Tortolì, veniva nel passato distinto come Donigalledda «Piccola Donigala» (VSG). Ma esistevano anche una Donnigagia presso Ozieri, Bitti, Baressa (CREST VIII 17) e Usellus. Tutte fanno capo all'appellativo mediev. donnicalia, che deriva dal lat. dominicus «padronale, signorile» e che indicava villaggi o tenute appartenenti al Donnu [dal lat. Dom(i)nus] «Signore» e precisamente al Giudice oppure a persone della sua famiglia.

Donnigheddu (Anela, Buddusò-Pattada, Ottana, Scanu M.): = «Donnicello, Padroncino», dal mediev. Donnicellu, Donnigellu, a sua volta dal lat. Dom(i)inicellu(m), denominazione e titolo dei figli o dei fratelli del Giudice (DILS). Vedi Donnicheddu (Orani), Donniqeddu (Ollolai).

Durundanu (Olbia) (NGAO num. 2231) forse soprannome con un riferimento fallico, derivato dall’ital. durlindana, durindana «spada di Orlando» (GDLI).

Eba Ciara (Sassari) - Il toponimo significa «Acqua Chiara», cioè "limpida", e corrisponde al sass. èba «acqua» e ciáru-a «chiaro-a».- 

Elefantaria - Mansione o stazione indicata dal romano «Itinerario di Antonino» (79.1) nel tracciato di strada che andava da Tibula(e) (Castelsardo; vedi) ad Olbia, stazione che evidentemente si trovava nelle vicinanze di quella che adesso viene chiamata la Roccia dell'Elefante, presso Castelsardo. (Questa roccia risulta perforata da alcune tombe rupestri o domos de Janas, di epoca prenuragica e anche nuragica). È quasi incredibile che nessuno storico della Sardegna antica avesse fatto prima di me questo chiarissimo accostamento toponomastico fra l'antica Elefantaria e l'odierna Roccia dell'Elefante (LCS II cap. V). 

Eligannele (Buddusò) probabilmente fitonimo sardiano o protosardo (con suff. diminutivo) = «roverelle» (sing. collettivo). Vedi Elighía. Cfr. Cugurrele, Ippinele. 

Elighía (Chiaramonti) «lecceta, zona di lecci»; éliche, éliqe, élighe, élige, éligi, érigi «el(i)ce, leccio», dal lat. elex,-icis «el(i)ce» (LS 342) (già prospettato come "mediterraneo" oppure "anatolico"). Però i seguenti toponimi Elicesi (Aritzo), Elichelòe (Irgoli), Eliqái (Olzai), Eligói (Gavoi), Eligannele (Buddusò), Lighéi e Oligái (Sedilo) (suffissi e suffissoidi) fanno intendere che il fitonimo esistesse già in Sardegna, nella lingua sardiana o protosarda, prima che ve lo portassero i Romani. Alternanza é/í: lat. elix/ilex come felix/filix, genesta/genista, menta/mínthe, mentula/mintula (LISNE 211, LISPR). 

Ena, s’, (Chiaramonti) «la zona acquitrinosa o umida»; log. ena «zona acquitrinosa in inverno e verde in estate, prato paludoso, fontanile», probabilmente relitto sardiano o protosardo da confrontare - non derivare - col lat. vena «vena, vena d'acqua, sorgente», di origine ignota (DELL, AEI, DELI) ma di probabile origine etrusca [cfr. iscrizione etr. mini muluvanice Mamarce Apuniie Venala «Mamerco Aponio mi ha donato a(lla dea) Vena»]. Erra il DES II 569 a identificare ena con vena, bena «vena, vena d’acqua, sorgente», per la ragione che, ad es. a Nùoro, Oliena e Orgosolo si distinguono da un lato s’ena e dall’altro sa vena, sa bena. Dunque probabilmente l’appellativo esisteva già in Sardegna, nella lingua sardiana o protosarda, prima che i Romani portassero quello loro. (M.P., DILS, NVLS). L’appellativo-toponimo è presente anche in numerose altre località. Vedi Enene.

Enene, Ennene villaggio medievale situato nei pressi dell’Eba Ciara (Sassari) (CSPS) – Probabilmente è un toponimo sardiano o protosardo (suffisso) avente il significato di «sito di vene o sorgenti». Vedi Ena.

Ercoli (Ércoli) (Stintino) - Stazzo della Nurra all'inizio della penisola di Stintino. È molto probabile che la sua denominazione faccia riferimento a quella della Herculis insula «isola di Ercole», con la quale in epoca classica veniva chiamata la vicina isola dell'Asinara (vedi). Inoltre io ritengo che Ercoli corrisponda alla mansione o stazione stradale ad Herculem citata dal romano «Itinerario di Antonino» (83, 4), probabilmente indicata, per effetto di un errore, fra Tibula (Castelsardo) e Turris (Porto Torres) (cfr. Vignola); e sono pure del parere che il toponimo Sacerci, citato dopo Turris Libisonis dall’Anonimo Ravennate (26, 16), sia una abbreviazione di Sac(ellum H)erc(ul)i(s) «Tempietto di Ercole».- Sempre probabilmente il nostro toponimo è citato nel Condaghe di Silki (CSPS 352) come Erkilo.

Ercone Chervinu (Buddusò) potrebbe corrispondere ad arcone «cervo o muflone di un anno», il quale deriva da arcu «arco» a causa delle corna a forma di arco (M.P.). 

Errele (Pattada), Errère (Buddusò): forse relitto sardiano o protosardo = «edera». Cfr. toponimi Erilái (Oliena), Èrrere (Orune), Illorai (Comune di I.), Irillái (Nùoro). Vedi Erula.

Erula (Érula) (Comune di E., SS) - Il toponimo potrebbe corrispondere all'appellativo sardiano o protosardo èrela, èrella, èllera (VNI 300) «edera» (Hedera helix L.; FPS 113) e ai toponimi Errele (Pattada), Illorái (Comune di I., SS), Irilái (Oliena), Irillái (Nùoro), Illirí (Orune) (suffissoide e accento sardiani) e sia da confrontare - non derivare - col tosc. èllera, èllora «edera» (di origine ignota; DEI, GDLI, DELI) e col còrso éddara.- Il centro abitato è stato elevato a comune autonomo soltanto nel 1988.

Esporlatu (localmene Ispollattu, Isporlattu, Isprollattu) (Comune di E., SS). L’abitante Isporlattesu, Isprollattesu - Il nome di questo villaggio è da connettere con gli altri toponimi Isporo (Nule), Isporróghilo (Sarule), Isporósile (Nùoro), Isporròsola (Lodè); Ispórulos e Ispurulattá (Olbia; NGAO 877, 878), Osporo (Cargeghe, Siniscola); Ospiriddái e Osporrái (Oliena), Sporlò (Macomer), Isporoddái (Orosei), Isporolò (Semestene), Sporolói (Ottana); Ispúrulos e Spurulò (Chiaramonti), Spurulalzu (Monti), su Spurraxu (Isili, Santadi) (alternanza ó/ú, suffissi e accenti sardiani), è da connettere con l'appellativo sardiano o protosardo sporra, spurra, ispórula, ispúrula «vite selvatica», cioè "bastarda", isperolínu «degenerazione del vitigno muristéllu» ed è da confrontare - non derivare - col lat. spurius «(figlio) spurio, bastardo, illegittimo» (= publicus ex matre publica), da tutti riportato all'etrusco spurie (LEW, DELL, DEI, AEI, OLD, DELI; LELN 235; OPSE 229; LISPR). Esporlatu presuppone una forma originaria *Sporulaceu; ed infatti nel Condaghe di Silki risulta citato come Isporlathu (CSPS 242) e nel Condaghe di Salvenor (CSMS 247) come Speralto. Nella forma ufficiale il toponimo ha subìto l'affronto colonialistico della lingua dei dominatori: la vocale protetica I- è stata trasformata in E- secondo le modalità fonetiche della lingua spagnola, esattamente come è avvenuto a danno degli altri toponimi sardi Escalaplano, Escolca, Escovedu, Esterzili (vedi).- Il villaggio compare fra le parrocchie della diocesi di Ottana che nella metà del sec. XIV versavano le decime alla curia romana (RDS 171) come Sporlazo; e inoltre tra i villaggi che sottoscrissero l'atto di pace fra Eleonora d'Arborea e Giovanni d'Aragona del 1388 (CDS I 835/2) come Sporlachu. Ed è citato nella Chorographia Sardiniae (180.34) di G. F. Fara (anni 1580-1589) come oppidum Sporlatae

Eteri praesidium vedi Ozieri.

Falzu (lu Váltzu) (frazione di Bortigiadas) – Il toponimo corrisponde all'appellativo còrso valzu «balza» (NLAC 167), il quale deriva dal toscano balzo «ripiano sul pendio di un monte», a sua volta dal lat. balteu(m) (GDLI, DELI²).

Fangatzu (Chiaramonti, Sassari) – Il toponimo significa «pantano», letteralmente «fangaccio» e deriva dal corrispondente vocabolo italiano.

Feronia - Antica città sulla costa nord-orientale della Sardegna, probabilmente nella foce del fiume di Posada, ricordata come Pheronía da Claudio Tolomeo (III 3, 4). È probabile che questa città fosse stata fondata dai Falisci del Lazio, come lascia intendere una famosa iscrizione in latino arcaico, rinvenuta a Faleri (Civita Castellana, Viterbo): IOUEI . IUNONEI . MINERUAI / FALESCE . QUEI . IN . SARDINIA . SUNT / DONUM . DEDERUNT.... «A Giove a Giunone a Minerva / i Falisci che sono in Sardegna diedero in dono....» (CIL XI 3078). Ed a questo proposito è notevole e perfino sorprendente il toponimo del territorio di Posada Manorváe, che chiaramente mostra di conservare il ricordo della grande dea etrusco-latina Minerva.- Lo stesso Tolomeo (II 3, 6) cita per quella stessa zona un popolo che chiama Aisaroné(n)sioi; ma, siccome questo popolo non risulta citato da nessun'altra fonte antica e inoltre questo etnico non trova riscontri nella toponimia della Sardegna odierna, io propongo di emendarne la lezione in Pheroné(n)sioi ed intendere che si trattasse degli abitanti di Pheronía/Feronia (LELN 138-140 da rettificare; LCS II capo V).

Féstina, la, (Olbia-San Pantaleo) (NGAO): log. féstina, (f)éstina «scala costituita da un lungo tronco d'albero con intagli per la posa dei piedi oppure spaccato in due fin quasi alla cima e tenuto aperto a triangolo acuto da pioli degradanti», «tronco d'alberello, coi rami tagliati corti, usato dai pastori come appenditoio»: relitto sardiano o protosardo (suff.), probabilmente da confrontare – non derivare - col lat. festuca «festuca, bacchetta, stanga, palo, battipalo, mazzapicchio» e col berbero tafesna «scala», finora di origine ignota (DELL, DELI, DES I 515) e pertanto probabilmente “mediterranei” (DILS, NVLS). 

Ficaccia (la Vicáccia) (frazione di S. Teresa G.) – Il toponimo corrisponde al dispregiativo del fitonimo o nome di pianta gallur. fica «fico» e propriamente significa «caprofico o fico selvatico».

Fígari (Olbia) (NGAO) probabilmente deriva dal gentilizio lat. Ficarius (RNG) di un proprietario romano di un predio (in caso vocativo e con la ritrazione dell’accento, come in Bóttidda, Gèsturi, Póntidda, Sédini, Sísini, Tonéri e Tóneri).

Filigheddu (campagna a nord-est di Sassari) – Il toponimo corrisponde al cognome Filigheddu di un antico proprietario del terreno (nativo di Arzachena), che è il diminutivo del gallur. filu «filo» e significa «magrolino» (Usai 114).

Florinas (localmente Fiolínas, Fiulínas) (Comune di F., SS). L’abitante Fiolinesu - Siamo di fronte a un toponimo, il quale ha subìto il grave danno di una paretimologia o etimologia popolare: in esso il lat. flos, floris «fiore» non c'entra proprio nulla!.- Le più antiche attestazioni del toponimo si trovano nel Condaghe di Silki (CSPS 43, 245, 318, 324, 341, 342, 386) come Ficulinas, (410) Figulinas, Fiulinas, e nel Condaghe di Trullas (CSNT² 233) come Figulinas. Soprattutto queste ultime forme ci danno la sicura etimologia del toponimo: deriva dal lat. figulina «cava d'argilla» e «bottega di vasaio» (che perciò va aggiunto nel REW). Dunque il villaggio ha preso il nome dalle «cave d'argilla» (che effettivamente esistevano nelle vicinanze; V. Angius) oppure dalle «botteghe di vasai» che lavoravano quella materia prima. Un toponimo Fiulinas, Fiolinas esiste anche presso Pattada.- Il nostro villaggio è citato più volte fra le parrocchie della diocesi di Ploaghe che nella metà del sec. XIV versavano le decime alla curia romana (RDS) ed è citato pure nella Chorographia Sardiniae (172.14,19) di G. F. Fara (anni 1580-1589), ma come villaggio distrutto. Vedi Fiulinas, Fiolinas (Pattada).

Flumenargia - In epoca medievale veniva chiamata Flumenaria oppure Flumenariu la zona del Sassarese che comprendeva, a grandi linee, l'area posta tra i fiumi (lat. flumina) chiamati riu de Ottava e riu Mannu ed aveva come confine il Fiume Santo [cfr. Chorographia Sardiniae di G. F. Fara (124.17; 170.5, 17) degli anni 1580-1589].- La più antica attestazione del toponimo si trova nel Condaghe di Silki (CSPS 120) come Flumenariu, ma esso risulta citato parecchie volte come Flumenargiu/o anche nel Codex Diplomaticus Sardiniae (CDS) e pure negli Statuti del Comune di Sassari (CREST XXVI 42, 1). La Flumenargia costituiva una curatoria, la quale in epoca piuttosto recente comprendeva i centri abitati di Sassari e di Porto Torres. Nell’agro di Dorgali esiste il toponimo Vrumenarza.

Foradada, Isola Foradada (Alghero) - Propriamente il toponimo suona in algherese Furarára e significa «Isola forata», perché è stata perforata dall'azione delle onde marine sino a formare un arco. In epoca classica veniva chiamata Nympháia nêsos «Isola delle Ninfe» (Tolomeo, III 3, 8) (cfr. Porto Conte.- L'isola è citata dal Fara, Chorographia Sardiniae (76.28) (anni 1580-1589) come Forata vulgo dicta Foradada insula a foramine quod habet maximum appellata.

Fraigas (Fráigas) (frazione di Ozieri) - Il toponimo letteralmente significa «fabbriche» (al plur.), deriva dal lat. fabrica (DILS) ed indica case in sola pietra, differenti dalle comuni capanne di pietre e di frasche.

Fraigata (frazione di Bortigiadas) - Il toponimo letteralmente significa «fabbricata», deriva dal participio sostantivato lat. fabricata (DILS) col significato effettivo di «costruzione in muratura, fabbrica, fabbricato». Anche nei territori di Abbasanta, Bultei, Bolotana, Bonorva esistono località chiamate sa Fraigada.

Fraili, lu, (frazione di San Teodoro) - Il toponimo corrisponde all'appellativo gallur. fraíli «fucina, bottega di fabbro» (VTI), che deriva dal log. frabile, fraíle, a sua volta dal lat. faber «fabbro» (DILS). 

Franculacciu (Franculácciu) (frazione di San Teodoro) - Il toponimo sembrerebbe il nome o il soprannome del proprietario del terreno o dello stazzo, corrispondente al gallur. Brancácciu «Pancrazio», probabilmente incrociato col verbo branculá «brancolare», magari a causa delle frequenti ubriacature che si prendeva. 

Frassu, su, (Pozzomaggiore): «il frassino», deriva dal lat. fraxus per fraxinus).

Frisgianu, Frixanu (Castelsardo) «Frigiano», probabilmente «(rivo) che frigge», per il suo apporto di acque calde oppure solforose (M.P.). Cfr. il toponimo vicino lu Bagnu

Frissa, la, sa, (Castelsardo, Pozzomaggiore) «la cèppita o inula vischiosa» = log. arbisa (Lula), arvisa (Galtellì), frissa, frisa, frísia «inula vischiosa, cèppita» (Cupularia viscosa L., Inula viscosa Ait.); (Dorgali) vrissa «tasso barbasso» (Verbascum thapsus L.): relitto sardiano o protosardo da confrontare – non derivare - col greco áphrissa «dracontea, serpentaria» (Arum dracunculus L.), di origine ignota (GEW, DELG, NPRA 7) e quindi probabilmente “fitonimo mediterraneo” (OPSE, LISPR, NVLS). 

Fumosa, la, (frazione di Bortigiadas e un'altra di Luogosanto) - Il toponimo significa o «(cima) fumosa» perché avvolta spesso dalla nebbia oppure «(terra) fumosa» perché riscaldata dal sole esala vapore. L'aggettivo fumosu-a deriva dal lat. fumosus-a (REW 3571; DILS). Il toponimo, con differente articolo, esiste anche ad Olbia e a Nùoro.

Fundu di Monti (frazione di Tempio) - Il toponimo letteralmente significa «fondo o piede di monte» e deriva dai lat. fundu(m) e monte(m).- Nel Medioevo esisteva nella Gallura una curatoria che viene citata dal Fara, Chorographia Sardiniae (226.6) (anni 1580-1589) come curatoria Fundi Montis.

Funtana pria (Anela, Irgoli. Onanì, Pattada): «fontana lenta»; [priu-a «pigro, lento-a» deriva dal lat. piger, pigra].

Funtanazza (Funtanátza) (Sassari, Bulzi, Chiaramonti, Laerru, Perfugas, Arbus) - Il toponimo significa «fontanaccia», indica una polla d'acqua che si impantana (NLAC) e deriva dal corrispondente vocabolo toscano.

Furrighesos, Forrighesos (Anela, Bono, Ozieri): «tombe rupestri o domos de Janas», letteralmente «siti di fornaci» (furraghe + –esu) oppure «abitatori dei piccoli forni» (forru/furru + suff. –ighesu). Vedi Furrighesu (Sindia).

Gabaru (Gábaru) (rivo in agro di Sassari) – Il nome del corso d'acqua è da connettere con quello antico pirenaico Gabarus, Gaverus, odierno Gave de Pau (Francia), col rivus de Gavere [oggi la Gavère (Gers)], col bearnese antico gaver «fiume», moderno gab «torrente» e infine col basco gavarra «rivo» (NLS, XX). In virtù di questa connessione linguistica si può concludere che l'idronimo sardo probabilmente è molto antico, forse presardiano, ossia precedente all'arrivo dei primitivi Sardi dalla Lidia nella metà del sec. XIII a. C. e quindi di lontana matrice “mediterranea”.

Gallura (localmente Gaddura e Caddura) - Subregione che comprende tutta la parte nord-orientale della Sardegna, avente come confine occidentale il fiume Coghinas e come confine sud-orientale il fiume di Posada. Essa nel Medioevo costituì il quarto Giudicato dell'Isola, il Giudicato di Gallura appunto.- Il toponimo compare nel Condaghe di Silki (CSPS 42) e nel Codex Diplomaticus Sardiniae (CDS I 252/2, anno 1182) come Gallul, nel Condaghe di Bonarcado (CSMB 22, 103, 119, 122, 146, 219, 220) come Gallul(u) e Gallure, ed ancora numerose volte nel Codex Diplomaticus Sardiniae come Gallure. L’abitante viene detto Galluresu, Gaddulesu e Gadduresu.- Ciò premesso dico che tre sono le possibili spiegazioni etimologiche del coronimo: I) Gallura si potrebbe connettere all'appellativo, probabilmente sardiano o protosardo, attestato nella zona di Sadali e Serri, callullu «sasso, masso erratico», per cui il significato originario di Gallura sarebbe quello di «Sassosa, Rocciosa», significato che si adatterebbe alla perfezione alle caratteristiche geomorfiche di questa subregione. II) Gallura, Gaddura si potrebbe connettere all'altro appellativo gáddara, (gr)áddara, gráddula/u, láddara, laddárica, ddáddara, laradda «galla, gallozza della quercia», «cacherello delle capre e delle pecore», «caccola, pillacchera», relitto sardiano o protosardo da confrontare – non come derivato, bensì come imparentato geneticamente - col lat. galla, gallŭla «galla, gallozza» (di origine ignota; DELL, AEI, DELI), col tosc. gàllera, gàllora e con lo spagnolo gállara «gall(ozz)a» (OPSE 211, DILS, LISPR) (probabilmente “fitonimo mediterraneo”); in questa ipotesi si dovrebbe interpretare che il coronimo Gallura facesse riferimento alla grande quantità di «galle di quercia» oppure di «caccole» ivi esistente. III) Gallura si potrebbe riportare al cognomen lat. Gallŭla (RNG 337) di un proprietario romano che aveva possedimenti nella zona.- In ogni modo sono da escludersi con decisione sia la derivazione corrente del coronimo Gallura dall'appellativo ital. gallo - già accennata da Dante, Purgatorio, VIII 81 - sia la derivazione dalla locuzione lat. Fretum Gallicum, con cui l'Itinerarium Maritimum (pg. 241 P. P.) chiama lo stretto di Bonifacio, di certo perché era quello che portava direttamente da Ostia nella Gallia. 

Ghirgoli (Budoni-San Teodoro) potrebbe corrispondere al nome pers. Gregori (vocativo di Gregorius) del proprietario del terreno, oppure potrebbe essere una variante del toponimo Irgholi (vedi).

Giacorra (Castelsardo) potrebbe corrispondere al log. coccorra, cocorra «lumaca», da cocco «oggetto tondo» incrociato con corra «corna», dal lat. cornua

Giaddoni (Gjaddòni) (frazione di Loiri) - Il toponimo costituisce l'accrescitivo dell'appellativo gallur. gjáddu, ghjáddu «gallo», il quale deriva dal lat. gallu(m). Probabilmente si tratta del soprannome del proprietario dello stazzo o del terreno. Cfr. Giagazzu, Giaggumona, Giagone.

Giagaridani «allevatori o guidatori di cani» (Sennori), che deriva dal log. e centr. giágaru, zácaru, jácaru «cane da guardia» (non da caccia! cfr. cani de loru o gjagar, CdL 30; canj de loru ouer jagaru, 151), gallur. gjácara «cagna pregna», che deriva dal bizantino zagári(on) (Schuchardt). La diffusione di questo vocabolo anche nella Corsica come jácaru, jágaru, ghjácaru, ghjágaru «cane» è un fatto del tutto verosimile per un vocabolo bizantino, mentre molto inverosimile, anche per motivi fonetici, sarebbe la sua connessione con un vocabolo basco e addirittura con alcuni caucasici (M.P., NVLS). 

Giagazzu (Giagatzu) (frazione di Viddalba) – Il toponimo costituisce il peggiorativo del nome personale Giagu «Giacomo», che deriva dallo spagn. Yago (CSSO, DICS) e in origine indicava il proprietario dello stazzo o del terreno. Cfr. Giaddoni, Giagone, Giaggumona.

Giaggumona, Giagumona (Sassari/Sennori) - Il toponimo probabilmente costituisce l'accrescitivo e peggiorativo del nome della padrona del terreno, coniato sul corrispondente diminutivo Giaggumina «Giacomina». Cfr. Giaddoni, Giagazzu, Giagone.

Giagone (frazione di Oschiri) – Il toponimo costituisce l'accrescitivo del nome personale Giagu «Giacomo», che deriva dallo spagn. Yago (CSSO, DICS) e in origine indicava il proprietario dello stazzo o del terreno. Cfr. Giaddoni, Giagazzu, Giaggumona.

Giannághes (Martis) probabilmente «passaggi, valichi», derivato da gianna, janna «porta», «valico», a sua volta dal lat. ianua (M.P.).

Giave (Comune di G., SS). L’abitante Giavesu – Il toponimo corrisponde chiaramente alla mansione o stazione che il romano «Itinerario di Antonino» (82, 1) chiama Hafa ed indica nella strada romana che andava da Tibula (Castelsardo; vedi) a Caralis. Questa strada però passava ad oriente della collina in cui è situato l’odierno villaggio di Giave, nella pianura posta a sud della stazione ferroviaria di Torralba. Molto probabilmente la mansione era appunto in questa pianura, ma i suoi abitanti avranno finito col rifugiarsi nella collina vicina al fine di sfuggire alla infezione della malaria che avrà colpito la pianura, proprio come in passato è capitato per numerosi altri villaggi della Sardegna (cfr. Benetutti, Bono, Elini, Orani, Osini, Ottana). La ubicazione della mansione della strada romana nelle immediate vicinanze di Giave a me sembra tanto sicura, che mi sento perfino autorizzato a correggere la lezione Hafa, tramandataci dai codici del testo dell'«Itinerario», in Iafa. Inoltre interpreto la -e finale dell'odierno Giave come quella di un originario genitivo, in una locuzione che sarà stata mansio Iafae «mansione di Giave» oppure in caso locativo.- Anche le attestazioni medievali del villaggio confermano la connessione Iafae/Giave: quelle del Condaghe di Trullas (CNST² 46, 122, 186, 218) Iafe, Iaphe, Iafphe, Campu Iafesu; e quelle delle Rationes Decimarum Italiae, Sardinia (RDS 112, 2040) Iaffes, Jafes.- Il villaggio risulta fra i centri abitati che sottoscrissero la pace tra Eleonora d'Arborea e Giovanni d'Aragona del 1388 (CDS I 842/2), è citato numerose volte nel quattrocentesco Codice di Sorres (CSorr) e inoltre è citato nella Chorographia Sardiniae (100.17,29) di G. F. Fara (anni 1580-1589). 

Giogantinu, Giugantínu (Berchidda) - È la seconda cima del Monte Limbara, alta 1332 metri sul livello del mare, che però si staglia su tutte le altre cime soprattutto dalla parte del versante meridionale che guarda il paese di Berchidda. Il significato di questo oronimo è del tutto chiaro: «Gigante». Per il vero il toponimo presenta una forma diminutiva, la quale però non investe il suo significato effettivo. Infatti anche qualcuna delle note “Tombe di Gigante” della civiltà nuragica è chiamata appunto Gigantinu, Giogantinu (DILS).

Giolva, sa, (Bonorva), sas Giovvas (Ossi) – Toponimi che corrispondono al log. giolva, giorva, faba giolva, fazorba, (Lodè) jorva «anagiride, laburno fetido» (Anagyris foetida L.) (suff. -va come gli etr.-lat. Menerva, belva, caterva, gingiva, malva, saliva, silva, vulva) (faba = «fava»); toponimo Giòrbene (Bortigali): relitto probabilmente presardiano, da confrontare – non derivare - col greco popolare azóuros, azóuras, azóguras «anagiride», di probabile matrice "mediterranea" (M.P., LISPR, 131).

Giorrè, Roccas de Giorrè, Giurrè (Cargeghe/Florinas) (ossitonia) toponimo forse da connettere con Giara (f.) «altipiano sassoso» (Giara di Gesturi, di Serri e di Simala o Siddi), sa Giara (pianura di Marrubiu caratterizzata da abbondante materiale alluvionale di antica era geologica), sa Giarra (Villasor); Gerrèi (subregione); relitto sardiano o protosardo da confrontare – non derivare - col tosc. ghiara, iara e inoltre col lat. glarea «ghiaia» (già prospettato come di origine etrusca; LET 92) (suff. -ea/-ia). (OPSE 233, LISPR, NVLS).

Gitil (Bortigali) - Villaggio medievale, ormai scomparso, della curatoria del Marghine, citato ampiamente nel Condaghe di Trullas (CSNT² 80.1, 80.5, 97, 97.1, 177, 243 e [244]), nel Condaghe di Silki (CSPS passim) e anche nella Carta di donazione di Furatu de Gitil a Montecassino del 1122 circa (CREST XXI 3). Siccome i suoi abitanti, assieme con quelli di Mulargia e di Bortigali, rivendicarono, contro il convento di San Nicola di Trullas (Semestene), il possesso del salto di Santu Antipatre (l'odierno Santu Padre di Bortigali), c'è da supporre che il villaggio fosse a Santa Maria de Sauccu (vedi), in territorio di Bortigali, a 845 metri sul mare, oppure in Padru Mannu, nella Campeda. Qui infatti esiste un nuraghe Ídili, la cui denominazione molto probabilmente è da riportare proprio a Gitil. Però gli abitanti di Gitil, abitando in un sito molto freddo in inverno, usavano come zona di transumanza per il loro bestiame la vallata del riu Mannu di Cuglieri, come dimostrano due cippi terminali di epoca romana e in lingua latina, nei quali si parla dei limiti territoriali dei Giddilitani o Ciddilitani (CIL X 7930, E.E. VIII 732; cfr. Mastino, in «Archivio Storico Sardo di Sassari», II 187-205), che erano evidentemente gli abitanti di Gitil.- Siamo fortunati con questo toponimo sardiano o protosardo, conosciuto già in età romana, per il fatto che possediamo tuttora un appellativo che gli corrisponde appieno: bidíle,-i, idíle,-i «pozza d'acqua dove s’abbevera il bestiame, pozzanghera, luogo acquitrinoso». Per questo vocabolo il Wagner prima aveva fatto la connessione con un presunto vocabolo basco, ma dopo l'aveva praticamente lasciata cadere (DES I 204, II 607; DILS, LISPR).- Dal nome del villaggio Gitil sono derivati alcuni cognomi sardi: Bidili, Vidili, Idile,-i (CSSO, DICS). Vedi però Campeda.- È da precisare che esisteva un centro abitato chiamato Gidili anche nella diocesi di Suelli (CV XI 4; CDS I 336/1).  

Giuncana (frazione di Viddalba) - Il toponimo significa «(zona) piena di giunchi» e deriva dall'appellativo juncu, giuncu «giunco», a sua volta dal lat. iuncus (DILS).

Goceano [Gocèano, localmente (G)Ottiánu, (G)Uttiánu] (subregione della provincia di Sassari). L’abitante Goceaninu – È situato lungo l’alto corso del Tirso, comprende sa Costera (vedi) e la corrispondente valle lungo il fiume. D'altronde quest'ultima è la denominazione corrente fra gli abitanti della zona, mentre quella di Goceano è piuttosto rara e appartiene agli individui in possesso di una certa cultura. Il coronimo è un aggettivo sostantivato, che probabilmente deriva da gúttiu «goccia, stilla» e che pertanto significa «(sito) gocciolante, ricco di sorgenti». Questa derivazione è confermata dalla circostanza, singolare in Sardegna, che la zona comprende ben sette villaggi, l'uno vicino all'altro, evidentemente perché favoriti dall’abbondanza di sorgenti.- Altri toponimi della zona, di origine analoga e di significato simile, sono: Bottidda (Comune di B.; vedi), Ottiana (Bottidda), s'Ottiáni (Bultei), su Ottian(n)i (Pattada). Nella pronunzia odierna del coronimo l'accento risulta ritratto per supercorrezione: Gocèano.- Nei documenti medievali è citato parecchie volte, soprattutto con riferimento all'importante castello di Burgos (vedi) e precisamente nel Codex Diplomaticus Sardiniae (CDS I 382/2, 577/2, 690/2, 706/2, 715/2, 762/1/2, 763/1/2). In documenti antichi ricorre anche nelle varianti di Butiani e Gociani.

Grodde, Binza ‘e Grodde (Muros) «vigna della volpe oppure di Grodde» (soprannome), probabilmente nome tabuistico = groddo «scricciolo» (LISPR, NVLS).

Ilandra, sa, (Mara): (b)ilandra «pastoia che, talvolta assieme con un bastone, lega a due o tre arti una bestia, oppure il suo muso o le corna a un piede»; chilandra*, bilandra,-u, pilandra «pastoia che lega un piede anteriore della bestia a uno posteriore oppure a un corno» (BNI, VIN, VDG, VTI); probabilmente relitto sardiano o protosardo da confrontare – non derivare - col tosc. ghirlanda «corona di fiori» e anche «vincolo, legame» (GDLI), di origine incerta (DEI, PELI, DELI) (M.P., LISPR, NVLS).

Ilci’Alivesu (Sennori) «zona ortiva di Alivesi» (cognome; DICS). 

Ílcia noeddu (Sennori) «zona ortiva dei vitelloni» (sing. collettivo), che deriva dal lat. insula. Vedi Iscra.

Ilghíttula (Olbia, NGAO), Irghíttula (Posada) = «verghette, virgulti, germogli, ramoscelli» (sing. collettivo), da confrontare - non derivare - col lat. virga, virgula, *virgella (di origine ignota; DELL, DELI²). I virgulti, soprattutto quelli di salice, nel passato costituivano un materiale molto ricercato perché serviva per confezionare canestri di ogni grandezza e forma. Vedi Berchidda (Comune di B.), Berghíttula (Semestene), Birchidda (Siligo). 

Illorai (Illorái) (Comune di I., SS). L’abitante Illoraesu - Il toponimo è sardiano, come indica già il suo suffissoide –ái; esso corrisponde al fitonimo o nome di pianta èllera (VNI 300), èrela, èrella «edera» (Hedera helix L.), nonché ai toponimi Illorái (altro a Lula), Irilái (Oliena), Irillái (Nùoro), Eril(l)ione (Tonara), Erididdo (Noragugume) (suffissi e suffissoidi sardiani) e tutti sono da confrontare - non derivare - col tosc. èllera, èllora «edera» e còrso éddara [finora di origine ignota (DEI, GDLI, DELI) e pertanto quasi certamente “fitonimo mediterraneo”). Proprio a Illorai infatti si dice árbore alleriádu, illeriádu «albero avviluppato dall'edera». È pertanto molto probabile che il fitonimo esistesse già in Sardegna, nella lingua sardiana, prima che i Romani vi portassero il loro hedera [dal quale è regolarmente derivata l'altra variante sarda èdera] (DILS, LISPR). Il nostro villaggio dunque probabilmente deriva la sua denominazione dalla particolare abbondanza, in origine, di edera nel sito in cui è sorto; la quale caratteristica del resto si può constatare tuttora nel presente.- Esso apparteneva alla diocesi di Ottana e viene citato tra le parrocchie che nella metà del sec. XIV versavano le decime alla curia romana (RDS 163) come Yllortay (forma errata, la quale però con la scrittura -ay ci assicura che si pronunziava Illorái) e inoltre compare tra i villaggi che sottoscrissero la pace fra Eleonora d'Arborea e Giovanni d'Aragona del 1388 (CDS I 835/2). E poi è citato nella Chorographia Sardiniae (180.34) di G. F. Fara (anni 1580-1589) come oppidum Illorai

Ilstheri, s', (Muros) corrisponde all’appellativo osteri-a «oste, ostessa», che deriva dall’ital. osteria. [Da questo appellativo potrebbero derivare anche i cognomi sardi Stera e Steri (CSSO, DICS da perfezionare)].

Ilva (Gallura) - Antico nome dell'odierna isola della Maddalena, citato dal geografo greco-alessandrino Tolomeo (III 3, 8). Corrisponde chiaramente all'antico nome dell’isola d'Elba, Ilva, famosa sotto gli Etruschi per le sue importanti miniere di ferro e per i suoi forni. Anche la corrispondenza del nome di queste due isole costituisce una prova della originaria connessione dei Sardi con gli Etruschi. Probabilmente il toponimo trova corrispondenza negli altri sardi Irvi (Arbus, Bono), Irvili (Posada) e forse Ilbono (vedi). Pure per questo motivo io escludo che il toponimo Ilva sia di lontana origine ligure (OPSE § 54 e nota 3).

Interríos (Villanova Monteleone) «sito fra i rivi».

Ippinele (Ploaghe) probabilmente toponimo sardiano o protosardo (suff. diminutivo; vedi Eligannele) = «piccole spine» (sing. colletivo). 

Irvili, Orvili/e (Posada): toponimo sardiano o protosardo, forse da connettere con erbuzu, ebrulla, abrulla «erbaggio non coltivato, erbe mangerecce dei campi» (collettivo) e da confrontare – non derivare - col lat. herba «erba», di origine ignota, comunque “prelatino” (DELL, DELI) (anche ad Arbus). Cfr. Irvi (Bono), Irvo/u (Orgosolo), Irbidi (Nùoro), Ilbono (pronunzia locale Irvono, Comune di I.), Írbore (Oroséi), Irvuddái (Oliena), Erbaxi (Sant'Anna Arresi), Erbè (Arzana), Erbéi (Atzara, Jerzu), Elvei (Tula), Erbixi (Isili), Erboxi (Gergei); Erveri, Irveri, Ghirveri (Dorgali), Ghirvòe (Sarule), Ghirvone (Orani), Olvinitta (Alà).

Isciòccaru, l’, (Sorso), Isciòccoro, Coa e’Isciòccoro (Cargeghe) = fitonimo prelatino ciòccoro, thiòccoro, icciòccoro, issòccoro, (i)stiòccoro,-e, ittiòccoro, artiòccoro, còccoro «aspraggine» (Helminthia echioides L.; "pianta cicoriacea", FPS, NPS 190) e «cardo dei lanaioli» (Dipsacus fullonum L.; FPS), relitto sardiano o protosardo da confrontare – non derivare col greco kikórion, kórkoron «cicoria selvatica» (Cichorium intybus L.), «anagallide» (Anagallis arvensis L.; NPRA) (di origine ignota; GEW, DELG) e quindi probabilmente “mediterraneo” (OPSE 98, LISPR, NVLS). Vedi Bortioccoro.

Ispórulos (Loiri) (NGAO) «lambrusche»; sporra, spurra, spéurra, ispórula/u, ispúrula «vite selvatica, lambrusca», cioè "vite bastarda"; isperolinu «degenerazione del vitigno muristellu»; toponimi Esporlatu (mediev. Isporlathu; Comune di E.), Ispòro (Nule), Isporróghilo (Sarule), Isporósile (Nùoro), Isporròsola (Lodè), (I)Spurulattá (Olbia); Òsporo/Òspolo (Siniscola), Osporo (Cargeghe); Osporiddái e Osporrái (Oliena), Sporlò (Macomer); Sporolò, Isporolò (Semestene), Isporoddái (Orosei), Sporolói (Ottana), Ispúrulos e Spurulò (Chiaramonti), Spurulalzu (Monti), su Spurráxu (Isili, Santadi) (alternanza ó/ú, suffissi e suffissoidi): relitto sardiano o protosardo da confrontare – non derivare - col lat. spurius «(figlio) spurio, bastardo, illegittimo», unanimem. riportato all'etr. spurie (DETR). La derivazione, sostenuta dal Wagner (DES I 681), del fitonimo sardo da quello latino è da respingersi sia per notevoli difficoltà fonetiche sia per l'esistenza dei toponimi citati, che sono sicuramente sardiani o protosardi (LELN 235, OPSE 229, TSSO s. v. Esporlatu, LISPR).

Ispurulattá (Olbia) (NGAO) vedi Spurulattá. 

Ispurulò (Chiaramonti) vedi Spurulò

Istéddula, sa ‘e, (Ozieri, Pattada): «la zona delle stelline» (collettivo; probabilmente qualche fiore), diminutivo di isteddu «stella»).

Istelá(i), Istellái (Bitti/Orune, Pattada, Orani), Istalái (Lei), Istilái (Ilbono), Istelathe (Gavoi), Istalènnero (Orgosolo), Istelènnero (Nuoro/Orani), Istelias (Ussassai), Istelothe (Dorgali), Istilí (Sorgono), Istellosío (Orgosolo): toponimi prelatini (suffissi e suffissoidi), da riportare a isteli (Dorgali, Orgosolo) «piombaggine» (Plumbago europaea L.; pianta che per le sue proprietà caustiche era usata contro i porri, le verruche, i vermi delle piaghe degli animali e inoltre per stordire i pesci nei fiumi), fitonimo da confrontare – non derivare - col greco stelís «vischio» (Viscum album L.) (di origine ignota; NPRA 249) e pertanto probabilmente entrambi “fitonimi mediterranei”; si consideri che le due piante convergono nel fatto che venivano adoperate per catturare prede.

Istidói (Padru) (NGAO) toponimo sardiano o protosardo (suffissoide) probabilmente da emendare in Istiddói, da connettere con istiddiáre, stiddiái «stillare, gocciolare» e da confrontare – non derivare - col lat. stilla «stilla, goccia» (di origine incerta; DELL, DELI). Il toponimo probabilmente fa riferimento allo stillicidio o al gocciolare dell'acqua di qualche fontana. Cfr. Istiddá (Aritzo, Desulo), (I)stiddatili (Atzara), (I)stiddí (Belví, Tonara), Isteddí (Buddusò); Istiddío, Istiddorrái (Orani); Istiddòe, Istoddoè (Gavoi), Osteddái (Illorai), Stillái (Loceri), Istillatzái (Baunei, Urzulei).

Ittireddu (Comune di I., SS) - Letteralmente questo toponimo significa «Piccolo Ittiri» e gli è stata data tale denominazione evidentemente per distinguerlo da Ittiri (cfr. Berchiddeddu, Sennariolo). Secondo la testimonianza di G. F. Fara, anticamente i due villaggi - il primo appartenente alla curatoria di Monte Acuto, il secondo alla curatoria di Coros - si chiamavano nello stesso identico modo: Iteri (Chorographia Sardiniae, 124.14, 21; 170.35; 184.32). Nell’Ottocento e fino a un ottantennio fa, i due villaggi - ormai entrambi nella provincia di Sassari - venivano distinti in questo modo: da una parte Ittiri Fustialbu oppure Ittireddu «Piccolo Ittiri», dall'altra Ittiri Cannedu (vedi) oppure Ittiri Mannu «Ittiri Grande». È da precisare che fustialbu (fustiáivvu) significa «pioppo» e deriva dal lat. fustis albus «fusto bianco»; e sembra che Ittireddu sia stato specificato in questo modo per una particolare abbondanza di pioppi nella sua zona chiamata sa Funtana 'e Josso «la Fontana di Giù».- Nella scheda 437 del Condaghe di Silki (CSPS) si parla di ambas villas de Ithiris; la qual cosa viene confermata dalle Rationes Decimarum (RDS), che distinguono tra Issir e Issir josso. Io sono del parere che Issir josso corrisponda ad Ittiri Fustialbu, cioè ad Ittireddu. Precisato questo, c'è da dire che la spiegazione etimologica di Ittireddu è quella stessa di Ittiri (vedi) (Day 108).

Ittiri (Íttiri) (Comune di I., SS) - Il toponimo compare nel Condaghe di Silki (CSPS 85, 95, 400, 437) come Ithir e dopo negli elenchi dei villaggi della diocesi di Sorres che nella metà del sec. XIV versavano le decime alla curia romana come Itiri, Issir, Isser, Isir (RDS) e inoltre nel quattrocentesco Codice di Sorres come Ittyr, It(t)iry, Ittiri, Yttyri, Yssyr (CSorr). Per queste forme che risultano alquanto devianti io cito una norma fonetica del sardo: quando è vicina a una /r/, la consonante intervocalica -t- tende a spirantizzarsi, ossia a diventare -th-, anche con un successivo passaggio in -ss-. Ciò premesso, ecco la possibile etimologia del nostro toponimo: in Sardegna è diffuso e lo era molto di più nel passato il culto di Nostra Signora d'Itria, che esiste o esisteva ad Aggius, Lodè, Siniscola, Onifai, Galtellì, Dorgali, Oliena, Nùoro, Orune, Gavoi, Macomer, Dualchi, Arbus, Nureci, Senorbì, Tortolì, ecc, e soprattutto a Portoscuso, di cui è patrona. Il culto di questa Madonna è stato di certo importato dai Bizantini; e infatti Ítria deriva dal vocabolo greco-bizantino Hodēgétria «Conduttrice, Guidatrice» (da hodós «strada, viaggio» e hegéisthai «condurre, guidare»), il quale, pronunziato Odighítria, ha dato luogo al sardo (Nostra Signora d') Ítria. In seguito la locuzione è stata in qualche località tradotta nell'altra Nostra Signora de su Caminu Bonu «Nostra Signora del Buon Cammino». È comprensibile l'ampia diffusione di questo culto nella Sardegna del passato e pure in Sicilia: chi si metteva in viaggio, a cavallo o molto più spesso a piedi, correva spesso il rischio di imbattersi in briganti appostati in punti particolari delle strade; da ciò derivava l'uso frequente tra i viandanti di invocare, prima di mettersi in viaggio, la protezione di Nostra Signora d'Itria o del Buon Cammino.- Il nome di una chiesa campestre presso Nureci dedicata a questa Madonna suona propriamente Nostra Signora de Íttiri; e questa pronunzia non soltanto è indicata da qualche vecchia carta geografica, ad es. dalla Carta d'Italia del Touring Club Italiano, foglio 40, del 1913, ma viene tuttora ricordata dai vecchi della zona. Oltre a ciò «Il titolo di N. S. d'Itria d'Ittiri, ridotto poi a N. S. d'Ittiri - ha scritto Gian Domenico Serra - si riscontra, ad es., per una chiesa suffraganea, in Dualchi (Nùoro), ove la popolarità sua è dimostrata dal fatto che accanto al nome personale femm. Itria, vige, pur sempre, in Dualchi, il nome personale femm. Ittiri o Bittiri», con una B- iniziale - dico io - effetto di una supercorrezione. La qual cosa si constata anche in qualche paese del Logudoro, dove una donna battezzata e denominata in onore di Nostra Signora di Itria viene tuttora chiamata Maria Íttiri o semplicemente Íttiri (DSIL 1334). Questo stesso fatto si constata - o si constatava - anche nel Capo di Sotto, in cui il nome di donna figura come Bíttiri e diminutivo Bittiredda (DSI 627). Tutto ciò premesso, dico che il paese di Íttiri molto probabilmente deriva la sua denominazione da quello di Nostra Signora d'Itria o d'Íttiri. È ben vero che ad Ittiri non c'è neppure il ricordo del culto di Nostra Signora d'Itria, ma si può tranquillamente ritenere che esso sia stato sostituito da quello - effettivamente esistente e molto più recente - di Nostra Signora di Monserrato. Il fatto poi che, secondo questa nostra spiegazione, Ittiri tragga la sua denominazione da un agionimo non ha alcunché di strano: in tutti i tempi e in tutti i luoghi molto spesso gli uomini hanno posto il sito della loro dimora sotto la protezione di una divinità pagana oppure di un santo cristiano.- In Sardegna esistono almeno altri quattro toponimi Íttiri e precisamente nei territori di Bosa, Escalaplano, S. Lussurgiu e Terralba. Ovviamente si dovrà verificare se nei rispettivi siti esistano resti di chiese dedicate a Nostra Signora di Itria oppure se i toponimi indichino le proprietarie di altrettanti possedimenti terrieri.- C’è infine da precisare che, tra i villaggi che sottoscrissero l'atto di pace fra Eleonora d'Arborea e Giovanni d'Aragona del 1388, il nostro paese viene citato come Bitiri (CDS I 840/1), con una /B/ iniziale supercorretta. Lo stesso fenomeno si constata anche nell’etnico, per il quale si hanno tuttora due forme plurali: sos Ittiresos e sol Bittiresos. (rivisto su TSSO 828-830). 

Jaccia, la, (Arzachena) «i ginepri rossi» (sing. collettivo) = gallur. jàccia, ghjàccia, ajàcciu «ginepro rosso», che è da connettere col ligure agáixu «ginepro rosso» (NPS 444).

Juncheddu (Sassari, valletta all'uscita dalla città, poco prima delle gallerie di Chighizu) – Il toponimo corrisponde all'appellativo log. junchédu «giuncheto, sito di giunchi», il quale deriva dal lat. iuncetu(m). È citato dal Condaghe di Silki (CSPS 87, 161, 197, 259) come Junketu. Da tutto ciò si evince che la pronunzia Juncheddu, con la dd geminata, è effetto dell'adattamento del vocabolo log. alla fonetica del dialetto sassarese (cfr. Predda Niedda, Segasidda).

Kitarone villaggio medievale, poco ad ovest di Sassari, in località ora detta Caddaroni, numerose volta citato nel Condaghe di Silki (CSPS). Potrebbe essere il soprannome del proprietario di una originaria villa «tenuta o fattoria», derivato dal lat. cithara «cetra» (in accrescitivo e peggiorativo) e avendo pertanto il significato di «grande cetra» oppure di «suonatore di cetra».

Laccaralò (Alà): toponimo sardiano o protosardo (ossitonia) da riportare all’appellativo láccana, láccara (f.) «fossato di confine, confine, termine territoriale, segno di confine»; vedi lácuna (LISPR, NVLS).

Laccasi (Pattada): relitto sardiano o protosardo corrispondente al fitonimo locasu (Nùoro, Orgosolo, Orune, Sarule), loqasu (Gavoi), locáu (Urzulei), alacasu (Orani), olocasu (Lula) «betonica glutinosa» (Stachys glutinosa L.). Vedi Locássaro (Baunei, rione; plur. sardiano).

Laddái (Loiri) (NGAO) toponimo sardiano o protosardo (suffissoide) probabilmente da riportare a laddía, liddía «ciottolo, pietra di fiume» e inoltre da confrontare – non derivare - col lat. lapis,-idis «pietra» (di origine ignota; DELL, DELI). Vedi Láddai, Laddò (Tonara), Laddánnaro o Leddánnaro (Nùoro), Laddaoro (Florinas), Laddéi (Gadoni, guado), Laddeine (Desulo), Laddío (Orune) (TSSO). 

Laerru (Comune di L., SS). L’abitante Laerresu - Le più antiche documentazioni del toponimo si trovano nel Condaghe di Silki come Lauerru e Lauirru (ovviamente da pronunziarsi Laverru e Lavirru) (CSPS (82, 140). Di queste due forme la seconda sembra la più frequente, dato che risulta documentata in epoca successiva come Layrru (ad es. nell'atto di pace fra Eleonora d'Arborea e Giovanni di Aragona del 1388; CDS I 837/1). Inoltre nel Condaghe di Salvennor è citato un altro villaggio Lavirru fra Bonorva e Ittireddu (CSMS 146/13). Infine questa forma risulta tuttora vitale fra gli anziani della Gallura come Lairru (NLAC 208).- Siccome in termini generali, soprattutto nelle regioni a prevalente economia agro-pastorale, come basi dei toponimi si ha l’obbligo e l’interesse a privilegiare i “fitonimi” o nomi di piante, io ritengo probabile che il toponimo Lavirru/Laverru sia da confrontare – non derivare – col fitonimo lat. laburnum «citiso» (Cytisus laburnum L.), il quale risulta di origine ignota (NPRA 135) e che probabilmente è un “fitonimo mediterraneo”. Questa pianta risulta effettivamente presente anche in Sardegna (NPS 378). L’alternanza delle vocali toniche ú/í in laburnu(m)/Lavirru ed í/é in Lavirru/Laverru è un fenomeno ampiamente conosciuto nei vocaboli di sostrato (LELN passim). È molto probabile dunque che il nostro villaggio abbia derivato la sua denominazione dalla particolare presenza, in origine, della pianta del citiso nel sito in cui è sorto. Notevole poi è che un toponimo Laerru esiste anche nel cuore della Sardegna montana, ad Onanì.- Il villaggio è citato anche nella Chorographia Sardiniae (176.7) di G. F. Fara (anni 1580-1589) come oppidum Laerri della diocesi di Ampurias.

Lampárigos, sos, (Bulzi, Ozieri, Pattada) probabilmente «le lucciole», da lampare «lampeggiare, balenare, brillare» (altrove chiamate lughentinas, lughe-lughe); (Pattada) leare sos lampárigos «errare qua e là», da confrontare con l’ital. prendere lucciole per lanterne (appellativo non registrato in alcun vocabolario).

Landrigga, la, (sobborgo di Sassari) - Molto probabilmente il toponimo costituisce la versione sassarese di uno precedente log. sa *Lenticra, il quale deriverebbe dal lat. lentic(u)la «lenticchia», al singolare ma con valore collettivo di «le lenticchie». È molto probabile dunque che la Landrigga abbia tratto la sua denominazione dalla particolare coltivazione, in origine, di lenticchie nel sito. 

Lattúrigu, su, (Padria, Pozzomaggiore): lattóricu, lattórigu, lattúriche, lattúriqu, lattúrighe/u «caracia, euforbia» (Euphorbia characias, E. cupanii), relitto sardiano o protosardo (suffisso e alternanza ó/ú), da confrontare - non derivare - col lat. lac, lactis «latte» (indeur.). La derivazione, sostenuta dal DES II 15 e dal NPS 170, dei vocaboli sardi da quello latino è da respingersi sia per notevoli difficoltà fonetiche sia per l'esistenza dei toponimi seguenti: Lattaragoro (Urzulei), Lattarasiddu (Sorgono), Láttari (Alà, Bultei), Lattarra (Irgoli), Lattarréi (Benetutti), Lattarusi (Laconi), Latturrè (Orgosolo) (ossitonia, suffissi e suffissoidi). È dunque verosimile che in Sardegna, nella lingua sardiana o protosarda, esistesse una base *lact- «latte» già prima che ve la portassero i Romani (M.P., LISPR, NVLS).

Leccherèo (Nulvi-Tergu): toponimo probabilmente presardiano (suffissoide –èo), forse da riportare al fitonimo lochera, locuridda, locurreris, logheri, luceri, loceríe, lochesu, lucrexu «betonica glutinosa» (Stachys glutinosa L.), che probabilmente è un “fitonimo mediterraneo”. Vedi toponimi Leccheri (Silanus), Leccuri (Tonara), Líccaru (Laerru), Liccheréi (Bortigali), Liccheri (Ghilarza); Logheri, Loqurulla (Oliena), Locuriddu (Nùoro) (M.P., DILS, LISPR). Vedi Lócchiri.

Lerno, Mont’ ‘e Lerno (pronunzia locale Lèrrono) (prov. di Sassari) - Adesso monte presso Pattada, mentre nel Medioevo era un villaggio della curatoria di Monte Acuto, situato presso le chiese rovinate di Santa Vittoria e San Lorenzo. È citato dal Condaghe di Silki (CSPS 386) e dal Condaghe di Trullas (CSNT² 248) come Lerron. La consonante finale -n ci spinge a pensare che si tratti di un toponimo sardiano o protosardo (cfr. Laconi, Oliena). Ma nulla finora si può prospettare sul suo significato originario.- Il villaggio è citato fra le parrocchie della diocesi di Castro che nella metà del sec. XIV versavano le decime alla curia romana (RDS 187, 869, 1731, 2002). Un certo Thomeo de Lorrunu è ricordato nel Codex Diplomaticus Sardiniae (CDS I 854/2) per l'anno 1388. Invece il villaggio non risulta citato nella Chorographia Sardiniae di G. F. Fara (anni 1580-1589), probabile segno che si era già estinto (Day 108).

Lèttero (Ossi), quasi certamente connesso con Litterái (Ossi) (vedi).

Libisonis, Turris Libisonis = odierno Porto Torres (SS; vedi) - Come toponimo è da confrontare col nome della città di Líbyssa della Bitinia, nell'Asia Minore, area dalla quale sono arrivati i primitivi Sardi o Nuragici (cfr. Sardara, Sardegna, Serdiana). Per altri toponimi sardi che trovano riscontro più o meno esatto in toponimi corrispondenti dell'Asia Minore, si vedano Ardali, Arzachena, Bargasola, Bolòttene, Caralis, Scandariu, Sindia, Siniscola, Tiana. Vedi Turris Libisonis.

Limbara (Gallura) - Montagna della Sardegna sett., che raggiunge i 1359 metri di altezza nella Punta Balistreri e che divide la Gallura propriamente detta, ossia quella superiore, dal Logudoro. Il suff. -ára ci assicura che si tratta di un vocabolo toscano, proprio come Asinara, Carbonara, Molara, Tavolara (vedi). Quasi certamente l'oronimo deriva dall’antico tosc. limbo «lembo, orlo» (GDLI); ed infatti il Limbara (che si sarebbe dovuto chiamare meglio la Limbara) costituisce l'"orlo" meridionale della Gallura superiore.- La montagna è citata nella Chorographia Sardiniae (100.17; 130.7,12; 224.33) di G. F. Fara (anni 1580-1589). 

Limpiddu (frazione di Budoni) - Questo toponimo corrisponde all'appellativo gallur. e log. sett. limpiddu «prima erba, erbetta nascente», «pascolo autunnale» (VTI, VDG, DEG), il quale probabilmente è un relitto sardiano o protosardo (suff.), da confrontare – non derivare - coi lat. lympha, limpa «acqua» e limpĭdus «limpido» (finora di origine incerta; DILL, DELI) col significato originario di «erbetta delle prime piogge autunnali». 

Lioni, lu, (frazione di San Teodoro) - Il toponimo corrisponde al fitonimo o nome di pianta gallur. liòni «corbezzolo», il quale deriva dal log. (o)lidone «corbezzolo, corbezzola» (pianta e frutto) (Arbutus unedo L.). Questo è un relitto sardiano o protosardo da confrontare - non derivare - col lat. unedo,-onis «corbezzolo» [finora di origine ignota (DELL, NPRA) e quindi di probabile matrice “mediterranea”] (si osservi che in nessuna variante sarda del fitonimo compare la /n/ della seconda sillaba di quello latino; NVLS). Dunque il centro abitato ha preso nome dalla particolare presenza, almeno in origine, della citata pianta nel sito in cui è sorto.

Liscia di Vacca (frazione di Arzachena) – Il toponimo significa «la zona alluvionale della vacca», ma lo si sarebbe dovuto scrivere molto meglio l'Iscia di Vacca. Vedi Liscia.

Liscia, Fiume Liscia, Porto Liscia, Cala Liscia Ruja (Gallura) - Questo idronimo corrisponde all'appellativo gallur. l'íscia (con l'articolo agglutinato) «tratto di valle percorsa da un corso d'acqua, a fondo largo, piano ed alluvionato, con isole fluviali e pozze d'acqua residue», corrispondente al log. íscra. L’appellativo deriva dal lat. insula «terra alluvionale circondata da un fiume» (CS 56; DILS) (da confrontare col nome dell'isola italiana Ischia. Vedi Iscra). Però faccio notare che lo si sarebbe dovuto scrivere l'Iscia, mentre la scrittura Liscia è errata. 

Litterái (Ossi) toponimo prelatino (suffissoide), da connettere col fitonimo lattíttera, lettíttera, littíttera «cicerchia o veccia selvatica» e «galletta» (Lathyrus silvester, articulatus L.), da connettere – non derivare - col greco láthyrhos (Lathyrus sativus L.), che è di origine ignota (NPRA 139) e quindi probabilmente un “fitonimo mediterraneo”) (M.P.). Vedi Lèttero.

Littigheddu (Aglientu, Sedini) - Il toponimo significa «boschetto», corrispondendo al diminutivo del log. littu, lithu «bosco esteso, grande estensione di terreno boscoso». Questo deriva dal lat. (lucus) iliceus «bosco di lecci» (il leccio è l’albero di gran lunga più comune in Sardegna) (NVLS). 

Lócchiri (Anela, Nule, Orune, Oschiri): oponimo sardiano o protosardo, da connettere col fitonimo o nome di pianta lochera, locuridda, locurreris, logheri, luceri, loceríe, lochesu, lucrexu «betonica glutinosa» (Stachys glutinosa L.), che probabilmente è “mediterraneo”. Vedi Loqeríe, Loquriò, Luquriái, Luquriè (Orgosolo), Loqiriòe (Fonni); Loqeri, Logheri, Loqurulla, Loqurithái (Oliena), Locuriddu (Nùoro). Vedi Leccherèo. 

Lòddoro (Pattada): toponimo sardiano o protosardo (vocali iterate), che probabilmente corrisponde all’aggettivo loroddu, laroddu, lóddoru, lóddinu, loddu-a «lurido, sozzo, diluito, fluido-a», (sost.) «sudiciume, moccio»; lorodda «sterco molle, diluito, diarrea» (M.P.). Vedi Loddorothái (Oliena), Leddurái (Orgosolo).

Lodè (Comune di L., NU). L’abitante Lodeinu - Il paese veniva detto anche Lodè minore «Lodè piccolo», per distinguerlo da Siniscola, che invece veniva inteso e detto Lodè mannu «Lodè grande» (vedi). Il nome di questo villaggio trova riscontro in questi altri toponimi sardiani o protosardi: Lodéi o Ilodéi (Orgosolo), Lodeis (Orune), Illodè (Benetutti), Lodine (Comune di L.), Lódulu (Lanusei), Lodunu (Urzulei), Ludurru (Buddusò) (accento e suffissi sardiani). La sua matrice sardiana o protosarda è già fortemente indiziata dalla sua accentazione, cioè dalla caduta dell'accento tonico sulla sua ultima vocale, proprio come negli altri toponimi Alá, Azzanì, Barì, Belvì, Bidonì, Buddusò, Oviddè, Senorbì, Torpè, Tortolí, ecc.; tale accentazione infatti non era consentita dalla lingua latina. Notevole è il fatto che negli elenchi della curia vescovile di Nùoro (anno 1622 e successivi) è attestata anche la forma Lodej e Lodey, con una vocale paragogica od epitetica aggiunta al fine di evitare appunto l'accento sull’ultima vocale. La matrice sardiana del toponimo è confermata dal suff. -ínu dell'etnico Lodeínu, proprio come in Alaínu, Buddusoínu, Lanuseínu, Oroseínu, Torpeínu, Trieddínu, Urzuleínu, ecc. (UNS 215). Tutto ciò premesso, è possibile che il toponimo Lodè sia da connettere con l’appellativo sardo lodu «fango» (DitzLcs), il quale è da confrontare – non derivare – col lat. lutum «fango, argilla» (di origine incerta; DELL, DELI s. v. loto). Il toponimo pertanto farebbe riferimento a qualche cava di argilla (materiale molto ricercato nei tempi passati) e alla attività artigianale dei suoi abitanti, come fabbricanti di tegole e di vasellame (cfr. Lodine).- L’appellativo lodu «fango» pertanto probabilmente è un relitto sardiano o protosardo, mentre l’altra forma lutu, ludu «fango» deriva certamente dal lat. lutu(m) (DILS).- Lodè viene citato tra i villaggi della diocesi di Galtellì che versavano le decime alla curia romana nella prima metà del sec. XIV (RDS 699, 1072). Nel Compartiment de Sardenya, Repartimiento de Cerdeña (pg. 823), che è una descrizione, suddivisa per feudi, delle rendite di tutti i villaggi posseduti in Sardegna dalla Corona d'Aragona (anno 1358), il villaggio viene citato come Lotde e Locde (GG 124, 392). Viene citato anche nella Chorographia Sardiniae (130.23; 222.22) di G. F. Fara (anni 1580-1589), dove si dice che il riu Mannu di Posada nei pressi di Lodè ha sabbie argentifere (Day 132).- Lodè è uno dei villaggi più conservativi dell'intera Isola sia dal punto di vista linguistico sia da quello etnologico; io segnalo di avere appreso da una persona attenta e colta che ancora ai primi del Novecento a Lodè era in uso il rito della «covata»: il marito si metteva a letto nella stanza in cui stava per partorire, su un altro letto, la moglie e imitava con gemiti e lamenti le doglie della compagna, e ciò faceva anche per dare a lei uno stimolo psicologico e simpatetico al parto. Usanza che risultava ancora viva negli stazzi della Gallura addirittura attorno agli anni 1945/1946 (OPSE 150) e che Diodoro Siculo (V 14, 2) attribuiva agli antichi Còrsi. 

Loelle (Buddusò): probabilmente = «Raffaele», nome pers. del proprietario del predio.

Logudoro subregione della Sardegna centro-settentrionale (SS). Questo coronimo è stato molto fortunato, da una parte perché da quasi tutti i Sardi viene interpretato – però secondo una evidente paretimologia - «Luogo d’Oro», dall’altra perché il suo originario ambito geografico si è allargato parecchio sia per una circostanza storico-politica, sia per un’altra storico-linguistica.- Si riesce a intravedere abbastanza chiaramente che all’inizio il Logudoro abbracciasse una piccola zona della Sardegna centro-settentrionale che faceva capo e perno nel borgo di Ardara (vedi). Infatti, quando nel Medioevo, per sfuggire alle feroci e continue incursioni dei pirati saraceni, il regno o giudicato di Torres si trasferì da Porto Torres ad Ardara appunto, esso cominciò ad essere chiamato anche Rennu de Locudore. Ma per questo stesso motivo il Logudoro vide allargarsi enormemente il suo ambito geografico, identificandosi con quello dell’intero Giudicato, il quale comprendeva tutta la parte nord-occidentale della Sardegna, da Porto Torres e dalla Nurra a nord-ovest, fino alla catena del Marghine e del Goceano a sud-est e fino al Montiverru, con Cuglieri, a sud-ovest, al confine col Giudicato di Arborea, ma con esclusione della Gallura a nord-est. Con ciò in effetti il Logudoro finì praticamente con l’indicare quasi tutto il cosiddetto Capo di Sopra (Cabu 'e susu), quello distinto e delimitato dal Capo di Sotto (Cabu ‘e giosso) dalla catena montuosa del Montiverru-Marghine-Goceano. In epoca più recente il Logudoro vide allargarsi ancora di più il suo ambito geografico, quando il suo aggettivo cominciò a essere adoperato per indicare l’intera area geografica entro cui si parlava e si parla tuttora la varietà “logudorese” della lingua sarda, varietà che è quella più conservativa e più aderente alla madrelingua latina e che include anche il Nuorese, la Baronia e la Barbagia di Ollolai a sud-est.- Circa l’etimologia del coronimo c’è da premettere che le sue più antiche forme sono quelle medievali, cioè Locudore (CSPS 20, 438) Loccodori (CSNT 216), Lugudore, Logudore (CSMB 21, 146, 219). Siccome però esso non era più compreso dai parlanti, sono in seguito intervenute paretimologie con l’appellativo sardo locu, logu «luogo» e con quello italiano oro, e il coronimo fu interpretato e mutato con alcune forme a membri distinti e separati: Logu Ori, Locus Horim, rennu quod dicitur Ore. Inoltre, entrata ormai nella coscienza dei parlanti la equazione Locu = Rennu = Capu, il coronimo fu ulteriormente manipolato fino a dar luogo al vocabolo e alla locuzione Cabudoro e Capu de Oro, Capo d'Oro (SSls cap. V). Tutto ciò premesso dico di ritenere che invece il nostro coronimo deriva dall’appellativo lat. locatore(m), il quale in Cicerone (Verr. 3.55) e nel Digesto compare col significato di «locatore, chi affitta» e in Vitruvio (1.1.10) con quello di «appaltatore». Io preferisco optare per questo secondo significato e sostengo che il coronimo sardo Locudore deriva dal lat. locatore(m) col significato appunto di «Appaltatore». Ma “Appaltatore” di che cosa? È abbastanza noto che l’Africa proconsolare o Numidia, la Sicilia e la Sardegna costituivano i tre “granai” di Roma, quelli che fornivano alla capitale le grandi quantità di grano che erano necessarie per sfamare la sua grande popolazione e i numerosi reparti del suo esercito. Di certo la Sardegna era il più importante di quei tre granai per il motivo essenziale che era il più vicino a Roma. Ebbene mi sembra che non si possa dubitare del fatto che il nostro “Appaltatore” in effetti lo fosse delle grandi quantità di grano che dalla Sardegna settentrionale, attraverso i porti di Olbia, Tibula e Turris Libisonis, partivano per il porto di Ostia. In effetti si intravede abbastanza chiaramente che l’Appaltatore, per incarico dello Stato romano procedeva a incamerare e a spedire a Roma le quantità di grano e in contraccambio riceveva dallo Stato un lauto compenso in moneta.- È possibile almeno intravedere dove avesse la sua residenza e il suo principale centro di attività questo Appaltatore? A me sembra di sì e con grande verosimiglianza ce lo dicono due odierni toponimi della zona. Il primo è Saccárgia, che indica una località situata al centro dell’ampia vallata che inizia a San Michele di Salvennor, nell’agro di Ploaghe, e finisce a Campo Mela al confine con l’agro di Sassari. Saccargia nel Medioevo era un villaggio citato molto di frequente e chiamato nei documenti più antichi Saccaria, Sacarja (CSPS, CSNT, CDS, RDS, CREST). In virtù di questa sua ampia e solida forma fonetica, la sua derivazione è quasi del tutto sicura: deriva dall'aggettivo sostantivato lat. saccaria. E ne deduco che Saccaria era la località dove l’Appaltatore "ammassava" e "insaccava" le grandi quantità di grano che ricavava dalle zone circostanti e che spediva ad Ostia attraverso il porto di Turris Libisonis oppure quello più vicino di Tibula (Castelsardo). L’altro toponimo è il nome del borgo di Codrongianus (anche Codrongianos, localmente Codronzanu). Nel Condaghe di Silki il villaggio è citato molte volte come Cotronianu, Cotronianum, Quotronianum, Cotroianum, Cotrongianu. Da questa forma del toponimo è abbastanza facile ricavare una molto verosimile etimologia: tale denominazione derivava da un *Crotonianu(m), che indicava il possedimento di terre da parte di un proprietario denominato *Crotonius = «nativo o proveniente da Crotone», famosa città della Magna Grecia, sulla costa del Mare Ionio. [In epoca medievale questa città è citata come Cotrone (DTI), ma non è da escludersi che tale forma del toponimo esistesse già prima]. La scelta di Codronzanu – che del resto prendeva origine dal suo gentilizio - da parte di Crotonio come sua residenza abituale e come centro principale della sua attività di certo non sarà stata da lui fatta a caso: già in epoca romana le coste e i bassopiani della Sardegna erano stati colpiti dalla infezione malarica, ragion per cui i Romani, per evitarla, fondavano i loro presidi militari e le loro ville o tenute sulle alture. In quet’ordine di cose è molto significativa la posizione in altura di due odierni villaggi, sempre nell’area del Logudoro, che sono di evidente origine romana, entrambi in altura, Romana e Pádria (dal lat. patria). In stretta analogia faccio osservare che i vescovi di tutte le diocesi della Sardegna, dall’età medievale sino ai tempi recenti, avevano una o più sedi di residenza in altura, dove risiedevano in estate per sfuggire ai pericoli della malaria o – come allora si diceva - “intemperie”. Ebbene anche Crotonio avrà scelto come sua residenza Codronzanu, nel cui territorio è posta Saccargia e che la domina dalla sua altura, proprio per sfuggire ai pericoli della malaria.- Ma esistono, sempre nella medesima ampia zona, la quale aveva nel passato ed ha tuttora una particolare vocazione alla coltivazione del grano, altri due toponimi che indicavano due differenti centri abitati medievali: Orria Manna, Orria Pitzinna (Orrja), situati nella zona di Chiaramonti-Nulvi, ma da tempo abbandonati e ormai scomparsi. Sono citati nei documenti come Orrea ed Orria e la loro etimologia è abbastanza chiara e sicura: lat. horreum «granaio» o, meglio, la sua forma femminile horrea, documentata nella tarda latinità (DELL), per cui significano rispettivamente «granaio grande» e «granaio piccolo» [manna «grande» dal lat. magnus-a, pitzínna «piccina, piccola» dal lat. pitzinnus-a (REW 6550; DILS)]. Ebbene, siccome Chiaramonti confina con Ardara, non è improbabile che anche Orria Manna ed Orria Pitzinna fossero in origine due centri di ammasso del grano effettuato dal medesimo Appaltatore di Codronzanu. Però è anche verosimile che ad Orria Manna ed Orria Pitzinna operasse un Appaltatore differente da quello di Codronzanu; così come è molto probabile che col passare del tempo altri Appaltatori si siano succeduti l’uno all’altro.- Però si deve precisare che più in generale è possibile che si trattasse dell’Appaltatore non del grano, bensì delle tasse. 

Logulentu, Lugulentu (Sassari) - Nome di una vallata situata a settentrione di Sassari, per il quale si possono prospettare due differenti soluzioni etimologiche: 1ª) È da distinguere in logu lentu ed in questa ipotesi avrebbe il significato di «luogo umido», derivando dai lat. locus e lentus (DILS); 2ª) Deriva dall'aggettivo lat. luculentus «lucente, splendido, ricco». In questa seconda ipotesi però non si comprenderebbe il riferimento esatto dell'aggettivo sostantivato: si riferiva al sito molto ricco dal punto di vista delle coltivazioni ortive, oppure era un soprannome attribuito ad uno dei proprietari dei terreni della vallata?- Il nostro toponimo è citato nella Chorographia Sardiniae (126.11) di G. F. Fara (anni 1580-1589) come Locus Lentus

Loiri (gallur. Lóiri, buddusoino Loéri) (Comune di L.) - Stazzo della Gallura meridionale, solo da qualche anno diventato comune a sé col nome - sovrabbondante...- di Loiri Porto San Paolo. Per questo toponimo sono possibili tre differenti spiegazioni etimologiche: 1ª) Potrebbe essere sardiano o protosardo, da connettere con l'altro Illoiri (mediev., Loculi; NGAO 1053) e probabilmente anche col greco léirion «giglio» (fitonimo "mediterraneo" secondo GEW, DELG); 2ª) Potrebbe corrispondere all’appellativo camp. leori, liori, lori «frumento, grano, seminato» (il lavoro per eccellenza del contadino), dal lat. labore(m); 3ª) Potrebbe corrispondere all’altro appellativo leori², liori² «volpe», nome tabuistico che corrisponde al nome pers. Liori, Lioni, Leoni «Leone» (DILS, DICS). 

Longhidanu (Erula, Ozieri) «abitante di Longe o Longuo» (antico villaggio ormai scomparso; RDS 2051, 2265; GG 497), dal lat. longu(m) + -itanu(m) (M.P.).

Longone (gallur. Lungoni, log. Longones) - Antico villaggio che derivava il suo nome dalla insenatura di mare "lunga e stretta" che si trova nella punta più settentrionale della Sardegna, insenatura nel cui fondo e sulla cui sponda orientale esso era situato. Dall'anno 1812 il villaggio è stato sostituito, però sulla sponda occidentale, da Santa Teresa di Gallura (vedi). Il centro abitato esisteva già in epoca classica, come dimostra la sua citazione da parte del romano «Itinerario di Antonino» (79, 3): Longone.- Il toponimo richiama l'aggettivo lat. longus «lungo» (indeur.; DELL, AEI), a titolo però non di derivazione, bensì di affinità genetica. Tale aggettivo infatti probabilmente esisteva anche nella lingua sardiana o protosarda, come dimostrano anche i seguenti toponimi: Longhío (Oniferi, Sedilo), Lunghéi (Nule) (suffissoidi) ed esisteva anche in etrusco: Lunkhe, Lunce, Lvnce (DETR). D'altronde Longone della Sardegna richiama il Porto Longone (adesso Porto Azzurro) dell'Isola d'Elba (la etrusca Ilva), per distinguerlo dal quale in passato lo chiamavano Longon Sardo (OPSE 215). Inoltre risulta accertato che il suff. -on-/-un- è di origine tirrenica, ossia sardiana ed etrusca insieme.- In subordine si può accettare la tesi prospettata da Ettore Pais (Rom.² II 124) della derivazione del toponimo sardo dal greco longón,-õnos «ormeggio, porto».- Il villaggio è citato parecchie volte nel Codex Diplomaticus Sardiniae (CDS I 820/1, 824/1, 824/2, 865/1, 867/2, 868/1, 869/2) come Longosardo ed è citato pure nella Chorographia Sardiniae (80.35; 128.35; 226.14) di G. F. Fara (anni 1580-1589) come oppidum Longosardi

Lorra, sa, (Alà): probabilmente è l’appellativo sardiano o protosardo lorra «sporcizia, sudiciume della persona e degli abiti», lorru «colio di sudore», lorris-lorris de sudore «madido di sudore», il quale deriva da un originario *lornu a sua volta da lórinu «lurido», da confrontare – non derivare - col lat. luridus (DILS, LISPR). Vedi Lorro (Orgosolo).

Lottòa (Pattada): toponimo sardiano o protosardo, forse da connettere con l’aggettivo lóthiu-a «denso, molle, viscido-a» (Bitti, Lodè) oppure da confrontare – non derivare – col greco lōtós «loto» (anche edule) (Lotus edulis L.) (NPS 283-264), “fitonimo mediterraneo” (NPRA 147). Vedi Lothovái (Oliena), Loturtho, Lothune (Ollolai), Lothana (Orgosolo).

Ludurru (frazione di Buddusò, SS).- Il toponimo è caratterizzato dal suffisso sardiano o protosardo -rr-, che probabilmente in origine era -rn- (cfr. Sitzerri < Zezerni). La radice invece potrebbe essere riportata all'appellativo sardo lodu «fango» (DitzLcs), che è confrontare – non come derivato bensì come imparentato geneticamente – col lat. lutum «fango, argilla» (di origine ignota; DELL, DELI² s. v. loto), avendo pertanto il significato di  «(sito) fangoso oppure argilloso». La vocale protonica /u/ del toponimo, diversa da quella /o/ dell’appellativo, sarebbe l’effetto della sua posizione protonica, per cui c’è da supporre una originaria forma *Lodurru. Cfr. Lodè, Lodine

Lughentinas, sas, (Pozzomaggiore): «le lucciole», che deriva da luchente, lughente «lucente, brillante», probabilmente ad imitazione del corrispondente appellativo italiano. Anche altrove.

Lugherras (Nughedu S. N.): «lucerne», che deriva dal lat. lucernas. Vedi Nuraghe ‘e lugherras (Paulilatino), nel quale sono state trovate centinaia di lucerne nuragiche, puniche, romane e perfino cristiane, che dimostrano la continuità di un luogo di culto religioso nel nuraghe (SN).

Lugudone – Mansione o stazione stradale citata dal romano «Itinerario di Antonino» (81, 7), per la Sardegna centro-settentrionale, la quale probabilmente va identificata con quello che in seguito sarà il paese di Ploaghe (vedi). Infatti, una volta accertata la ubicazione dell'antica Tibula (vedi) a Castelsardo, come capo di partenza della strada, si deve escludere che Lugudone fosse il nome di quel centro abitato che i Romani chiamavano Castra, presso Oschiri (vedi) e che era decentrato rispetto a quella strada. I codici dell'«Itinerario» danno propriamente Lugudonec, in cui la /c/ finale andrà separata e interpretata come castrum.- Un popolo della Sardegna, chiamato Loukouidoné(n)sioi dal geografo greco-alessandrino Tolomeo (III 3, 6), era certamente quello che aveva come suo centro principale Lugudone. Il toponimo Lugudone per se stesso si ricollega al Portus Luguidonis o Liguidonis, che ancora l'«Itinerario di Antonino» (79, 6) cita per la Sardegna centro-orientale (vedi Budoni), ed entrambi i toponimi potrebbero forse collegarsi al nome della nota città della Gallia Lugudunum, Lugdunum (odierno Lione). Per questo collegamento si potrebbe pensare che Lugudone sia stata una fondazione di età romana, fatta da militari della III coorte di Aquitani, la cui presenza è accertata all’epoca di Augusto nell’accampamento romano di Castra: gli Aquitani, originari della Gallia sud-occidentale, avranno fondato Lugudone a ricordo e in omaggio alla grande città della Gallia. [Negli Stati Uniti esistono attualmente una dozzina di centri abitati chiamati Verona, fondati e denominati così dai numerosi Veneti emigrati dall’Italia].

Lumarzu (Bonorva, fonte nuragica): deriva da un originario s’ulumarzu, su lumarzu «olmeto o luogo di olmi». Vedi s’Ulumarzu (Aidomaggiore).

Lungoni (Badesi) – Suppergiù stessa spiegazione di Longone (vedi).

Luogosanto (gallur. Locusantu) (Comune di L., Gallura) - È del tutto chiaro e certo che il toponimo significa «Luogo Santo», per cui lo si sarebbe dovuto scrivere meglio in quest'ultimo modo.- La più antica attestazione del centro abitato risale all'anno 1358 come Villa Locus Sancto (GG 210). La sua consistenza demografica risulta essere stata ridottissima (tra i 30 e i 60 abitanti), tanto è vero che in epoca successiva il centro si estinse come tale (cfr. G. F. Fara, Chorographia Sardiniae, 226.11, degli anni 1580-1589) e riprese vita soltanto nell'Ottocento con l'afflusso di abitanti dagli stazzi vicini di Atzògana, Balaiana, Chivoni, Crisciuleddu, Monchessa, ecc. In precedenza gli abitanti di questi stazzi avevano come loro centro religioso il santuario di Nostra Signora di Locusantu e proprio da questo santuario è assai probabile che il nostro centro abitato abbia derivato la sua denominazione. 

Luras (pronunzia log., mentre in gallur. è Luris) (Comune di L., Gallura) - La massima parte delle antiche attestazioni privilegiano la forma Luras, ad es. gli elenchi delle parrocchie della diocesi di Civita (Olbia) che nella metà del sec. XIV versavano le decime alla curia romana (RDS 736, 1093, 2291). La variante Lauras documentata per il 1358 dal solo Compartiment de Sardenya costituisce quasi certamente una errata lettura delle fonti pisane utilizzate dal suo estensore, per cui non è lecito prenderla come base per una analisi etimologica del toponimo (cfr. D. Panedda, «Archivio Storico Sardo di Sassari», X, 334). Ciò premesso dico che è probabile che il toponimo Luras derivi dal lat. lura «otre, sacco» (DELL, REW), al plur. Questa denominazione non deve stupire per il fatto che trova un analogo riscontro in due villaggi italiani chiamati Sacco (Salerno e Sondrio) e in altri chiamati Saccolongo (Padova), Sacca Fisola (Venezia), Sacchetta (Mantova), Bisaccia (Avellino), Montenero di Bisaccia (Campobasso), Trebisacce (Cosenza). Per la spiegazione di Luras dunque si può pensare o ai «sacchi» propriamente detti, commerciati dagli abitanti, oppure alla forma di particolari fatti geologici, come colline o valli o - molto più probabilmente - rocce, nelle quali gli abitanti intravedevano altrettanti «otri» o «sacchi».- Il villaggio è citato da G. F. Fara, Chorographia Sardiniae, 224.33 (anni 1580-1589) come oppidum Luris.- L'aggettivo etnico di Luras è Lurisíncu, che fa capo alla citata forma gallur. Luris ed è caratterizzato dal suffisso còrso e ligure -incu, il quale si trova anche negli altri Bosincu, Nuchisincu, Ossincu, Padrincu, Sossincu, Thiesincu (abitante rispettivamente di Bosa, Nuchis, Ossi, Padria, Sorso, Thiesi) e che molto probabilmente deriva dal suff. lat. -in(i)cus.- Dal punto di vista della dialettologia sarda il villaggio di Luras costituisce un'isola dialettale logudorese in mezzo al dominio gallurese. Nelle sue stesse condizioni si trovavano fino a non molto tempo fa Bortigiadas ed Olbia.- In Sardegna corre la voce secondo cui gli abitanti di Luras sarebbero di etnia ebraica, per la quale però non esiste alcuna conferma da parte di nessun documento storico; questa voce invece trova il suo fondamento unico nel fatto che i Lurisinchi sono stati sempre dei commercianti e per effetto di questa loro attività sono stati per l'appunto intesi dagli altri Sardi come "Ebrei". Dappertutto i pastori e i contadini hanno guardato con poca simpatia i commercianti. La medesima nomea, per lo stesso identico ed errato motivo, hanno gli abitanti di Sennori, di Isili e di Gavoi (vedi). 

Luzana, sa, (Cargeghe/Ossi, Perfugas) «la terra argillosa»; lutzana (Bitti), luzana, lugiana, lozana, lurzana (centr., log.), loxana, luzâa (camp.), terra luzana «argilla, terra argillosa, terriccio alluvionale», deriva da un lat. *luteana, a sua volta dal lat. luteus-a «fangoso, argilloso-a» (M. Pittau, NVLS; suggerimento di Marco Pittau)

Macciona, la, (Loiri, Sant'Antonio G.).- Il toponimo è l'accrescitivo del gallur. máccia «macchia, cespuglio» (M. Maxia), che corrisponde a quello log. mata, matha, matta «macchia, cespuglio, pianta». Si tratta di un vocabolo preromano attestato anche nell'Africa settentrionale, in Iberia e in Italia (tosc. macchia «boscaglia») (SSt num. 15; DILS 623), il quale è di etimologia incerta (DELI²).- Per distinguere i due toponimi la Macciona, di recente quello di Sant'Antonio è stato specificato con l'aggiunta di San Linaldu «San Leonardo».

Madrúncula (Bonorva): «astragalo, osso del tallone degli agnelli» (adoperato come “dado” da gioco); vedi marróccula, moróscula, morróccula, murdóffula, murróccula «trottola» (suggerimento di Marco Pittau).

Maiorca (frazione di Budoni) - Molto probabilmente il toponimo non è altro che il cognome del proprietario dello stazzo o del terreno, cognome che corrisponde al nome della più grande delle Isole Baleari, adoperato come indicazione della lontana origine del suo titolare (DICS).

Malamorì (frazione di Budoni e toponimo di Olbia) - Il toponimo è il soprannome del proprietario dello stazzo o del terreno, il quale va distinto in Mal' a morì ed interpretato come «che stenta a morire», cioè «Pellaccia». Si tratta cioè di un soprannome attribuito a «chi, o a causa della sua robusta e sana costituzione, sopravviveva a malattie che avrebbero lasciati secchi e stecchiti gli altri; o, grazie alla sua buona stella, scampava ad attentati, oppure guariva da ferite che, per altri, sarebbero state mortali» (D. Panedda, NGAO 323).

Malsthinzana(s) (Nughedu S. N., Ozieri): deriva dal cognomen lat. Martinianus (RNG) col probabile significato di «terra/e di Martiniano» (Mauro Maxia).

Maltigusa (Pozzomaggiore), Mattesuja (Nughedu S. N.): è il fitonimo mathricúsia, mathicruja, mathigruda, mart(h)igusa,  ma(r)tzigusa, mathilqusa, maldigusa, mattesuja, mattisuja, mattigusa, mattidusa, massigússia «basilisco» (f.) (Magydaris pastinacea, M. tomentosa; Moris II 181) [suffisso egeo-anatolico -ús(s)a]; relitto prelatino da confrontare – non derivare - col greco magydarhis «ferula di Siria o del Parnaso» (forestiero; GEW, DELG, NPRA 151) e pertanto probabilmente «fitonimo mediterraneo”. La corrispondenza semantica tra i due fitonimi, sardo e greco, è perfetta, quella fonetica è abbastanza stretta, purché si presuppongano a carico di quello sardo la metatesi di alcuni fonemi e l'intrusione degli appellativo matriche «lievito», matha «cespuglio» e crudu «crudo». È da precisare che il fitonimo sardo indica anche la «ginestra senza spine» e la «lerca» (Cytisus monspessulanus, triflorus L.), con un accostamento semantico che è piuttosto difficile spiegare in maniera convincente (M.P., OPSE 104, LISPR).

Mamone, Mammone (Buddusò, Cargeghe, Lodè, Ollolai, Onanì, Teti) toponimo che probabilmente corrisponde all’appellativo maimone, maimoni, mammone «spauracchio, fantoccio di carnevale», «turbine di vento». In tutta la Sardegna interna fino a un ottantennio fa si celebrava uno speciale rito magico-religioso in onore di su Maimone per propiziare la pioggia; è pertanto molto verosimile che questo in origine fosse il dio sardiano o protosardo dell'acqua, in seguito declassato dai cristiani al ruolo di demonio. Vedi Maimone (Sedilo).

Mamottoni (Perfugas), Mummutzoni, lu, (Olbia-San Pantaleo) (NGAO), probabilmente «(lo) spaventapasseri»; mamuthone, mam(m)uttone, mamuccone, mamutzone, mam(m)uscone, mamussone/i, mu(l)muttone, mumutzone/i, malmu(n)tone, marmutone, mamuntomo «fantoccio spaventapasseri», «spauracchio dei bambini», «figura carnevalesca con maschera di Mamoiada»: di certo relitto sardiano o protosardo (suff.), probabilmente vocabolo fonosimbolico (OPSE 170, LISPR). Vedi Mamusi.

Mamuntanas (Nurra di Alghero) - Si tratta di un toponimo prediale, che quasi certamente deriva dal cognomen lat. Nomentanus (RNG), al femm. plur., denominazione di donne proprietarie di terreni. C'è da precisare che è accertata la presenza nella Sardegna antica di terreni posseduti da cittadini romani, i quali, pur continuando a vivere a Roma, li amministravano con liberti (UNS num. 11 pag. 163). Tra questi proprietari romani sono documentate anche delle donne, ad es. le Numisiae presso Cuglieri, le Pomponiae presso Arborea e Paulilatino, una Quarta h(onesta) f(emina) presso Sanluri, una Creschentina presso Orani e dunque probabilmente anche le Nomentanae presso Alghero (vedi Geremeas, Pompongias, Villasor).- Una località Mamuntana tra Nulvi, Osilo e il mare è citata dalla Chorographia Sardiniae (126.23) di G. F. Fara per l'anni 1580-1589; nel presente, per una errata interpretazione effetto di una paretimologia o etimologia popolare, viene chiamata Punta Tramontana.

Mamusi (Buddusò, Laconi, Loiri, Luras, Noragugume, Nùoro, Padru, CSPS 256) probabilmente corrisponde all’appellativo mamuthone, mam(m)uttone, mamuccone, mamutzone, mam(m)uscone, mamussone/i, mu(l)muttone, mumutzone/i, malmu(n)tone, marmutone «fantoccio spaventapasseri», «spauracchio dei bambini» (però non nella forma accrescitiva e peggiorativa). Vedi Mamottoni.

Mara (Comune di M., SS). L’abitante Maresu - Le più antiche attestazioni di questo toponimo si trovano nel Condaghe di Silki, nel Condaghe di Trullas e nel Condaghe di Salvenor come Magar (CSPS 92, 154, 272, 387; CSNT² 172, 173, 299; CSMS 241, 251, 300), forma la quale, con una vocale paragogica (GSN §§ 8-13), ha dato luogo prima a *Mágara e dopo a Mara. Come tale il toponimo probabilmente deriva dal vocabolo punico, conosciuto in epoca classica, magar «fattoria» (G. Paulis); e sarebbe questo un altro semitismo rintracciato in Sardegna (vedi Maracalagonis, Villamar).- Il villaggio è citato fra le parrocchie della diocesi di Bosa che nella metà del sec. XIV versavano le decime alla curia romana (RDS 814, 1284, 1285, 1785; però l'editore P. Sella nell'indice lo ha confuso con un altro della diocesi di Torres). Inoltre il nostro villaggio è citato nella Chorographia Sardiniae (188.17) di G. F. Fara (anni 1580-1589).- Nell'Ottocento il villaggio veniva chiamato Mara de Padria per essere distinto da Mara Arbarei (= Villamar) e da Maracalagonis (= Mara Calagonis) (vedi). 

Mara, Funtana ‘e Mara (Ossi) è l’appellativo pansardo mara «palude, acquitrino», «fogna, chiavica», relitto prelatino e protosardo, da confrontare col còrso mara «canaletto irrigatorio», con l'ital. dial. mara «torrente melmoso» (Cadore e Friuli), ecc. ("vocabolo di certo preromano" per il DES II 71). Vedi Maracalagonis, Marai.

Marai (Alghero), Marè (Decimomannu), Maròi (Tertenia) (ossitonia e suffissoidi): probabilmente è da connettere con l’appellativo mara «palude, acquitrino». Vedi Mara. 

Marcheddine (Alà, Bitti): deriva dal cognomen lat. Marcellinus (RNG) (al vocativo) di un veterano romano della vicina mansione di Caput Tyrsi (a Sant’Efis di Orune). Vedi Margheddíe (Dorgali), Marceddí (S. Giusta), Martzellinu (Bitti)

Marghine (Márghine) (prov. di Nùoro). L’abitante Marghinesu - In sardo l'appellativo masch. e femm. márghine significa «margine, linea di confine, termine» e deriva dal lat. margo,-inis (DILS). Ed infatti la catena del Marghine - che va dalla Planargia fino al Goceano (vedi) - si presenta come una linea di confine fra la Sardegna settentrionale o «Capo di Sopra» e quella meridionale o «Capo di Sotto».

Mariddái (Mara): toponimo sardiano o protosardo (suffisso e suffissoide), probabilmente diminutivo di mara «palude, acquitrino», relitto da confrontare – non derivare - col còrso mara «canaletto irrigatorio», con l'ital. dial. mara «torrente melmoso» (Cadore e Friuli), ecc. (M.P.). Vedi Meriddái, Miriddái (Lodè); Meriddè, Miriddè (Gavoi, Ollolai); Miriddái, Miriddè (Orgosolo).

Marrárgiu - Promontorio sulla costa nord-occidentale della Sardegna, fra Alghero e Bosa, chiamato dal geografo greco-alessandrino Tolomeo (III, 3, 2) Hermáion ákron, cioè «Capo di Ermes» (cfr. Molara) e citato nel Condaghe di Trullas (CSNT² 278) come Marrariu de Vosa. Questo oronimo corrisponde all'appellativo marráriu «pietraia» (Nùoro), marrárgiu, marrággiu, marrarzu «sito roccioso, scoglioso», (Sennori) marralzu «macigno», sass. marrággiu «grossa pietra, grosso frammento di roccia»; come toponimo compare a Bortigiadas, Bosa, Busachi, Cargeghe, Osilo, Sennariolo, Siniscola, Urzulei. Esso deriva da un lat. parlato *marra «ammasso di rocce» (REW 5369; DES II 78; SSt, MSStr 36; CS 59).- G. F. Fara, Chorographia Sardiniae (96.8), dice che il promontorio di Marrargiu è quello che si vede per primo dai naviganti che giungono dalla Spagna in Sardegna. 

Marritza (Sorso) probabilmente «zappetta», diminuitvo di marra «marra, zappa».

Marrúgiu, su, (Pozzomaggiore): «il marrobbio» (Marrubium vulgare L.), che deriva dal lat. marrubiu(m). Vedi Marrubiu (Comune di M., OR).

Martis (localmente Maltis) (Comune di M., SS). L’abitante Martesu, Maltesu - La derivazione di questo toponimo è del tutto chiara e sicura: deriva da una locuzione lat. Fanum Martis «Tempietto di Marte», nella quale è evidentemente da supporre la caduta del primo componente.- In questa prospettiva è del tutto verosimile che il tempietto fosse eretto nella collina che domina l'abitato, chiamata Monte Francu, come ha intravisto bene Giovanni Spano, il quale ha anche scritto che «tuttora si vedono i ruderi» (VSG). In questa collina, la cui sommità è caratterizzata da abbondante materiale archeologico, sino all'epoca del La Marmora esisteva un nuraghe, del quale però attualmente resta soltanto un cumulo di pietre e di terriccio nel punto più elevato dell'altura. C'è pertanto da supporre che l'intera collina avesse un carattere sacro già dal tempo dei Nuragici e, arrivati i Romani nella zona, vi abbiano costruito un loro tempietto dedicato a Marte, con quel procedimento di sincretismo religioso - molto frequente nel passato - che consisteva nell'inserimento della religiosità punica o romana su quella precedente protosarda.- Un toponimo Marte esiste anche presso Orune (vedi Caput Tyrsi).- Il nostro toponimo è citato molto per tempo e in maniera abbondante in tutti i documenti medievali, sia pure nella forma di antroponimo: de Martis, Demartis, che evidentemente significava «nativo od originario di Martis» (CSSO, DICS). Il villaggio inoltre compare fra quelli della diocesi di Ampurias che versavano le decime alla curia romana nella metà del sec. XIV (RDS 236, 831, 1245, 1699, 2022) e inoltre fra quelli che sottoscrissero la pace tra Eleonora d'Arborea e Giovanni d'Aragona del 1388 (CDS I 837). Ed è citato anche nella Chorographia Sardiniae (100.29; 128.26;176.7) di G. F. Fara (anni 1580-1589) come oppidum Martis

Mascari (Máscari, Máhhari; rivo) (CSPS 434, Mascar) (Ossi, Sassari), Riu Mascari (Asuni) idronimo sardiano o protosardo probabilmente = «(rivo) mascherato» o nascosto dalla vegetazione, da connettere con máscara «maschera», appellativo che J. Hubschmid ha giudicato “preromano” (Boletin de filología, XVIII, 1959, 37-55).

Masiènnera (Anela): toponimo sardiano o protosardo (suffisso) forse = «sito di recinti per bestiame», confrontare – non derivare - col lat. ma(n)sione(m) (DILS, NVLS). Vedi masone, majone, masoni, mesoni «recinto per le pecore», «branco di bestiame minuto».

Masòla (Cargeghe) forse diminutivo di masía «casa di campagna» (Bonorva, Semestene), che deriva dal catal.-spagn. masía (M.P., DICS).

Mattútturu, su, (Pozzomaggiore): «il giusquiamo bianco» (Hyosciamus Albus L.) (Planargia), deformazione di mathúthuru, masturtzu «nasturzio» per via della somiglianza dei rispettivi semi (NPS 319).

Matzones, sos, (Pozzomaggiore): «le volpi oppure i Maccioni» (cognome plur.); matzone «volpe», uno dei numerosi nomi tabuistici dell'animale, il quale letteralmente significa "che ha la coda a forma di mazza" e deriva da matza «mazza, clava» (DILS, DICS).

Meddaris (Chiaramonti) «pastori di piccole greggi» (plur.); corrisponde a gameddare «pastore di piccolo gregge», che deriva da gama «branco, piccolo gregge di bestiame minuto». Anche ad Aidomaggiore, Bono, Ghilarza, Pattada, Paulilatino. Vedi Ameddaris (Benetutti, Nule), Gameddares (Nùoro), Gremeddales (Lodè, Lula), Lameddaris (Lei, Silanus) (M.P., TSSO).

Meilogu (subregione della prov. di Sassari) - Nel Medioevo il Meilogu costituiva una curatoria la quale comprendeva i seguenti villaggi: Bannari, Bonnanaro, Borutta, Siligo, Torralba. Il toponimo deriva da una locuzione lat. medius locus «luogo mediano» (DES II 99), locuzione che indicava la centralità che la curatoria aveva nell'ambito del Giudicato di Torres o del Logudoro. Dato che per effetto dell’allargamento del suo ambito geografico il coronimo Logudoro (vedi) ormai era diventato troppo generico e quindi molto impreciso, si creò - a mio giudizio - un nuovo coronimo per indicare il suo nucleo originario, Meilogu appunto.- La più antica attestazione del coronimo si trova nel Condaghe di Silki (CSPS 271, 395) come Meiulocu, dopo si trova nell'atto di pace fra Eleonora d'Arborea e Giovanni d'Aragona del 1388 (CDS I 839/2, 850/2) ed è citato nel quattrocentesco Codice di Sorres (CSorr 155, 301-305) anche come Mezo Logu, Mezo Logo, Mezu Logu. E ancora è citato nella Chorographia Sardiniae (124.13; 174.6,15) di G. F. Fara (anni 1580-1589) come regio curatoriae Meiloci della diocesi di Sorres

Meraja, Merajedda, sa, (Ozieri): «l’acetosella»; meliagra, melarga, melagra, meriacra, meriag(r)a, meraja, meruágula, miliacra, miliagra, miliarga, miriagra «acetosella» (Rumex acetosa, acetosella L. e Oxalis acetosella L.), da mele «miele» + acru/agru-a «acido, agro-a», col significato effettivo dunque di «agro-dolce» (DILS, NVLS).

Meriagu, su, (Alghero): corrisponde all’appellativo pansardo meriacru, meriagu, meliagru, merialqu, miriagu, meraju «sito ombroso dove meriggiano le pecore», il quale deriva dal lat. meridiare incrociato con umbrache, umbragu, umbraju «riparo ombreggiato per il bestiame», oppure da un lat. *meridiaculu(m) (DILS, NVLS).

Mesana, sa, (Oschiri): probabilmente significa «la Mediana», cioè "la località intermedia" fra Oschiri e la zona della diga del Coghinas. Molto meno probabile è che il toponimo corrisponda all'appellativo log. mesana «mezzo rasiere sardo» (DILS, NVLS).

Mesumundu (Siligo) – Il toponimo è da distinguere in Mesu Mundu e significa «Mezzo Mondo». Di questa denominazione si possono dare due differenti spiegazioni etimologiche: 1ª) È analoga a quella del vicino Meilogu «Luogo mediano» (vedi), dato che anche Mesumundu si trova al "centro" del Giudicato del Logudoro; 2ª) Fa riferimento alla cupola dell'edificio, la quale è stata vista come un emisfero, cioè come un "mezzo mondo".- L'edificio, di fattura tardo-romana, in origine era un edificio termale, che sfruttava le vicine acque minerali, anche secondo una modalità sacrale rispetto a una divinità ivi venerata. Più tardi è stato adibito a chiesa cristiana dedicata a Nostra Segnora de Mesumundu, altrimenti detta Santa Maria in Bubalis (vedi).- Una chiesa dedicata a Santa Maria de Mesumundu esiste pure ad Anela. 

Minerba, Menerba - Villaggio ormai scomparso della curatoria di Nurcar e della diocesi di Bosa, a qualche chilometro a sud di Monteleone Rocca Doria. Di esso oggi restano probabilmente la chiesa parrocchiale dedicata a Santu Migali (San Michele) (VSG) e inoltre il ricordo nei toponimi Monte 'e Minerva di Monteleone Rocca Doria, e Punta 'e Minerva presso Bosa.- Il toponimo deriva certamente dal nome della grande dea etrusco-romana Minerva/Menarva e probabilmente trova riscontro nel nome di un demone e spauracchio femminile María Menacra (Nùoro) e nei toponimi sardiani o protosardi Manorváe (Posada) e Manorgái (Orosei) (LELN 194, OPSE 178, LISPR).- Il villaggio è citato nel Condaghe di Trullas (CSNT² 151, 152), nel Codice Diplomatico delle relazioni fra la Sardegna e la S. Sede (I 409), nelle Rationes Decimarum Italiae, Sardinia (296, 1287, 1777, 1933, 2673) per gli anni 1341, 1346-1350, 1357-1359, e inoltre nel Codex Diplomaticus Sardiniae (I 755/2, 834/1). È pure citato nella Chorographia Sardiniae (140.28; 188.25) di G. F. Fara (anni 1580-1589), ma come villaggio ormai scomparso (Day 110).

Mocu, lu, (frazione di Luogosanto) – Il toponimo probabilmente corrisponde all'appellativo còrso mócu «specie di cecio, legume più piccolo del pisello» (Falcucci 238), il quale deriva dal tosc. moco, a sua volta dal lat. medievale mochus (GDLI).

Modditonalza (frazione di Erula) – Il toponimo significa «lentischieto, sito di lentischi» (NLAC) e deriva da muddítza «lentischio», a sua volta dal lat. mollis,-e «soffice» per via del grande flessibilità dei rami della pianta (DILS).

Molara (Olbia) (NGAO) - Isola situata presso la costa nord-orientale della Sardegna, vicina a Tavolara e ad Olbia, chiamata dal geografo greco-alessandrino Tolomeo (III 3, 8) Hermáia nésos, cioé «isola di Ermes». Probabilmente deriva la sua denominazione dal fatto che è di forma tondeggiante e bassa, simile pertanto a una mola o macina sarda (CS 31). Il toponimo però è propriamente toscano, proprio come Asinara, Carbonara, Limbara e Tavolara (vedi).- L'isola è citata nella Chorographia Sardiniae (72.1) di G. F. Fara (anni 1580-1589), il quale ci informa che veniva chiamata anche Salzai.

Monte Rasu (Bultei; metri 1259 sul mare) - Questo oronimo significa «monte raso o rasato», (cioè "spoglio di vegetazione sulla cima”, a causa sia della sua natura rocciosa, sia della sua ampia esposizione ai venti). L'aggettivo rasu «raso, spoglio» deriva dal lat. rasus (DILS I 793). Un Monte Rasu esiste anche presso Tertenia (Ogliastra meridionale).

Monte údulu (Tula) «monte spezzato», da múdulu «mutilo, mozzato» con la trafila unu múdulu > un’údulu (M.P., NVLS).

Monteghe (Florinas): probabilmente = «montuoso, roccioso», toponimo sardiano o protosardo (suffisso –ek- (quello di Cargeghe, Nuréchi e Nuréci, Murrecci, Pedrecche; vedi); log., camp. muntone/i «mucchio, cumulo»; toponimi Montalè (Sassari), Montari (S. Basilio), Monterra (ant. nome del paese di S. Lussurgiu, denominato ancora così a Scano M.), Montessa (Bitti), Montessu (Santadi), Montiqinele (Oliena), Montixi (Gerrei, Giba, Pula, Sanluri, S. Nicolò d'Arcidano, S. Vito), Montorrò (Sedilo), Montresta (da *Montestra; Comune di M.), Montrigori (Bono), Muntanuddu (Isili), Muntorrói (Ovodda) (ossitonia, suffissi e suffisoidi): probabilmente relitto sardiano o protosardo da confrontare – non derivare - col lat. mons,-ntis, munt(e) (CIL V 1469) «monte, montagna» (indeur.; DELL, AEI, DELI) (alternanza ó/ú). Invece i sardi monte «sasso, roccione, monte», montángia «montagna», monticru, montrigu «monticello» possono derivare senz'altro dal latino. È pertanto probabile che il vocabolo esistesse già in Sardegna, nella lingua sardiana o prtosarda, prima che ve lo portassero i Romani (M.P., LISPR, NVLS).

Monteleone Rocca Doria (Comune di M., SS). L’abitante Monteleonesu. Esso è sulla cima di un colle calcareo, le cui pareti sono a picco per tre quarti del suo circuito e con l'ultima, quella meridionale, ripidissima.- La denominazione di questo minuscolo villaggio è tutta italiana, come conseguenza del fatto che, divenuto un possesso della potente famiglia genovese dei Doria, questi vi costruirono un castello e inoltre fortificarono tutto l’impervio e pittoresco colle. Il primo componente del toponimo, Monteleone cioè «Monte del Leone», implica un richiamo al “leone”, che era lo stemma della famiglia. Al comando di Nicolò Doria il borgo resistette per tre anni (1433-1436) agli Aragonesi di Alfonso V e ai loro alleati Algheresi, Bosani e Sassaresi, fino a che si dovette arrendere per fame e il castello fu smantellato e una parte degli abitanti si rifugiò nel vicino villaggio di Villanova Monteleone (vedi). Per la sua funzione di roccaforte dei Doria, è ovvio che risulti citato in numerosi documenti antichi: nel Codice Diplomatico delle relazioni fra la Sardegna e la S. Sede (I 409), nelle Rationes Decimarum Italiae, Sardinia (RDS 298, 1289, 1925, 1926, 2684) fra le parrocchie della diocesi di Bosa che nella metà del sec. XIV versavano le decime alla curia romana, parecchie volte nel Codex Diplomaticus Sardiniae, nel quattrocentesco Codice di Sorres ed infine nella Chorographia Sardiniae di G. F. Fara (anni 1580-1589). 

Monti (gallur. Mònti, logud. Mònte) (Comune di M., Gallura). L’abitante Montesu, Montinu - La derivazione di questo toponimo è del tutto chiara e sicura: corrisponde al gallur. mònti «monte, collina, sasso», che deriva dal lat. monte(m). Le prime sicure attestazioni di questo villaggio si trovano negli elenchi delle parrocchie della diocesi di Castro che nella metà del sec. XIV versavano le decime alla curia romana (RDS 205, 211, 877, 881, 1713, 2057, 2081, 2697, 2712). Ed è citato pure nella Chorographia Sardiniae (184.3) di G. F. Fara (anni 1580-1589) come oppidum Montis. 

Monti di Gésgia (frazione di Sassari): significa «monte della chiesa» e deriva dal lat. monte(em) e dal tardo lat. ecclesia(m) (DILS).

Monti Russu (frazione di Aglientu) – Il toponimo significa «monte rosso» e deriva dai gallur. mònti «monte» e russu «rosso, fulvo» (VTI), a loro volta dai lat. monte(m) e russu(m).

Montilittu (frazione di Loiri) – Il toponimo è da intendersi come Monti littu, significa «monte del bosco» e deriva dagli appellativi mònte «monte» e littu «bosco». Vedi Littigheddu.

Mores (Comune di M., SS). L’abitante Moresu, Morincu - La zona di Mores risulta essere stata notevolmente frequentata e colonizzata dai Romani; sia sufficiente osservare che ancora nel Medioevo esisteva un villaggio chiamato Oppia, capoluogo della omonima curatoria, il cui nome derivava evidentemente da quello della famosa gens Oppia. Un esponente di questa L. Oppius Salinator (191-89 a. C.) fu pretore in Sardegna (UNS 164). Inoltre nel territorio di Mores è stato rinvenuto molto materiale archeologico di matrice romana, fra cui tegole col bollo di Atte, la famosa liberta e concubina di Nerone (Pais, Rom. 339).- Ciò premesso dico che mi sembra molto probabile che il toponimo Mores derivi dal lat. Amores «Amorini», che erano compagni o figli di Venere, in onore dei quali i coloni romani avranno innalzato un tempietto o un'edicola. Il passaggio Amores > Mores implica l'aferesi della vocale iniziale perché confusa con la preposizione locativa a; proprio come è avvenuto coi toponimi italiani Rimini < Ariminum, Girgenti < Agrigentum. Ed è molto probabile che anche il toponimo attestato nell'agro di Olbia Amoras/Amores abbia la medesima origine (NGAO num. 78).- Il villaggio di Mores è citato nel Codice Diplomatico delle relazioni fra la Santa Sede e la Sardegna (CDSS I 411), risulta fra quelli della diocesi di Sorres che nella metà del sec. XIV versavano le decime alla curia romana (RDS 116, 1705, 2078, 2094, 2724, 2729) e inoltre tra i villaggi che sottoscrissero la pace fra Eleonora d'Arborea e Giovanni d'Aragona del 1388 (CDS I 839/2). Ancora è citato parecchie volte nel quattrocentesco Codice di Sorres (CSorr). Pure G. F. Fara cita il villaggio di Mores nella sua Chorographia Sardiniae (174.17) (anni 1580-1589).

Moriscuvò (stazzo di Budoni/Torpè) – Il toponimo probabilmrnte corrisponde alla locuzione esclamativa muriscu boe! «o bue moresco!» (ossia dal mantello bruno), una di quelle che venivano usate dai contadini per incitare i buoi che tiravano il carro oppure l'aratro (GSN § 32/II). Se questa locuzione è diventata un toponimo, sarà dipeso dal fatto che in precedenza sarà stata il soprannome del proprietario del terreno o dello stazzo.

Muddizza, la, (frazione di Valledoria) – Il toponimo corrisponde al nome di pianta o fitonimo mudditza, modditza «lentischio» (Pistacia lentiscus L.), che deriva dall’aggettivo modde «flessibile», a sua volta dal lat. mollis,-e (DILS). Il toponimo è al singolare, ma ha un valore collettivo.

Mudule (Alà): probabilmente deriva da un cognomen lat. *Mutulus (al vocativo), soprannome del proprietario del predio. Vedi múdulu/e-a «muto, mutolo-a» (M.P.).

Mulcione (Tula) corrisponde al pansardo mucrone, murcone, mulcone, mulcione, morcione, murcioni, mruccione/i, muncioni «tronco di legna da ardere, sterpo», accrescitivo di mucru (DILS, NVLS).

Multa Sábida, sa, (frazione di Olbia) Il toponimo significa «il mirto saporito» e corrisponde ai log. murta, multa «mirto» (pianta e bacca) e sábidu-a «saporito-a», che derivano rispettivamente dai lat. myrta, murta e sapidus-a (REW 7587; DILS). Cfr. Murta Maria.

Multeddu (frazione di Castelsardo) Il toponimo corrisponde all'appellativo log. multedu «mirteto», adeguato però alla fonetica del dialetto castellanese (cfr. Juncheddu, Predda Niedda, Segasidda). Deriva dal lat. myrtetu(m) (manca nel DES e va aggiunto nel REW).

Múlvula, Múlgula (Pattada): «mufloncina», diminutivo di mulva, mulga, mugra «femmina del muflone».

Muntiggioni (frazione di Badesi) – Il toponimo significa «grande collina», dato che corrisponde all'accrescitivo del gallur. muntíggju «monticello, poggetto» (VTI), il quale deriva dal lat. montic(u)lu(m).

Muristene (Pattada): munistere, muristere, muristeri «monastero» (mediev.); muristeres, muristenes/is «stanzette, logge e casupole costruite a ridosso e attorno alle chiese di campagna per accogliere durante la notte i fedeli in occasione delle feste religiose», letteralmente «monasteri»; da un lat. *monisterium influenzato dal bizantino monastéri (DILS, NVLS).

Muros (Comune di M., SS). L’abitante Muresu - La spiegazione etimologica del toponimo è del tutto evidente e sicura: corrisponde all'appellativo muru «muro» (al plur.) e deriva dal lat. murus (DILS), per cui letteralmente significa «muri». Invece la spiegazione storica del toponimo è probabilmente questa: il villaggio a un certo punto sarà stato abbandonato per una peste, oppure si sarà estinto per deficienza demografica, per cui nel suo sito saranno rimasti soltanto muri o ruderi. In seguito il villaggio sarà stato ripopolato conservando però il suo nome di Muros = «ruderi». Questo stesso fatto si ritrova in maniera più evidente e certa nella storia del villaggio di Ruinas, in provincia di Oristano (vedi). Se questa spiegazione è esatta, si tratta di ricercare quale fosse l'originario nome del villaggio di Muros: forse era Tattareddu = «piccolo Sassari» (vedi Sassari), nome di un antico villaggio di cui ancora nell'Ottocento venivano indicate le rovine e che aveva per titolare della sua chiesa san Leonardo (V. Angius).- La più antica attestazione del nostro villaggio si ha nel Condaghe di Salvenor (CSMS 186); risulta fra le parrocchie della diocesi di Ploaghe che nella metà del sec. XIV versavano le decime alla curia romana (RDS 333, 885, 1681, 2041) ed è citato nella Chorographia Sardiniae (124.30, 172.15) di G. F. Fara (anni 1580-1589) come Muros e come oppidum Muris.- Un centro abitato Muros esisteva nel passato anche presso Orosei e pure di questo si deve dare la medesima spiegazione etimologica.

Murrái (Buddusò, nodu; Escalaplano, Osini, Porto Torres); toponimo sardiano o protosardo (suffissoide) da connettere con murru «muso, grugno» e «punta rocciosa di montagna»; sos murros, is murrus «le labbra» e da confrontare – non derivare - col lat. murru «muso, grugno» (REW 5762; DES II 140). Gli appellativi murrichile «travaglio, mordacchia», murrighile «muso, grugno» e soprattutto i seguenti toponimi fanno intendere che il vocabolo esistesse già in Sardegna, nella lingua sardiana, prima che ve lo portassero i Romani: Murranca (Masullas, Monti), Murrecci (Giba), Murreli (Fonni), Murreli(s) (Bolotana, Fonni, Orani), Murrighili (Arzachena), Murrone (Codrongianus, Martis), Murruele (Austis, Meana), Murrueli (Onanì), Murrútzulu (Sassari), Nurru (Abbasanta, Orosei) (ossitonia e suffissi) (M.P., LISPR, NVLS).

Murta Maria (anche Multa María) (frazione di Olbia) - È probabile che il toponimo non sia altro che il nome e cognome della proprietaria del predio oppure dello stazzo. Risulta accertato che anche nel campo linguistico si hanno non pochi relitti di un certo “matriarcato” attestato nella Sardegna agro-pastorale: sino a un ottantennio fa perfino a Nùoro spesso gli individui venivano chiamati col nome o cognome della madre e non con quello del padre (vedi S. Satta, Il giorno del giudizio). La nostra frazione si sarebbe dovuta chiamare Maria Murta, ma la inversione del prenome rispetto al cognome è abbastanza frequente a livello popolare. Il cognome Murta corrisponde al fitonimo o nome di pianta murta, multa «mirto» (pianta e bacca), il quale deriva dal lat. myrta, murta (DILS). Vedi Multa Sábida.

Naraodda (Castelsardo, nuraghe) probabilmente corrisponde al log. mugoradda, muragadda, muradda «pietraia, mucchio di pietre, casa diruta», «mucchio di pietrame accatastato per spietrare il terreno», «muriccia, muro di contenimento», «rudere di muratura» (gallur.) (suff. –dd-): relitto sardiano o protosardo, da connettere con nuraghe, muraghe. Vedi Araodda.

Nassaxos (Nughedu S. N.): «pescaie»; nassáriu, nassarzu, nassárgiu, nasságliu, nassalzu, nessarzu, nessárgiu, nessraxu, messalzu «luogo di un rivo fatto a bacino, dove si piazzano le nasse per pescare», «pescaia»,  che deriva da nassa (DILS, NVLS). 

Nénnori, Nénnuri (Pattada): corrisponde a nénneri, nénniri,-e(s) «germoglio», «vaso di piantine di grano fatte germogliare per la celebrazione delle feste di san Giovanni e della Pasqua» [simile a quelli usati ad Atene per la festa di Ermes Aethonio (cfr. A. La Marmora, Voyage, I pg. 265) e alla maniera degli antichi "Giardini di Adone"] (siccome le piantine sono fatte germogliare al buio, sono bianche o giallastre e pure molto tenere per la mancata funzione clorofilliana); formazione fonosimbolica od espressiva, da confrontare – non derivare - con l'ital. ninnolo (M.P., DILS, NVLS).

Neulavè (Buddusò): toponimo sardiano o protosardo (ossitonia), uguale al fitonimo neulache, neulahe, neulaqe, neulaghe, neulagi, neulaxi, leonaxi, lionagi, launaxi, l(e)onarxu, solionaxu «oleandro» (Nerium Oleander L.): relitto sardiano da confrontare – non derivare - col lat. lebrace, librace, biblace «oleandro» (CGL; di origine ignota). Vedi Neulái (Triei), Neulè (Dorgali), Neulahòro (Baunei, Urzulei), Neulagòro (Talana), (M.P., UNS 49, NPC s. v. Neulacoro, LISPR, NVLS).

Nibbareddu, Nibbereddu (Badesi, Pattada), Nibereddu (Buddusò) = «piccoli ginepri» (sing. collettivo); ghiníperu, chiníberu, cinnéberu, thinnéberu, tzinnébiri, sinnéburu, sinébiri, thrubénneru, giníporo, ghinnípere, thiníperu, tinnípheru, tzinníberu, tzinníbiri, sinníbiri, níperu, níb(b)eru, níbbari, níb(b)aru, níb(b)anu «ginepro»: relitto probabilmente presardiano, da confrontare – non derivare - col lat. iuniperus, di origine incerta (NPRA 134) e quindi quasi certamente “fitonimo mediterraneo”. Però qualche variante del fitonimo sardo potrebbe derivare da quello lat. (M.P., LISPR).

Niberalzu, su, (Buddusò): «il ginepreto», che deriva da ghiníperu, níberu «ginepro». 

Noittera (Pozzomaggiore): «recinto per i giovenchi», da noittu, noitzu «giovenco», a sua volta dal lat. novicius-a (DILS, NVLS).

Nuchis [gallur., Nughes log.) (Comune di N., Gallura) - La derivazione di questo toponimo è del tutto certa e chiara in virtù della sua forma log.: corrisponde all'appellativo nughe «noce» (al plur.), che deriva dal lat. nuce(m) (DILS). Il villaggio dunque ha preso nome dall'esistenza, in origine, di alberi di noci nel sito in cui è sorto; proprio come è avvenuto per Nughedu, Nuoro e Nuxis (vedi).- L'etnico di Nuchis è Nuchisincu, il quale trova riscontro negli altri Bosincu, Lurisincu, Morincu, Ossincu, Padrincu, Sossincu, Thiesincu (abitante rispettivamente di Bosa, Luras, Mores, Ossi, Padria, Sorso, Thiesi), tutti caratterizzati da un suffisso che in Sardegna è arrivato dalla Corsica o dalla Liguria e che molto probabilmente è derivato dal suff. lat. -in(ĭ)cus.- La più antica attestazione del villaggio risale al Medioevo sotto forma di Nuges (evidentemente da pronunziarsi Nughes) (GG 271). In seguito, per gli anni 1580-1589, è citato dalla Chorographia Sardiniae (130.2,8; 224.33) di G. F. Fara come oppidum Nuguis della curatoria di Geminis e della diocesi di Civita (Olbia). 

Nughedu San Nicolò (Comune di N., SS). L’abitante Nughedesu - Questo toponimo è chiaramente ibrido, ossia mezzo sardo e mezzo italiano. L'etimologia del primo elemento è del tutto sicura: deriva dal lat. nucetu(m) «noceto, luogo di noci» (REW 5981). Dunque il villaggio ha derivato la sua denominazione dalla particolare abbondanza, in origine, di alberi di noce nel sito in cui è sorto; proprio come è avvenuto per Nuchis, Nuoro, Nughedu Santa Vittoria e Nuxis (vedi). La specificazione di Nughedu San Nicolò – derivata da quello che era il santo patrono del villaggio - si è resa necessaria per distinguerlo da Nughedu Santa Vittoria, nella provincia di Oristano (vedi).- La più antica attestazione di questo villaggio si trova nel Condaghe di Silki (CSPS 411, 438) come Nuketu. Il villaggio risulta citato una sola volta negli elenchi delle parrocchie della diocesi di Bisarcio che nella metà del sec. XIV versavano le decime alla curia romana (RDS 1726) e inoltre compare fra i villaggi che sottoscrissero la pace tra Eleonora d'Arborea e Giovanni d'Aragona del 1388 (CDS I 831/1). Ed è citato anche nella Chorographia Sardiniae (184.32) di G. F. Fara (anni 1580-1589) come oppidum Nuceti

Nule (Comune di N., SS). L’abitante Nulesu - Il toponimo, che trova riscontro negli altri Filu ‘e Nule di Torpè e Mont’ ‘e Nule di Orani, è quasi certamente sardiano o protosardo, dato che si connette con questi altri toponimi Nulái (Lanusei, Urzulei, Ussassai), Nulasso (Ilbono), Nulatzo (Aritzo), Nulè (Ardauli, Sorradile), Nuléi (Baunei), Nuletta (Seui), Nulo (Tiana), Nulú (Ussassai), Nuluttu (Esterzili, Ulassai) (ossitonia, suffissi e suffissoidi). Ciò premesso, dico che è possibile che i citati toponimi siano da confrontare – non derivare – col nome di pianta lat. inŭla «inula» [di origine incerta (NPRA 132) e pertanto probabilmente “fitonimo mediterraneo”] e facciano riferimento alle numerose varietà di «inula» esistenti in Sardegna, di cui l’Inula helenium L. veniva usata come pianta medicinale (NPS 87-89). È appena il caso di ricordare che in tutte le lingue le vocali iniziali di vocaboli (come appunto inula) sono con frequenza soggette a cadere.- Nule è già documentato nel Condaghe di Bosove (CSLB 10v 5) e nel Condaghe di Trullas (CSNT² 107, 193). Apparteneva alla diocesi di Castro e come tale è citato fra i villaggi che versavano le decime alla curia romana negli anni 1346-1350 (RDS 2059). Compare inoltre tra i villaggi che sottoscrissero la pace fra Eleonora d'Arborea e Giovanni d'Aragona del 1388 (CDS I 831/2) ed è citato nella Chorographia Sardiniae (184.2) di G. F. Fara (anni 1580-1589) come oppidum Nulae.- Il villaggio ed il toponimo Nule non è da confondersi con l'altro Nugula, che è citato nei documenti medievali e che si trovava nella Sardegna nord-occidentale: il Condaghe di Bosove (CSLB 6v 6, 21; 10v 5) li tiene chiaramente distinti: Nugula e Nule

Nulvi (localmente Núivvi) (Comune di N., SS). L’abitante Nulvesu - Le più antiche attestazioni del toponimo sono: Nugulbi, Nugulvi nel Condaghe di Silki (CSPS 375) e nel Codex Diplomaticus Sardiniae (CDS I 204 anno 1123, 222 anno 1159, ecc.). Ma nel Condaghe di Trullas (CSNT² 233) si trova la locuzione in Ugulve, che molto probabilmente si deve interpretare come riferita al nostro villaggio, anche per la sua vicinanza ad Urieçe, che indicava il villaggio distrutto di Urgeghe (M. Maxia). Ciò premesso, con la massima prudenza dico che è possibile che il nostro toponimo derivi dal gentilizio lat. Ogulnius (RNG) di un proprietario romano di una tenuta o fattoria (al vocativo). La protesi della N- sarà derivata dalla locuzione locativa in Ugulvi, in Nugulvi, mentre la caduta della sillaba mediana che ha portato da Nugulvi a Nulvi è documentata già nella metà del Trecento ed è conseguente al fatto che la velare intervocalica -g- è, secondo la fonologia di tutto il sardo, fricativa (cfr. Núgoro > Núoro). Infatti negli elenchi dei villaggi sardi che in quel periodo versavano le decime alla curia romana il villaggio compare già appunto nella forma di Nulvi (RDS 234, 844, 1729, 2090).- Il nostro villaggio poi risulta tra quelli che sottoscrissero la pace fra Eleonora d'Arborea e Giovanni d'Aragona del 1388 (CDS I 837/1) ed è pure citato nella Chorographia Sardiniae (126.18,21,27; 128.26,31; 176.7) di G. F. Fara, (anni 1580-1589).- In epoca romana nei pressi di Nulvi molto probabilmente si trovava la mansione chiamata Gemellas, citata dall'«Itinerario di Antonino» (81.6), sul tracciato di strada che andava da Tibulae (Castelsardo; vedi) a Caralis, toccando Iafa (Giave) e Molaria (Mulargia) (vedi Ploaghe). Tale mansione in effetti sarà stata propriamente un accampamento militare - come dice la presumibile denominazione completa Gemellas cohortes - situato in una zona molto adatta per il controllo dei turbolenti Balari di Perfugas (vedi). 

Nurabbas (Bonorva): da leggere e intendere Nur’abbas «nuraghe delle acque» (è costruito su una sorgente di acque calde o termali; infatti viene chiamato anche Nuragh’ ‘e abba calda). Cfr. Nurapè.

Nuradolzu (Anela, Olbia, Macomer) (NGAO), Nuradorzu (Aidomaggiore): potrebbe corrispondere a: 1) Nueradorzu (Bolotana, Illorai, Pattada, Tiana) «poggio dove si addensano le nubi» (nues); 2)*muradorzu «sito di ammucchiamento di pietre» (vedi Muradorzu, Bortigali).

Nuragh’ ‘e auras (Bonorva, Cuglieri): «nuraghe dei vaticini»; [aúra, ura «augurio, vaticinio, fortuna, sorte, ventura» deriva da un verbo *aurare, a sua volta dal lat. a(u)gurare e quindi con una denominazione che induce a pensare al rito dell’oracolo esercitato in molti nuraghi (M.P., SN² §§ 45-47)]. Vedi Nuragh’ ‘e uras (Aidomaggiore), Mura ‘e uras (Macomer).

Nurapè (Bonorva): probabilmente da leggere e intendere nura in pè «nuraghe in piedi», cioè “non diruto”; [nura, mura «catasta o mucchio di pietre, nuraghe»]. Vedi Nurampèi (Ruinas) (corrige TSSO). Cfr. Nurabbas.

Nurcar (prov. di Sassari) - Antica curatoria situata a sud di Alghero, confinante con quelle di Nulabros, Campulongu, Meilogu, Cabu Abbas e con la Planargia, citata nel Condaghe di Silki (CSPS 191, 243, Indice Topografico) e nel Condaghe di Trullas (CSNT² 46.7, 278 e 278.1). Ha conservato il suo nome in quello dell'odierno monte Nurcaru, presso Alghero (VSG).- Molto probabilmente il toponimo è da riportare a una forma *Núracar (con l'accento sulla prima vocale e dopo con la sincope della seconda; cfr. Nurechi), la quale avrà avuto il significato di «nuraghi» (al plur.; UNS num. 3; LCS II cap. III). È da confrontare con Nurachara «villaggio distrutto nella diocesi di Dolia presso Trexenta» (VSG).

Nurechi, Nureki - Villaggio della Nurra, ormai scomparso, che è citato parecchie volte nel Condaghe di Silki (CSPS), nel Codex Diplomaticus Sardiniae (CDS I 200/1, 201/2, 240/2, 308/2), una volta nel Condaghe di Trullas (CNST² 8.1) e nel Condaghe di Salvenor (CSMS 303). Il toponimo corrisponde al nome del monumento tipico della civiltà nuragica: il nuráche (variante centr.) (suffisso di Cargeghe, Monteghe, Murrecci, Nureci, Pedrecche). Però dobbiamo supporre che la pronunzia del toponimo fosse sdrucciola, cioè *Núreki, in maniera da poter spiegare sia la diversità della seconda vocale rispetto a quella dell'appellativo, sia la caduta di questa stessa vocale atona per sincope, per effetto di cui il toponimo ha finito col trasformarsi in Nurki (CSPS 194: CREST XXIV 5, 14) (Day 117) e nel corrispondente cognome Nurchi (CSSO, DICS) (cfr. il toponimo Núrahi di Dorgali). Vedi Nurcar, Nureci, Nurige.  

Nuridolzu (Ozieri): probabilmente da leggere e intendere Nueradolzu «poggio dove si addensano le nubi» (nues). Vedi  Nueradorzu (Bolotana, Illorai, Pattada, Tiana).

Nurige - Antico villaggio della diocesi di Sorres, di cui rimangono i resti nel territorio del villaggio di Cheremule (VSG), presso l'omonimo rivo Núrighe. Certamente il vocabolo era sdrucciolo: *Núrighe (cfr. Nurcar, Nurechi, Nureci) e anch’esso fa riferimento al monumento tipico della civiltà nuragica, il nuraghe. Un toponimo Núrighe esiste anche presso Ittireddu.- Il villaggio è citato fra le parrocchie della diocesi di Sorres che nella metà del sec. XIV versavano le decime alla curia romana (RDS 256). Ed è pure citato dalla Chorographia Sardiniae (174.30) di G. F. Fara (anni 1580-1589) ma come villaggio ormai distrutto. 

Nurra (subregione della prov. di Sassari). È molto probabile che il coronimo Nurra corrisponda all’appellativo sardiano o protosardo nurra «catasta o mucchio di pietre o di legna» (centr. e barb.) (DILS, NVLS) e più precisamente abbia derivato la sua denominazione dal Monte Nurra (= Mont’ ’e Nurra), che si staglia isolato al centro della pianura circostante, sembrando appunto un “mucchio” o “cumulo”.- In epoca classica la Nurra fu di certo occupata e coltivata dai componenti della colonia che i Romani avevano dedotto a Turris Libisonis (vedi). E infatti l’«Itinerario di Antonino» (83, 6) cita nella zona una mansione o stazione Nurae, che probabilmente va letto Nurrae (in caso locativo).- L'antico toponimo (proto)sardo trova riscontro nel nome Nura con cui lo stesso «Itinerario di Antonino» (85.2, 3) chiama per due volte la grande città di Nora (vedi). Inoltre sempre l’«Itinerario di Antonino» (512, 1) chiama Nura anche l'isola di Minorca; ed è appena il caso di accennare al fatto che la Sardegna nuragica ha avuto stretti rapporti culturali con le Baleari.- Infine è molto probabile che i Nurritani, ricordati in epoca classica come componenti una cohors militare romana operante nella Mauritania Cesariense, fossero originari della Nurra oppure di Nora (UNS 27-28).- In epoca medievale la Nurra costituiva una curatoria, la quale confinava con le altre di Flumenaria, Ulumetu, Nulabros e col mare (CSPS passim e Indice Topografico, CSNT, CSMS, CDS).

Oddorá(i) (Bonorva, Bottidda): toponimo sardiano o protosardo (ossitonia o suffissoide), probabilmente da riportare a bòddoro, bòddero «galla della quercia», «coccola del ginepro», «cacherello delle capre e delle pecore», «caccola, pillacchera», il quale è da confrontare - non derivare - coi tosc. bòbbola, bòllora «coccola del cipresso» e «galla della quercia», siciliano bóddaru «chicco» (OPSE, NVLS). Vedi (G)Oddorái (Fonni).

Olbia (Comune di O., Gallura). L’abitante Olbiese, Olbiense - Secondo una tradizione riferita da tre autori greci (Diodoro, IV 29; V 15, 6; Strabone, V 2, 7; Pausania, X 17, 5), Olbia (greco Olbía) sarebbe stata fondata dai Greci. Non esiste alcun motivo per non credere a questa tradizione, anche per il fatto che Olbía della Sardegna trova riscontro in altre Olbía fondate sempre dai Greci, una nella Scizia, vicino a Odessa, e l'altra fondata dai Marsigliesi nella costa meridionale della Gallia (Strabone, IV 180) (attuale Almanarre). Non solo, ma lo stesso nome di queste città chiamate Olbía si inquadra esattamente nella lingua greca, in cui l'aggettivo ólbios significa «felice, fortunato, prospero». E questo riferimento si adatta alla perfezione con la posizione veramente "felice" di Olbia della Sardegna, dato che è posta in un'ampia baia, molto ben difesa dai venti, adatta alla navigazione, alla pesca e alla estrazione del sale e inoltre con un discreto retroterra agricolo.- Siccome Olbía della Gallia risulta essere stata fondata dalla grande colonia greca di Marsiglia, io ritengo che, fra le varie stirpi greche, siano stati propri i Marsigliesi a fondare Olbía della Sardegna. Questi infatti, nei loro traffici marittimi che li legavano alla madrepatria Focea, sulla costa egea dell'Asia Minore, e alla Grecia in generale, dovevano provare un grande interesse ad avere in Olbia della Sardegna un punto di appoggio, sia in vista del passaggio, nel momento più opportuno, del burrascoso stretto di Bonifacio, sia per una navigazione che seguisse la costa orientale della Sardegna, nel medesimo modo e per il medesimo motivo per cui i loro compatrioti Focesi avevano fondato la loro colonia di Alalia (o Aleria) sulla costa orientale della Corsica. Non solo, ma i Marsigliesi dovevano provare interesse ad avere un punto di appoggio nel sito della odierna Olbia anche come «mercato» per lo scambio delle merci con i Sardi.- Siccome Olbia della Gallia era stata fondata dai Marsigliesi attorno al 575 a. C. ed Alalia attorno al 565, si può legittimamente supporre che Olbia della Sardegna sia stata da loro fondata nel decennio 560-550 a. C.- Però lo stanziamento dei Greci ad Olbia durò soltanto due secoli circa, per il fatto che di certo fu spazzato via dalla seconda spedizione di conquista fatta nell'Isola dai Cartaginesi, subito dopo il 348/347, data del famoso I trattato fra Cartagine e Roma, che assegnava la Sardegna come zona di espansione alla grande città punica. Però il nome greco della città si conservò anche durante la dominazione cartaginese sulla Sardegna e si conservò pure dopo che l'Isola, finita la II guerra punica, passò sotto il dominio di Roma (202 a. C.).- Le notizie storiche che parlano di Olbia in epoca romana sono numerose, soprattutto per la ragione che il principale porto che anche allora collegava la Sardegna alla penisola era proprio quello di Olbia.- Il toponimo greco quasi certamente si era adattato alla fonetica della lingua sardiana o protosarda, dando luogo ad Ulbia (forma realmente documentata) ed *Ulpia. Da quest'ultima forma sono probabilmente derivati gli antroponimi latini Ulpius ed Ulpianus. In linea di fatto in iscrizioni romane rinvenute in Sardegna risultano documentati i seguenti personaggi: Ulpia Matrona; C. Ulpius Severus; M. Ulpius M. f. Theopompus; M. Ulpius Victor (ILSard 77, 221, 279; ANRW B 177).- Nel suo trattato sopra l'agricoltura Varrone (De re rustica, I 16, 2) scrive che «Molti terreni fertili non conviene coltivarli a causa delle depredazioni dei vicini, come alcuni in Sardegna che sono presso Oeliem». Questo toponimo è giudicato corrotto da molti studiosi e io ritengo che possa essere emendato in Olbiam e che per razziatori "vicini" debbano essere intesi i Còrsi della Gallura, i Balari dell'Anglona e gli Iliesi dell'altipiano di Buddusò e della Barbagia (UNS 125-126).- Io dunque ritengo del tutto degna di fede la antica tradizione scritta che presenta Olbia come fondata dai Greci. D'altra parte sono del parere che non si possa dubitare per nulla del fatto che il sito di Olbia fosse stato occupato in epoca molto più antica già dai Sardiani o Protosardi. Lo dimostra all'evidenza innanzi tutto il fatto che il territorio olbiese è molto ricco di monumenti e resti nuragici - ad es. il pozzo sacro che si trova tuttora entro la cerchia urbana, nel cortile del cosiddetto "Portico", il pozzo sacro di sa Testa e inoltre il santuario fortificato di Cabu Abbas -, in secondo luogo la circostanza che ai Protosardi non poteva sfuggire l'enorme importanza della baia di Olbia come insenatura difesa dai venti e quindi adattissima alla navigazione, alla pesca e alla estrazione del sale. E io ritengo di aver dimostrato come fatto molto probabile che Olbia - o, meglio, il centro protosardo che l'ha preceduta - fosse addirittura la capitale dei Feaci di cui parla a lungo l'Odissea, cioè la città di Alcino e di Nausica, dove - con un racconto fondamentalmente poetico e anche mitico, ma non per questo del tutto privo di notazioni reali - sarebbe arrivato come naufrago Ulisse e dove avrebbe raccontato le sue peripezie sul mare e da cui finalmente sarebbe salpato per raggiungere la tanto sospirata Itaca (vedi M. Pittau, Ulisse e Nausica in Sardegna, Nùoro 1994).- D'altra parte si può pensare che la fondazione fatta dai Greci e da loro chiamata Olbía non fosse esattamente nel sito della città odierna, ma fosse un poco distante, in qualche altro punto dell'ampia baia; nella lunga riva di questa baia infatti esistevano numerosi altri punti che godevano - suppergiù - degli accennati grandi vantaggi per eventuali nuovi coloni. Oppure si può anche ipotizzare che la città protosarda fosse nel sito poco distante, a sud-ovest, ora chiamato Pasana, toponomo in virtù del quale si può ragionevolmente supporre che il nome originario della città protosarda fosse Phausiana o Phausiánē (vedi Pausania).- Durante il Medioevo e l'età moderna Olbia conobbe numerosi periodi di decadimento e anche di scomparsa pressoché totale come effetto di tre cause concomitanti: le continue e feroci incursioni dei pirati saraceni, il prevalere della infezione malarica nell'intera zona e l'interramento più o meno totale dell'imboccatura della baia conseguente al deposito di detriti del fiume Padrogiano (vedi). In questo modo e per questi motivi si spiega come Olbia abbia perso la sua denominazione originaria e abbia acquisito prima quella oscura di Phausiana, dopo quella di Civita, quella di Terra Nova, quella di Terranova Pausania (vedi), fino a recuperare nel 1939 il suo nome classico di Olbia. In questo stesso modo e per questi stessi motivi si spiega come Olbia abbia a un certo punto cessato di essere il capoluogo della diocesi a vantaggio di Tempio.

Olivá, Olevá, Olefá (Olbia-Berchiddeddu) (NGAO) toponimo (pre)sardiano (ossitonia) da confrontare – non derivare – col lat. oliva e col greco eláiFa «olivo/a), fitonimo “mediterraneo”. Questo fitonimo dunque esisteva anche nella lingua sardiana prima che lo portassero in Sardegna i Romani. Cfr. i toponimi (pre)sardiani Olevani, Ollovè, Olobò (Urzulei), Ollovái (Baunei), Oligái (Sedilo), Olová (Benetutti, Olbia), Olovesco (Galtellì), Olovi (Torpè), Olovoli (Orgosolo), Olovossái (Baunei), Olovotho (Nule), Olieddè (Oniferi), Oliotha (Bitti), Ulíana (= Oliena, Comune di O.), ecc. (ossitonia, suffissi e suffissoidi). Vedi Olová

Olmedo (localmente s'Ulumédu, su Lumédu) (Comune di O., SS). L’abitante Ulumedesu - Le numerose attestazioni di questo toponimo nel Condaghe di Silki come Ulumetu ci danno la sua sicura etimologia: deriva dal lat. ulmetum «olmeto, olmaia, luogo di olmi» (REW 9035; DILS) (cfr. s'Ulumarzu).- La odierna forma ufficiale del toponimo sardo non è altro che la traduzione nel corrispondente appellativo catalano-spagnolo olmedo.- Il villaggio risulta fra le parrocchie della diocesi di Torres che nella metà del sec. XIV versavano le decime alla curia romana (RDS 88, 1676, 2245) ed è citato nella Chorographia Sardiniae (142.12, 170.35) di G. F. Fara (anni 1580-1589) come oppidum Olmeti della curatoria di Coros. Attorno alla metà del sec. XVI fu distrutto dai soliti pirati saraceni. 

Olódromu (Olbia) (NGAO) toponimo di origine bizantina, che molto probabilmente significa «passaggio incolume» tra la terraferma e un’isoletta adesso unita a questa. Deriva dal greco hólos «intero, intatto, incolume» e drómos «corsa, corso, viale, passaggio».

Oloitti, Oruitti (Erula): toponimo sardiano o protosardo probabilmente da confrontare – non derivare – col lat. olea, oleum «olivo, oliva, olio» (di matrice “mediterranea”) e precisamente col lat. olivetum «oliveto». Vedi Luithe, Luitte, Loithe (Bitti), Luitti (Oliena), Luiti (Loculi), Luittu (Siniscola), Luisè (Ollolai) (M.P.). Cfr. Olivá.

Olólviga (Buddusò; accento esatto?): toponimo che significa «zucche» (sing. collettivo) e corrisponde all’appellativo pansardo curcuvica, corcovica, corcoricra, croccoricca, curcuric(r)a, corcoriga, croccoriga, corcorígia, corcorija, cruccuriga, quvricca «zucca», «bernoccolo», «zucca trasformata in borraccia», (fig.) «bocciatura in amore o a scuola»; deriva dal lat. cucurbit(u)la(m) (GSN § 60). 

Olomène (Ozieri/Pattada) vedi Ulumène.

Olostris, su, (Buddusò): «l’agrifoglio». Vedi Bolóstiu (Alà).

Olová (Olbia) (NGAO) toponimo (non sito) uguale all’altro Olivá (vedi). 

Oltòvolo (Bonorva): toponimo sardiano o protosardo (vocali iterate), da confrontare – non derivare – con l’aggettivo lat. ortivus «oriente, levante, nascente». Pertanto è probabile che Oltòvolo significhi «(sito) posto oppure volto ad oriente». Vedi Ortiái (Lula), Ortivái (Bottidda, Orotelli, Bono), Gurthivái (Orune); cfr. Ortobene (Nùoro).

Onorcolos (sos Onòrcolos; scrittura errata Sos Sonorcolos) (frazione di Alà) - Probabilmente questo toponimo significa «i bernoccoli», derivando dal corrispondente vocabolo toscano e farebbe riferimento ai grandi massi di granito di forma rotondeggiante che caratterizzano la zona.

Oppia Nuova (frazione di Mores) – Il toponimo corrisponde al nome del villaggio medievale Oppia, ormai scomparso (CSNT 211) (Terrosu Asole 47). Esso ci dà una prova certa della presenza, in epoca classica, della potente e famosa gens Oppia, ovviamente con liberti, coloni e schiavi, in quella ricca zona agricola dell’Isola. Un L. Oppius Salinator è stato pretore della Sardegna negli 191-189 a. C. (MRR 1, 353, 357, 363; Rowland 858). Vedi pure Oppius, Oppianus (RNG). Cfr. cognome odierno Oppia (CSSO, DICS). 

Òpporo (Muros): toponimo sardiano o protosardo, probabilmente al plur., da riportare al fitonimo oppu (Tertenia), erba o folla 'i oppus (camp.) «giusquiamo» (Hyosciamus albus et niger L., pianta soporifera) (in Valtellina oppio dei forti) da collegare coi toponimi Opo (CSMB 67), Opposí (Austis), Qosta oppiana (Orgosolo), mediev. Opo (CSMB 67), cognome Oppo (CSSO, DICS) e da confrontare – non derivare - col greco opós «succo, anche d'oppio» (M.P., TSSO).

Oridda (Sennori, Domusnovas/Villacidro) è un toponimo sardiano o protosardo (suffisso) e potrebbe significare «piccola contrada», potendo essere il diminutivo di oru «orlo, lembo, limite, margine, paraggio, luogo vicino, sito, posto» (DILS, NVLS).

Orolá, Orulò (Pattada): toponimi sardiani (ossitonia), da riportare ad órulu «orlo, ciglione, margine», che deriva dal lat. orum, ora, hora «orlo, limite, margine, lembo, contrada» (da confrontare col greco hórhos «confine, limite, termine», di origine incerta). Però l'esistenza dei citati toponimi e dei seguenti, caratterizzati da osssitonia, suffissi e suffissoidi sardiani, ci spinge a ritenere che il vocabolo esistesse già in Sardegna, nella lingua sardiana o protosarda, prima che ve lo portassero i Romani. Vedi Orolái, Orolovè, Orolú (Orgosolo), Orolái (Orotelli, Ortueri), Orolacche (Osilo), Orolaghe (Buddusò), Orolía (Bitti), Orolío (Silanus), Orolíu (Siniscola); Oroliche, Orolotta (Onanì), Orolitto (Dorgali), Òrolo (Aidomaggiore, Birori, Bortigali, Pozzomaggiore), Orolotta (Onanì).

Orosái (Birori/Bortigali, Pozzomaggiore): toponimo probabilmente presardiano (suffissoide), da confrontare - non derivare - col lat. rosa «rosa» (prestito forestiero come indica già la -s- intervocalica; DELL, DELI) e quindi probabilmente “fitonimo mediterraneo”. Vedi Orosè (Austis), Oroséi (Comune di O., Bosa, Calangianus, Talana), Orrosassò (Tonara); Orossolò, Oróssi (Fonni), Orrosile (Bultei); Orrossili, Arroséi (Baunei), Orosutho (Ollolai), Orusèi (Suelli, VGS), Rosalè (Orune), Arcu Rosadulu (Villasalto), Rosè (Porto Torres), Roséi (Pozzomaggiore, Scano M., Tramatza).

Orredda (Nughedu S. N.): molti toponimi sardi hanno la radice *orr-: Orri (Monastir, Narcao, Nuraminis, Orani, Samassi, San Vito, Sarroch, Serramanna, Serrenti, Siliqua, Terralba, Villamassargia) (Orrì a Tortolì), Orra (Burgos), Orrái (Fonni, Urzulei, Lula), Orre (Paulilatino, Sorradile, Zerfaliu), Orreddá (Aritzo), Orreddo (Silanus), Orreddu (Siliqua), Orrieri (Thiesi), Orrò (Ottana, Sedilo), ecc. Siccome questi toponimi sono quasi certamente sardiani o protosardi, caratterizzati come sono da alcuni particolari fenomeni strutturali (accento, suffissi e suffissoidi) e siccome il tema *orr- è frequente soprattutto nelle zone di prevalente coltivazione granaria, viene da pensare che esso sia da confrontare - non derivare - col lat. horreum «granaio». Questo infatti è di origine ignota (DELL), ma in virtù del suo suff. -eu- potrebbe essere di origine etrusca. È dunque possibile che in Sardegna esistesse la radice *orr- «granaio» già prima che i Romani vi portassero il loro vocabolo horreum (il qule ha dato il regolare sardo órriu, orrju «bùgnola», «granaio cilindrico fatto di canna intrecciata»). Anche a Illorai, Sassari e Silanus. Vedi Orrja.

Orria Manna, Orria Pitzinna (Orrja) villaggi medievali dell'Anglona, situati nella zona di Chiaramonti-Nulvi, ma da tempo abbandonati e ormai scomparsi. Sono citati nei documenti come Orrea ed Orria e la loro etimologia è abbastanza chiara e sicura: lat. horreum «granaio» o, meglio, la sua forma femm. horrea, documentata nella tarda latinità (DELL), per cui significano rispettivamente «granaio grande» e «granaio piccolo» [manna «grande» dal lat. magnus-a, pitzínna «piccina, piccola» dal lat. pitzinnus-a (REW 6550; DILS)]. Quasi certamente tale denominazione era conseguente alla rispettiva consistenza dei due centri abitati, oppure al fatto che il secondo fosse stato una gemmazione del primo (Day 84). Cfr. Serra Orrjos (Dorgali).

Orrule, Orúvule (Pattada): toponimo che potrebbe significare «luogo di rovi», derivando da orrú «rovo», a sua volta dal lat. rubu(m). Vedi Orroule, Orrule (Dorgali).

Ortuine (Benetutti): toponimo sardiano (suffisso), probabilmente da confrontare - non derivare - col lat. (h)ortus «orto». Vedi Ortái (Bitti), Òrtana (Bono), Ortéi (Austis, Illorai), Ortueri (Comune di O.), Ortúi (Teti), Ortzái (Comune di Olzai).

Oschiri (Óschiri, Óhhiri; pronunzie attestate in qualche borgo vicino Òscari, Òlcari) (Comune di O., SS). L’abitante Oschiresu, Ohhiresu.- Il toponimo, che è documentato anche a Castelsardo, Nughedu San Nicolò e Torpè, è sardiano o protosardo e probabilmente è da confrontare – non derivare – con l’aggettivo lat. obscurus «oscuro, oscurato, nascosto» (di origine incerta; DELI). Il borgo di Oschiri pertanto probabilmente ha derivato il suo nome o dalla abbondanza di vegetazione che lo rendeva particolarmente ombroso od ombreggiato, oppure, in subordine, dal sito in cui è sorto, probabilmente “nascosto” alla vista di altri villaggi (esso infatti, situato in una depressione, non risulta visibile da alcun altro borgo). Vedi Òscoro (Anela-Bono), Iscurái (Lodine). Cfr. Riu schirigosu «rivo ombroso» (Badesi).- Il villaggio è citato molto per tempo e parecchie volte nei documenti medievali e precisamente nei Condaghi di Silki, di Trullas, di Salvenor (CSPS, CSNT, CSMS), risulta fra i villaggi della diocesi di Castro che nella metà del sec. XIV versavano le decime alla curia romana (RDS) e inoltre risulta fra quelli che sottoscrissero la pace tra Eleonora d'Arborea e Giovanni d'Aragona del 1388 (CDS I 832/1, 836/2). E poi è citato nella Chorographia Sardiniae (100.30; 128.21; 184.8) di G. F. Fara (anni 1580-1589). 

Osilo (localmente Ósilo, Ósile) (Comune di O., SS). L’abitante Osilesu.- Le più antiche attestazioni di questo toponimo si trovano nel Condaghe di Silki come Ogosilo (CSPS 35, 90, 145). Compare come Osilo nella scheda più tarda num. 381 del medesimo condaghe e inoltre in un documento dell'anno 1112 del Codex Diplomaticus Sardiniae (CDS I 183). Nella sua forma più antica Ogósilo corrisponde agli altri toponimi sardi Ogòttile (Dorgali), Ogothi [che era la forma originaria di Ossi (vedi), di cui anzi Ogósilo sembra essere un diminutivo]; Ogotzi (Olzai), Ogotza (Urzulei), Ottile (Laerru); è da confrontare con l’antico Othila (CSPS 312, Ploaghe). Tutti questi toponimi sono chiaramente di matrice sardiana o protosarda, ma non si intravede per essi il corrispondente significato.- Il villaggio è citato anche nel Codex Diplomaticus Ecclesiensis (CDE pg. 401) come Osolo e parecchie volte negli elenchi delle parrocchie della diocesi di Torres che nella metà del sec. XIV versavano le decime alla curia romana (RDS 19, 745, 1130, 1217, 2263) ed ancora parecchie volte risulta citato nella Chorographia Sardiniae di G. F. Fara (anni 1580-1589) come oppidum Osulis.

Ospè (Pattada): toponimo sardiano (ossitonia), probabilmente da connettere col verbo ospoare «asciugare, inaridire»; su entu 'e ssussu est ospoande ssa terra «il vento di su (scirocco) sta inaridendo la terra» (Dorgali), che probabilmente è un relitto sardiano o protosardo, per il quale non ho trovato riscontri in altre lingue da me conosciute. Toponimi: Ospái (Nulvi, Nùoro-Orani), Ospe (Oliena), Ospene (Dorgali-Oliena), s’Óspinu (Bolotana), Ospo (Orgosolo).

Ossi (Comune di O., SS). L’abitante Ossesu - Molto probabilmente la più antica attestazione di questo toponimo si trova nel Condaghe di Silki (CSPS 256, 392) come Ogothi. La quale forma trova riscontro nei seguenti altri toponimi sardi: Ogotzi (Olzai), Ogotza (Urzulei), Ogosilo (forma antica di Osilo; vedi), Òttene (Bessude). Tutti questi toponimi sono chiaramente di matrice sardiana o protosarda, ma non si intravede per essi alcun significato.- Accanto all'etnico Ossesu è esistito, sino a non molto tempo fa, l'altro Ossincu, il quale trova riscontro negli altri Bosincu, Lurisincu, Nuchisincu, Padrincu, Sossincu, Thiesincu (abitante rispettivamente di Bosa, Luras, Nuchis, Padria, Sorso, Thiesi), tutti caratterizzati da un suffisso che in Sardegna è arrivato dalla Corsica o dalla Liguria e che molto probabilmente deriva da quello lat. -in(ĭ)cus.- Il nostro villaggio è citato nel Codice Diplomatico delle relazioni fra la Santa Sede e la Sardegna (CDSS II 360) già come Ossi, mentre compare fra le parrocchie della diocesi di Torres che versavano le decime alla curia romana nella metà del sec. XIV (RDS 5, 1263, 1724, 2019, 2253) nella forma Orsi(s), che io ritengo senz'altro errata. Inoltre è citato dalla Chorographia Sardiniae (170.36) di G. F. Fara (anni 1580-1589) come Ossi. Cfr. Osséi (Nughedu S. N.). 

Ottava (frazione di Sassari) - In epoca medievale era un villaggio a sé, nel quale i Giudici turritani tenevano corona, cioè amministravano la giustizia (CSPS 98, 120, 200). Sicuramente il toponimo deriva dal numerale ordinale lat. octavus-a «ottavo-a», con riferimento all'ottava pietra miliaria (lapis,-idis), che, sulla strada romana Turris-Calaris, segnava la distanza da Turris Libisonis (vedi), e precisamente 8 miglia romane, pari a circa 12 chilometri.- Nelle citazioni medievali la vocale finale del toponimo è piuttosto indecisa, tanto è vero che nel Condaghe di Silki (CSPS 98, 120, 200) è citato come Ottaue (ovviamente da leggersi Ottave), nel Condaghe di Trullas (CSNT² 273) e nelle Rationes Decimarum Italiae, Sardinia è citato come Octavo ed infine nel Codex Diplomaticus Sardiniae (CDS I 533/2, 536/2, 546/2, 564/1) come Octavu. La qual cosa si spiega perfettamente col fatto che il lat. lapis,-idis era maschile.- Nella metà del sec. XIV il villaggio versava le decime alla curia romana assieme con l'altro villaggio, ormai comparso, Ariscola (odierna Siniscola della Nurra?) (RDS 1698, 2243). Infine il villaggio è citato anche nella Chorographia Sardiniae (126.4,8,12; 170.6,10) di G. F. Fara (anni 1580-1589), ma come villaggio ormai distrutto (Day 98).

Òttene, Pian’Òttene (Bessude; altipiano): toponimo sardiano o protosardo (accento e suffisso), ma di significato ignoto. Vedi Ossi.

Ottiolu (frazione di Budoni) - Il toponimo potrebbe essere la forma diminutiva di gúttiu, gúttia, (g)utzu, gútziu, (b)úttiu «goccio, goccia», con riferimento a qualche fonte caratterizzata da un semplice “gocciolio” d’acqua (pur sempre molto utile in riva al mare), da gutta «goccia», a sua volta dal lat. gutta (DILS, NVLS). Cfr. Òttari (Sorso), Goceano, Guttánnaro (Nùoro).

Oviddè (V. Angius Ovoddè) (Posada-San Teodoro): questo e i seguenti altri toponimi Oveliu (Talana), Ovidda (Oliena), Ovilò (Loiri, Pattada), Ovolái (Ollolai), Ovóliche (Onanì), Ovodda (Comune di O.), caratterizzati come sono dall’ossitonia e da particolari suffissi o suffissoidi sardiani, inducono a ritenere che anche nella lingua sardiana o protosarda esistesse una radice *ov-, *ob- che significava «pecora», non derivata, bensì geneticamente imparentata coi lat. ovis «pecora», ovile «ovile», aggettivi ovillus, ovinus, e col greco óFis (indeur.; DELL) (M.P., CHS num. 43). Ciò premesso, è molto probabile che il toponimo Oviddè in origine significasse «pecora giovane» oppure «ovile».

Ovilò (Loiri, Pattada) (NGAO) toponimo sardiano o protosardo (ossitonia) probabilmente da confrontare - non derivare - col lat. ovile e col greco óFis (indeur.) vedi Oviddè.

Ozieri (tz) [localmente e nella zona (B)Ottiéri, (B)Uttiéri] (cittadina della prov. di Sassari). L’abitante Ottieresu, Bottieresu Per questo toponimo sono possibili due differenti spiegazione: 1ª) Può corrispondere a (b)úttiu, (b)uttíu, gúttiu, guttíu, gútziu, (g)utzu «goccia, stilla», che è da confrontare - non derivare - col lat. gutta «goccia, stilla» (finora di origine incerta; ThLL, DELL, AEI, OLD); e pertanto in questa ipotesi Ozieri sarebbe un toponimo sardiano (suff.) col significato di «sito gocciolante o ricco di sorgenti» [vedi Otieri, Otierie (Irgoli); cfr. Bottidda]. 2ª) È possibile che Ozieri corrisponda al centro abitato, citato dall’Anonimo Ravennate (scrittore latino del VII sec. d. C.), Eteri praesidium «presidio di Eterio», con la caduta del secondo componente. Eterius (gentilizio realmente documentato, sia pure non in Sardegna; RNG) sarebbe stato il fondatore e comandante di un presidio militare romano, costituito a difesa dell’assai importante strada romana che andava da Calaris ad Olbia, attraversando anche la Piana di Chilivani, dagli attacchi dei sempre ribelli e razziatori Sardi delle montagne. Una conferma per questa ipotesi viene dal fatto che subito dopo l’Anonimo Ravennate cita un altro presidio romano chiamato Castra Felicia, il quale corrisponde chiaramente a Castra presso Oschiri (vedi). Ed è notevole ed esatto il procedere dal meridione al settentrione dell’ordine in cui l’Anonimo Ravennate cita le località: Nora praesidium, Aqu(a)e calid(a)e Neapolitanorum, Eteri praesidium, Castra Felicia. [La spiegazione – che è stata pure prospettata - di Eteri praesidium come «presidio degli Eteri», che sarebbero stati militari della guardia imperiale della corte di Bisanzio, va respinta con decisione, sia perché sarebbe incomprensibile la presenza di un reparto della guardia imperiale bizantina nel centro della lontanissima Sardegna, sia perché l’Anonimo Ravennato avrebbe scritto Hetaeriorum praesidium e non Eteri praesidium]. La lunga presenza dei Romani nella zona di Ozieri è chiaramente dimostrata dal vicino ponte romano (Ponte Etzu) a sei arcate che valica il riu Mannu. [In una mia visita di circa 50 anni fa avevo notato una specie di scacchiera da gioco incisa su una pietra levigata e inserita nel parapetto del ponte; sarà stata adoperata come passatempo dai soldati romani in servizio di guardia; in una mia visita successiva la pietra risultava scoparsa: buttata nel fiume oppure trafugata?].- Però il sito di Ozieri ha conosciuto la presenza umana anche molto tempo prima, in età nuragica e pure in quella prenuragica, come hanno dimostrato i ritrovamenti archeologici fatti nella grotta di San Michele, appartenenti a quella che per l’appunto è stata chiamata la «cultura di Ozieri». La presenza di stanziamenti umani nel sito era determinata e favorita sia dalla notevole abbondanza di sorgenti, sia dall’antistante Piana di Chilivani, molto adatta alle attività pastorale ed agricola.- Le più antiche attestazioni del toponino si trovano nel Condaghe di Salvenor (CSMS 181, 185, 191) come Othigeri, Otigeri; sembrano forme supercorrette di un toponimo di cui ormai si era perso il significato originario.- Ozieri risulta fra i borghi della diocesi di Bisarcio (vedi) che nella metà del sec. XIV versavano le decime alla curia romana (RDS 259, 901, 1745). Esso è citato nel Codice Diplomatico delle relazioni fra la Santa Sede e la Sardegna (CDSS II 98), nel Codex Diplomaticus Sardiniae, nell'atto di pace fra Eleonora d'Arborea e Giovanni d'Aragona del 1388 (CDS 831/1, 832/1), nel Codice di Sorres (CSorr 255 dell'anno 1471). Risulta ancora citato parecchie volte nella Chorographia Sardiniae (100.30; 126.31,32; 128.12,19,24; 184.28,31) di G. F. Fara (anni 1580-1589) come oppidum Ocieris

Padria (Pádria) (Comune di P., SS). L’abitante Padriesu - La derivazione di questo toponimo dal lat. patria «patria, terra natia, madrepatria» è di tutta evidenza; meno evidente invece è la ragione effettiva di tale denominazione del borgo. Si può pensare al ricordo nostalgico della patria lontana (l’Italia) e ad una denominazione data in suo onore da parte di coloni romani stanziati nel sito. Qualcuna di analogo si intravedere per la denominazione dell’altro borgo vicino Romana (vedi). In ricordo e in onore della patria lontana, emigrati veneti hanno dato la denominazione di Verona a una dozzina di loro stanziamenti negli Stati Uniti.- La presenza nella zona di coloni romani od italici è assicurata da numerosi reperti archeologici di matrice romana rinvenuti proprio a Padria e pure nei dintorni ed è assicurata anche dalla denominazione del vicino villaggio di Romana.- Oltre che l'etnico Padriesu si usava in passato l'altro Padrincu, il quale è caratterizzato dal suffisso còrso e ligure -íncu, che si trova negli altri Bosincu, Lurisincu, Nuchisincu, Ossincu, Sossincu, Thiesincu (abitante rispettivamente di Bosa, Luras, Nuchis, Ossi, Sorso, Thiesi) e che molto probabilmente deriva dal suffisso lat. -in(ĭ)cus.- Anche io nutro dubbi sul fatto che Padria sia l'erede della Gouroulìs paláia «Gurulis vetus» citata da Tolomeo (III 7, 6) (Pais, Rom. 370; Meloni, Rom. 131).- La più antica attestazione del villaggio si trova nel Condaghe di Trullas (CSNT² 47) come Patria, poi risulta citato nel Codice Diplomatico delle relazioni fra la Santa Sede e la Sardegna (CDSS II 148, 150) e parecchie volte fra i villaggi della diocesi di Bosa che versavano le decime alla curia romana nella metà del sec. XIV (RDS). Risulta citato ancora numerose volte nella Chorographia Sardiniae (140.27,33; 188.17) di G. F. Fara (anni 1580-1589). 

Padrogiano (log. Padrozanu, gallur. Patruciánu; purtroppo erroneamente ufficializzato come Padrongianus) (Olbia) - Nome del rivo di Olbia e della sua zona deltizia (NGAO). Esso si lega chiaramente al toponimo, anch’esso olbiese, Padronu ed entrambi mostrano di derivare rispettivamente dal cognomen lat. Patronus (RNG) e dal suo derivato Patronianus. Patronus sarà stato qualche proprietario romano di terreni nell'agro di Olbia e un suo fondo sarà stato chiamato Patronianu(m) (anche se da tale base ci saremmo aspettati *Padronzanu) (UNS 166). Però la base patronus potrebbe anche essere non un antronimo, bensì un appellativo, col significato di «patrono».- Nella Chorographia Sardiniae (100.30; 130.13, 16; 224.29) di G. F. Fara (anni 1580-1589), si trova la errata scrittura di questo idronimo: Padrus Ogianus

Padru (Comune di P., Gallura meridionale). L’abitante Padresu - È il nome del più giovane comune della Sardegna, istituito nel 1995, nome che corrisponde all'appellativo log. padru «prato», in genere "terreno pascolativo comunale", il quale deriva dal lat. pratu(m) (DILS). Il toponimo esiste in numerosi altri comuni sardi, fra cui a Nùoro come Pradu, purtroppo ufficializzato come Prato Sardo (ONT). Vedi Pardu Nou.- Le pochissime notizie storiche che si conoscono di questo villaggio - fino a pochi decenni or sono nient'altro che uno stazzo, frazione di Buddusò - si possono ritrovare nell'opera di Dionigi Panedda, Il Giudicato di Gallura, Sassari 1978 (pgg. 20, 21, 26, 112, 147). 

Padulo (propriamente Padulu) (frazione di Tempio) - Il toponimo corrisponde all'appellativo còrso padúlu «palude», il quale deriva dal tosc. padulo, a sua volta dal lat. padule(m) per palude(m). Vedi Paduledda, Pauli.

Paimmittedu (Sennori) «palmeto, sito di palme (nane)», che deriva dal lat. palmicius –etu(m).

Pala di Monti (frazione di Aggius) - Il toponimo significa «costa o costone di monte» oppure «alle spalle del monte». L'appellativo log. pala «spalla, costa» (significato originario; SSls 158), «costa,-one di montagna, falda, pendio»; ossu ‘e sa pala «scapola, omoplata»; è da connettere coi toponimi Palái (Alà, Anela, Atzara, Bolotana, Bonorva, Ghilarza, Ollolai), Palaési (Ploaghe), Paláxi (Villasalto) (suffissoide e suffissi) e probabilmente è un relitto sardiano o protosardo, di matrice "mediterranea", da confrontare  - non come derivato, bensì come imparentato geneticamente - col catalano e pirenaico pala «versante di montagna ghiacciato o innevato o roccioso, liscio e di pendenza molto forte, quasi verticale» e a similari vocaboli alpini (REW 6154a) (DILS II, LISPR).

Palái (Alà, Anela, Atzara, Bolotana, Bonorva, Ghilarza, Ollolai): toponimo prelatino (suffissoide), da connettere con pala «spalla, costa, fianco dell’uomo» (significato primitivo; SSls 158), «costa,-one, fianco di montagna, pendio», probabilmente relitto di matrice "mediterranea". Cfr. Palaesi (Ploaghe), Palaxi (Villasalto) (M.P., LISPR, NVLS).

Palau (lu Paláu, per i Maddalenini u Paráu) (borgo marittimo della Gallura, di fronte alla Maddalena) - Il toponimo può derivare dal catalano palau «palazzo». Nella Sardegna antica si chiamava palathu, palattu, palatzu una semplice casa costruita in maniera un po' più accurata delle altre.- Probabilmente si può datare in maniera certa la nascita di questo piccolo villaggio: nel 1875 un certo Giovanni Domenico Fresi, detto Zecchino, costruì la sua casa nel sito della piazzetta che adesso porta il suo nome. Nei decenni successivi accorsero nel sito altri abitanti dagli stazzi della Gallura settentrionale. Però il sito aveva già da tempo il suo nome di lu Palau o lu Parau, come testimonia Alberto La Marmora, Itinerario, II 792. 

Palmádula (frazione di Sassari) - Nome di uno stazzo della Nurra, presso l'Argentiera, che deriva dal diminutivo di un aggettivo femm. lat. *palmata «zona piena di palme», palme nane effettivamente molto frequenti in tutta la Nurra. È al singolare, ma con valore collettivo, come avviene nel sardo col nome di tutte le piante. Dato che la derivazione proposta è sicura, l'aggettivo *palmatus-a-um va dunque inserito sia nel DELL che nel REW.

Palmavera, Parmavera (Alghero) - Grande complesso nuragico situato fra Alghero e Porto Conte, la cui destinazione religiosa è dimostrata anche dalla circostanza che il grande recinto lascia fuori le capanne (cioè le cumbessías o muristenes = «dormitori») a motivo di esclusione sacrale, mentre non avviene che le includa dentro di sé a scopo di difesa. Il toponimo richiama la locuzione log. parma fera «palma selvatica», quella che adesso viene chiamata «parma nana», la quale è abbondantissima in tutta la zona.

Parònnia, sa rosa (Tula): forse = «la rosa perenne», dal lat. eccl. per omnia saecula saeculorum.

Pátima, la, (Erula, Loiri, Viddalba) (NGAO), li Pátimi (Badesi) «il/i pianoro/i», sa Pádima (Alà); corrisponde all’appellativo log. pátima, pádima «pianura»; pádimu-a «piatto, piano-a, pianeggiante», probabilmente relitto sardiano o protosardo da confrontare – non derivare – col lat. patere (indeur.). Vedi Páddimi (Castelsardo).

Pattada (Comune di P., SS). L’abitante Pattadesu - Il toponimo è abbastanza comune nell'area linguistica logudorese: sa Pattada (Banari, Chiaramonti, Giave, Ittireddu, Osilo, S. Lussurgiu, Scano Montiferro), Nuragh’ ‘e sa Pattada (Sennori), Nuragh’ ‘e Pattada (Illorai, Lei, Macomer), sa Patzata (Bitti), pathata de fauario (CSPS 401), sa patata de Canucla (CSMS 172). Esso deve essere considerato un vero e proprio appellativo, al quale il geografo Osvaldo Baldacci aveva attribuito il significato di «piccolo altipiano, o comunque luogo eminente dal quale lo sguardo spazi in ampio orizzonte». Insomma l'appellativo pattada, pathada significa «spiazzo panoramico» e infatti numerosi nuraghi prendono nome da esso. Andando contro il Wagner (DES II 236), che considerava il vocabolo un relitto preromano, Virgilio Tetti ha egregiamente indicato la origine latina di questo appellativo: è un participio sostantivato femm. del verbo pattare «pattare, allineare, mettere alla pari, pareggiare». In proposito egli ha richiamato la locuzione bonorvese sa pattada de sos caddos «l'allineamento dei cavalli» o «la linea di partenza dei cavalli» per la corsa. L'etimologia del verbo log. pattare (che manca nel DES) è piuttosto incerta, come del resto avviene per il corrispondente verbo ital. (DILS, NVLS). In ogni modo, come ha detto ancora il Tetti, il verbo sardo probabilmente presuppone una base *pactiare, come farebbe intendere la variante pathada. Dunque Pattada deriva la sua denominazione dal piccolo «altipiano panoramico» in cui è situato il paese.- La più antica attestazione che sono riuscito a rintracciare di questo villaggio si trova fra le parrocchie della diocesi di Castro che nella metà del sec. XIV versavano le decime alla curia romana (RDS 191); poi compare tra i villaggi che sottoscrissero la pace fra Eleonora d'Arborea e Giovanni d'Aragona del 1388 (CDS I 831/2) come Paçada, da leggersi o Pathada o Patzada. Ed ancora il villaggio è citato nella Chorographia Sardiniae (100.18; 184.2) di G. F. Fara (anni 1580-1589) come oppidum Patadae. Dall’etnico Pattadesu prende nome sa pattadesa, famoso coltello a serramico fabbricato particolarmente in questo paese. 

Paulis, li (frazione di Bortigiadas) - Il toponimo corrisponde al plurale dell'appellativo log. paúle «palude», il quale deriva dal lat. padule(m) per palude(m) (DILS). Però il toponimo, che in origine sarà stato sas Paúles, ha subìto un adattamento, in parte errato, al dialetto gallurese.

Pausania – Si tratta di una specificazione che è stata aggiunta, con un’apposita delibera del 21 luglio 1862 del relativo Consiglio Comunale, al vecchio nome di Olbia, cioè Terranova (e dunque Terranova Pausania), sia per distinguerla dagli altri 7 centri abitati della Penisola chiamati Terranova, sia per rievocare la denominazione di Phausiana o Phausiánē, che sembra essere stato il nome di Olbia in epoca bizantina e forse anche in epoca nuragica. Senonché, da una parte non è affatto certo che il centro abitato di età bizantina corrispondesse esattamente all'antica Olbia (è invece molto probabile che corrispondesse a un centro abitato che esisteva nel sito poco distante, a sud-ovest, ora chiamato Pasána), dall'altra si è commesso l'errore di chiamarla Pausania invece che Pausiana o Fausiana... Ed il toponimo «sarebbe rimasto storpiato, anche se avesse avuto effetto la successiva delibera del medesimo Consiglio Comunale, con cui si proponeva, per rimediare all'errore in cui si era incorsi, che Pausania diventasse Fausania» (così D. Panedda, NGAO num. 1555).- Nonostante tutto ciò, poco dopo i Tempiesi, certamente al fine di sottolineare la continuità del capoluogo della diocesi ormai trasferito da Olbia/Civita a Tempio, deliberarono di chiamare anche la loro cittadina con la nuova specificazione, cioè Tempio Pausania; eppure per esso non esisteva alcun pericolo di confusione con altri centri abitati della Penisola... E poi, perché chiamarlo Tempio Pausania e non Tempio Pausanio? - In mezzo a tutte queste amenità, l'unica cosa seria e importante è questa: come ha prospettato Arrigo Solmi, probabilmente Phausiana era il nome indigeno del centro abitato propriamente sardo che esisteva prima che i Greci, stanziandovisi, lo chiamassero Olbia oppure ne fondassero uno nuovo (vedi). Cfr. Patrologia Graeca, CVII pg. 344; Bonazzi CSPS pg. XVIII.

Peddrugnanu (Sorso): quasi certamente toponimo prediale, derivato dal lat. Petronianus, che indica un terreno posseduto da un proprietario romano chiamato Petronius.

Pedra iscritta (Bonorva): «pietra scritta» (lapide funeraria di epoca romana o miliario stradale o cippo confinario; oppure pietra con segni naturali che veninvano interpretati come lettere di un alfabeto). Anche a Bottidda, Nùoro.

Pedra Mendarza (Giave) (grande e isolato ammasso roccioso, di origine vulcanica) – Sono possibili due differenti spiegazioni etimologiche: 1ª) Potrebbe significare «roccia emendatrice o purificatrice o punitrice», dal lat. emendare, con un probabile riferimento a qualche leggenda relativa al vistoso ammasso roccioso. 2ª) Potrebbe intendersi come Mindarza ed interpretare come «zona di mindas», cioè di recinti riservati al pascolo di animali domiti (cavalli, asini, capre).

Pedraia, la, (frazione di Sassari) – Il toponimo sassarese è derivato da quello corrispondente ital. pietraia «sito pietroso oppure roccioso». Esso esiste anche a Martis e a Tergu (SS) (NLAC). E pure ad Alghero esiste, ma nella forma tutta italiana di La Pietraia.

Pedrasdefogu (Pèdras de Vógu) (Castelsardo, Sorso) - Il toponimo letteralmente significa «pietre di fuoco» e indica le rocce silicee, quelle che nel passato venivano usate, a schegge, come "pietre focaie". Il toponimo, con le ovvie varianti, è attestato anche ad Arzana, Fluminimaggiore, Olmedo, Ozieri, Scano Montiferro, Teulada, nell'isola di Sant'Antioco e presso Chia (G. F. Fara, Chorographia Sardiniae, 90.14). Vedi Perdasdefogu.

Pedrecche, Casteddu Pedrecche (Bonorva, cucuzzolo roccioso) letteralmente «castello pietroso): toponimo sardiano o protosardo (suffisso di Cargeghe, Monteghe, Murrecci, Nurechi, Nureci), da confrontare – non derivare coi lat. petra «pietra»; vedi Petruncas (Bitti).

Pelau, Monte Pèlau (Siligo) - Questo oronimo corrisponde all'appellativo pèlau «acquitrino, pantano, terreno paludoso» (pèlagu 'e abba «laghetto» anche temporaneo, ad Oliena), che deriva dal lat. pelagus (DES II 242) (dunque non estinto; DILS). Il monte silighese infatti finisce con un piccolo altipiano, nel quale l'acqua piovana si ferma a lungo. Notevole è il fatto che nell’agro di Jerzu esiste un torrente chiamato Pelau Mannu ed un altro chiamato Pelaeddu «piccolo Pelau».

Péntuma (Chiaramonti, Nulvi, Nughedu S. N.-Ozieri) «rupe, dirupo»; péntuma, péntumu «rupe, dirupo, anfratto, precipizio, voragine»; relitto sardiano o protosardo da confrontare – non derivare - con l'etr. penthuna, penthna «pietra sepolcrale, cippo, stele» e con l'ital. dial. pèntima, pèndima, pèntuma, pèntoma, pèntema, pèntama «sasso, macigno, scoglio», «pendio roccioso, terreno in pendio, dirupo» ("mediterraneo"; DEI; LET 307) (M.P., LELN 209, OPSE 223, LISPR, NVLS). 

Pèrcia, sa, (Mara): perca, pèrcia, pèlcia, precca, brecca, pèscia (centr. e log.) «rupe fessurata, fessura nella roccia, fenditura, buco nei muri, anfratto fra rocce, roccia, crepaccio, caverna, grotta, spelonca»; toponimi Pèlcio e Pèlcioro (sing. e plur.; Buddusò): relitto probabilmente presardiano da confrontare – non derivare - col gallur. pèlchja «fessura fra rocce», «piccola caverna, anfratto», còrso perchja «buca, bucaccia», con l'ital. breccia «apertura fatta sul muro» e col franc. brèche «apertura», probabilmente tutti di "matrice mediterranea" (M.P., DILS, NVLS). 

Perfugas (Pérfugas, localmente Péiffughas) (Comune di P., SS) - Letteralmente il toponimo significa «fuggitivi, disertori» e si adatta alla perfezione a una notizia riferita da Pausania (X 17, 9) relativa all'antica popolazione della Sardegna, i Balari. Secondo questo autore greco Balarhói nella lingua dei Corsi, loro confinanti, significava «disertori», in quanto i Balari stessi sarebbero stati soldati mercenari dell'esercito cartaginese, da cui avrebbero disertato per una controversia relativa alla suddivisione del bottino di una guerra. Quasi di certo questa non era altro che una paretimologia o etimologia popolare, la quale però ha finito con l'affermarsi, come è dimostrato, in maniera sorprendente e insieme chiarissima, proprio dal nome del villaggio di Perfugas = «fuggitivi, disertori», nome che quindi non è altro che la traduzione latina dell'etnico Balarhói, inteso nella maniera detta. A questo proposito è da ricordare l'iscrizione confinaria dei Balari rinvenuta fra i territori di Berchidda e Monti (SS) (Meloni, Rom. 74; UNS 198). Come lasciano intendere lo stesso Pausania e pure Strabone (V 2, 7), i Balari avranno occupato, oltre che l'odierna Anglona, le prime propaggini dei monti di Pattada, Alà e Buddusò, controllando dunque l'importante vallata che porta dalla piana di Chilivani a quella di Olbia (vedi) e premendo su questa città con continue razzie (OPSE 80; NLAC) (vedi Castra).- È abbastanza probabile che sia da riportare a questo stesso fatto storico-linguistico il blasone o stemma che i Perfughesi si sono creati da se stessi: Peiffughesos accudidos, cioè «Perfughesi immigrati» o, con la variante peggiorativa, Peiffughesos accudiditzos «Perfughesi raccogliticci» (Mauro Maxia).- La più antica attestazione del borgo si trova nel Condaghe di Salvenor (CSMS 221), per una data che si aggira attorno al 1120, come Perfugas, e inoltre nel Codice Diplomatico delle relazioni fra la Sardegna e la S. Sede (CDSS I 385, 387). Risulta poi fra le parrocchie della diocesi di Ampurias che nella metà del sec. XIV versavano le decime alla curia romana (RDS 225, 833, 2042) e inoltre fra i villaggi che sottoscrissero la pace fra Eleonora d'Arborea e Giovanni d'Aragona del 1388 (CDS I 837/2). Ed ancora è citato nella Chorographia Sardiniae (126.33; 128.26,32; 176.7) di G. F. Fara (anni 1580-1589). Vedi Baláscia.

Pérruma, sa, (Alà): = pérruma/u «dirupo, burrone, precipizio», probabilmente dal log./camp. isperrumare, sperrumai «scaraventare da un dirupo, dirupare, rovinare», a sua volta da ispentumare, spentumai «dirupare» incrociato con isperrare, sperrai «spaccare» (M.P., NVLS).

Pesciaxos (Nughedu S. N.): «crepacci, anfratti», che deriva da perca, pèrcia, pèlcia, pèscia «rupe fessurata, fessura nella roccia, fenditura, buco nei muri, anfratto fra rocce, crepaccio, caverna, grotta, spelonca». Vedi Pèrcia (Mara).

Petra 'e Cupa (Gallura) - Piccolo promontorio di forma tondeggiante, sulla costa nord-orientale della Sardegna. Il toponimo è in dialetto gallurese e significa esattamente «pietra di botte» (cupa «botte, tino», dal lat. cupa).

Pibinida (Tula): probabilmente = «frasche sottili» (sing. collettivo), che corrisponde all’appellativo pimpirida/u, pimpirina/u, pipinita, pibinida «briciola», «briciole, frammenti, pezzettini»; pimpiralla, pimpirinalla, pimpirana, pimpisa «frasche sottili»; vocaboli fonosimbolici indicanti qualcosa di minuto» (DILS, NVLS).

Picchizolu, sa ‘e, (Pattada): «la proprietà di Picchizolu» (soprannome, = «sonaglino, sonaglio per pecore», da piccare «piccare, martellare», a sua volta dallo spagn. picar «martellare».

Piredu, su, (Pozzomaggiore): «il pereto o sito di peri», che deriva da pira «pero, pera» + suff. -edu.

Pischènnero (Bonnannaro-Mores) (nuraghe a forma di cestino?): toponimo sardiano o protosardo (suffisso), probabilmente da connettere con l’appellativo pischeddu/a «cesto/a,-ino» e da confrontare col lat. fiscus, fiscellus,-a, fiscina «cesto/a, cestello, cestino» (di origine ignota; DELL, DELI); oppure, in subordine, con pischina «pozzanghera» e da confrontare – non derivare - col lat. piscina «stagno, piscina, peschiera» (indeur., DELL). Vedi Pischene (Anela), Píschine(s) (Benetutti, Orune), Pisciní (Domus de Maria), Piscu (Suelli, nuraghe).

Pittinnuri, Pittinuri (Ozieri, fontana), Pitzinurri (Arbus), Santa Caterina di Pittinuri (Cuglieri): verosimilmente toponimo sardiano o protosardo, come indizia il suo suff. –úri, che ritroviamo nei fitonimi biddúri «cicuta», carcúri «saracchio» (LISPR 75, NVLS). Probabilmente è da confrontare - non derivare - col lat. pisinnus, pitinnus «piccino, piccolo», il quale può essere di origine etrusca (suff. –in-): vedi etr. Pitna probabilmente Pitinnus, puznu probabilmente «piccolo» (DETR 322, 328; LLE 150). Il significato del toponimo potrebbe essere «insieme di ragazzi/e o di giovani» oppure «adolescenza, gioventù» (cfr. sardo odierno pitzinnalla, pitzinnía). 

Pittiracca, sa, (Bulzi, Cargeghe) = «mulattiera, viottolo incassato»; log. pittiracca, pittiriacca «viottolo chiuso dai muri dei poderi e in genere pieno di rovi»; fagher sa pittir(i)acca «sgombrare dai rovi i viottoli campestri» (anche per disposizione del Comune) (log. sett.; DitzLcs, DSIL); negli StSass I, 106 figura la forma pithurecha, da cui è derivato il sass.-gallur. moderno piddrecca «muro di cinta di un podere, ingombro di spine e di sterpi»: è probabile che derivino rispettivamente da *plecturac(u)la, *plecturec(u)la, diminutivo del lat. plectura «intreccio, intrico» (LTL); da confrontare le forme del tardo lat. pictura, pit(t)ura, pectura, pettura (Du Cange) (M.P., NVLS).

Pittorra, la, (Padru) (NGAO) «la salita»; pansardo pettorra, petturra, pitturra, pittirra, pitzurra, teporra (f., per lo più plur.) «petto dell'uomo, sterno», dal lat. *pectorina (come ital. pettorina, francese poitrine, provenzale peitrina; REW 6333) con ritrazione dell'accento e con sincope (M.P. e Wolf, RLiR 62, 1998, 344). 

Plaianu - Zona situata tra Sassari, Sorso e Porto Torres, nei pressi della regione Buddi-Buddi (vedi). È molto probabile che il toponimo derivi dal cognomen lat. Plarianus, che compare in una iscrizione funeraria rinvenuta a Tergu di un certo A. Egrilius A. F. Plarianus (CIL X 7955), membro di una ricca famiglia di Ostia. Costui a Plaianu avrà posseduto una villa o tenuta (Meloni, Rom. 258). Vero è che dal lat. Plarianu(m) ci saremmo attesi il sardo *Plarjanu o *Plarzanu, ma è cosa certa che i toponimi spesso si estraneano dai normali svolgimenti fonetici di una data lingua.- In virtù dell'esistenza nel sito della chiesa di San Michele di Plaiano (Santu Miali) e di un monastero (ora distrutto), il toponimo è citato numerose volte nei documenti medievali: CSPS, CSNT, CSLB, CSMS, CDS, CDSS, RDS. Nel Condaghe di Bosove (CSLB 4v 18, 6v 22) compare nella forma di Blaianu

Platamona (Platamòna) - Nome dello stagno posto ad est di Porto Torres e parallelo alla spiaggia antistante, il quale deriva dal greco bizantino platamón,-õnos «superficie piana», «spiaggia piana e larga», «roccia di forma tabulare». (A Nùoro esiste il corrispondente appellativo: prantamone «piccolo tratto di terreno coltivabile», col quale però si è incrociato l'appellativo sardo pranta «pianta»; DILS).- Il toponimo è citato in un documento del 1243 del Codice Diplomatico delle relazioni fra la Sardegna e la S. Sede e dopo nella Chorographia Sardiniae (80.4; 126.15; 142.32.) di G. F. Fara (anni 1580-1589). In questa stessa opera (70.5) è citato lo scoglio di Platamona come affiorante sull'acqua, il quale attualmente risulta appena coperto dal mare.- Fino agli anni '50 si trovava nel giardino di una villetta vicina alla strada un pozzetto di pietra, ben costruito, che probabilmente faceva parte di un canale che collegava lo stagno al mare ai fini del suo drenaggio; e sembrava di fattura romana. 

Ploaghe (localmente Piaghe, a Sassari Piubagga) (Comune di P., SS) - Le più antiche attestazioni del toponimo si trovano nella Carta di revoca tributaria a favore di Montecassino del 1170 come Plovake (CREST XXIV 10), nel Condaghe di Silki come Plouaki, Plouake (CSPS 276, 339, 402, 441) e nel Condaghe di Trullas come Plavaki, Plovache (CSNT² 150, 182, 320). Queste antiche forme del toponimo hanno consentito al linguista Gian Domenico Serra di prospettare, nelle sue linee essenziali, una molto verosimile e anche geniale etimologia: deriva dal greco bizantino Paulákes, Paulákis, Paulákios «Paolino», diminutivo di Paûlos «Paolo» (pronunziati rispettivamente Pavlákes e Pávlos), con la ritrazione della liquida -l- alla sillaba iniziale e con la caduta della -s finale: Plavaki. Infatti abbiamo nel sardo medievale (CSPS 339, 341, 342, 412) l'antroponimo Plaue (da leggersi Plave), che deriva da Pavle, Paule «Paolo» (in caso vocativo).- Per parte mia aggiungo che la chiesa ora parrocchiale, ma già cattedrale, di Ploaghe è dedicata a San Pietro, ma in origine sarà stata dedicata anche a San Paolo, dato che nella cristianità primitiva i due apostoli risultavano spesso appaiati. C'è pertanto da supporre che il nome di questa chiesa fosse clesia de sos Santos Petru e Paulake (diminutivo con valore affettivo), locuzione che alla lunga, a causa della ormai incomprensibile forma bizantina dell'ultimo agionimo, sarà stata interpretata come clesia de Santu Petru 'e Plavake «chiesa di San Pietro di Plavake», cioè di Ploaghe. In subordine prospetto che Paulákis sia stato il nome del proprietario bizantino di una villa o «tenuta» oppure del comandante di un presidio militare bizantino stanziato nel sito (cfr. Cheremule, Ozieri, Todoracche). Ovviamente va respinta con decisione la derivazione di Ploaghe da un suo ipotetico fondatore Plubius, che il canonico Giovanni Spano, ploaghese, ha prospettato basandosi sulle famigerate Carte di Arborea, della cui falsità purtroppo egli non si era accorto.- Siccome in ogni modo è quasi certo che il toponimo risalga all'epoca bizantina, sorge il problema di come si chiamasse in precedenza il centro abitato, il quale doveva essere di consistenza demografica ed economica considerevole (non per nulla in epoca medievale era capoluogo di diocesi e di curatoria): io ritengo che si chiamasse Lugudone (vedi), che è la mansione che il romano «Itinerario di Antonino» presenta sulla linea diretta del tracciato di strada che andava da Tibula (Castelsardo; vedi) a Caralis, toccando Iafa (Giave), Molaria (Mulargia), ecc.- In virtù del fatto che Ploaghe è stato capoluogo sia di curatoria che di diocesi, risulta citato in molti altri documenti medievali e soprattutto nelle Rationes Decimarum Italiae, Sardinia, della metà del sec. XIV, come diocesis Plovacensis. Ed è citato numerose volte anche nella Chorographia Sardiniae di G. F. Fara (anni 1580-1589).

Póglina, Porto e Torre di Póglina (a sud di Alghero) - Il toponimo corrisponde all'appellativo catalalano pollina «fiore di farina» e questa denominazione è una conseguenza della "sabbia bianca e finissima" del suo litorale (CS 96).

Poltu Cuadu (errata la grafia Quadu) (piccola cala e ormai rione di Olbia) – Il toponimo significa «Porto nascosto», cioè "riparato dai venti" (NGAO) (cfr. Portoscuso). L'aggettivo corrisponde al participio del verbo log. cubare, cuare «nascondere», il quale deriva dal lat. cubare (DILS).- Un altro Portu Cuáu (anch’esso erroneamente scritto Quao) esiste presso il Capo di Monte Santo sulla costa orientale della Sardegna. Lo cita G. F. Fara, Chorographia Sardiniae (84.27) come Portus Occultus.

Póntidda (Olbia) (NGAO) «passerella», da connettere con pontica, pontricca, pontiqa, pontig(r)a, pontija/u, póntighe, pontígia, pontiddu, pontile, pontinu, pontalinu (f. e m.) «passerella costituita da un tronco oppure da rami, frasche e zolle di terra o infine da una fila di pietre sistemate fra le rive di un rivo per poterlo attraversare» (centr. e log.); toponimo riu Pontissi (Laconi) (suffisso); probabilmente relitto sardiano, da confrontare – non derivare – col lat. pons, pontis «ponte, passerella» (la cui connessione vulgata con vocaboli indoeuropei indicanti «via» e «mare» lascia moltissimo a desiderare), diminutivo ponticulus, antroponimi Pontenius, Pontilius, Pontinius, Pontulenus (suffissi) e con quelli etr. Puntlnai, Puntna (DETR 333). Ovviamente il sardo ponte/i «ponte» può derivare senz’altro dal latino, ma i citati appellativi e toponimi fanno intendere che il vocabolo esistesse già in Sardegna, nella lingua sardiana o protosarda, prima che i Romani vi portassero il loro. Il toponimo si presenta col suffisso diminutivo tirrenico e sardiano -ill- e inoltre con la ritrazione dell’accento tonico, fenomeno non raro nella lingua (proto)sarda e soprattutto nei toponimi trisillabici (cfr. Fígari, Gesturi, Póntidda, Sedini, Sisini, Tonéri e Tóneri) (M.P., OPSE 224; NVLS). 

Porto Torres (pronunzia locale Polthu Torra) - Vedi Turris Libisonis

Posada (Comune di P., NU). L’abitante Posadinu - L'opinione corrente secondo cui il nome di questo villaggio sarebbe derivato dal catalano o dallo spagnolo posada «sosta, fermata», «locanda» non può essere accolta come esatta, per la importante circostanza che il toponimo è citato in numerosi documenti del primo Medioevo, precedenti dunque alla dominazione aragonese e a quella spagnola sulla Sardegna. Si deve invece ritenere che il toponimo derivi direttamente dal verbo lat. pausare «posare, riposare, fermarsi», che nella lingua sarda ha dato regolarmente pasare (DILS).- E infatti, da una parte esso risulta citato come Pausada in una bolla del papa Urbano II del 1095, in quella cioè che è la più antica attestazione storica del villaggio, dall'altra è un fatto che il toponimo suona localmente Pasada e nel dialetto di Bitti come Pasata, che corrisponde al regolare participio passivo femm. del citato verbo pasare. Invece la irregolare vocale /o/ di Posata/Posada - che risulta in altri documenti medievali - è, a mio avviso, da spiegarsi come effetto di un influsso del tosc. posare, che si rese operante in seguito al predominio esercitato dalla repubblica marinara di Pisa sulla Sardegna e in modo particolare sul Giudicato della Gallura.- Il nostro borgo, appartenente appunto al Giudicato di Gallura e alla diocesi di Galtellì, ha avuto un ruolo importante durante il Medioevo proprio in virtù dei suoi stretti rapporti con Pisa e con l'Italia; lo dimostra il fatto che, fra tutti i centri del Nuorese, escluso Galtellì, è quello più frequentemente citato nei documenti medievali. Il suo porto si identificava con la foce del suo fiume, foce che probabilmente in epoca medievale era più vicina al villaggio di quanto non lo sia nel presente (si sa che i fiumi, soprattutto alla foce, cambiano spesso il loro corso).- D'altra parte nell’antichità Posada era situata nella pianura, nella località detta Santa Caderina, ad occidente e vicina alla attuale "Traversa". Soltanto più tardi, evidentemente per sfuggire alle continue incursioni dei pirati saraceni, i Posadini trasferirono il loro abitato ai piedi del «Castello della Fava», costruendo tratti di mura attorno alla loro nuova sede, là dove i dirupi del colle non erano sufficienti per la difesa.- A Posada la denominazione di una torre detta sa Turre 'e Coghefae lascia intravedere che il contiguo Castello della Fava ha derivato il suo nome da un certo personaggio chiamato Coghefae = «Cuoci fave». Soprannomi e cognomi di questo tipo erano molto frequenti nel Medioevo; ma chi era l'individuo soprannominato o nominato in questo modo? un comandante della rocca oppure il capomastro della costruzione?- Questo castello in epoca medievale veniva chiamato Mola o Mole de Posata (CDS I 856/1; CDE 518), col vocabolo ital. mole che significa «grande edificio o grande costruzione».- Il nostro villaggio è citato parecchie volte come Posata nella Chorographia Sardiniae (72.5; 84.32; 100.6;130.25,27; 222.21) di G. F. Fara (anni 1580-1589). 

Pozzomaggiore (Comune di P., SS) - Il significato e l'origine di questo toponimo sono di tutta evidenza: si tratta della traduzione italiana del sardo Puttumajore, Pottumajore, il quale deriva dai lat. puteus «pozzo» e maior(em) «maggiore» (DILS) (però lo si sarebbe dovuto scrivere meglio Pozzo Maggiore). Evidentemente il centro abitato è sorto attorno a un pozzo particolarmente grande e ricco d'acqua, quello che attualmente viene chiamato Funtana Manna «fontana grande» oppure uno che sarebbe esistito  tra la chiesa parrocchiale e sa Domo ‘e su Vicáriu o dentro questa. In una terra sitibonda come è sempre stata la Sardegna, anche altri villaggi hanno derivato il loro nome da un pozzo: Decimoputzu, Putifigari, Putzolu e Villaputzu, Puthu Passaris e Puthu Puione (gli ultimi due scomparsi).- Il nostro villaggio è citato molto per tempo e parecchie volte nei documenti medievali, a dimostrazione della sua consistenza demografica e di quella economica: nel Condaghe di Trullas (CSNT² 224, 297, 306), nel Condaghe di Silki (CSPS 316, 342), nel Condaghe di Salvenor (CSMS 173, 183), in un documento del Codex Diplomaticus Sardiniae del sec. XI (CDS 150/1), nel Condaghe di fondazione e consacrazione della basilica di San Gavino di Torres del sec. XI (CDS I 152/1), nel Codice Diplomatico delle relazioni fra la Sardegna e la S. Sede (CDSS II 250), nelle Rationes Decimarum Italiae, Sardinia fra le parrocchie della diocesi di Bosa che nella metà del sec. XIV versavano le decime alla curia romana (RDS).- Compare inoltre tra i villaggi che sottoscrissero la pace fra Eleonora d'Arborea e Giovanni d'Aragona del 1388 (CDS 842/2). Ed è citato dalla Chorographia Sardiniae (140.27; 188.16) di G. F. Fara (anni 1580-1589) come oppidum Putei Maioris. 

Predda Niedda (ormai nuovo rione di Sassari) - Il toponimo deriva dalla locuzione log. preda niedda «pietra nera» (evidentemente trachite), che deriva da quella lat. petra nigella (DILS). La pronunzia Predda, con la /dd/ forte o geminata è il frutto dell'adattamento del vocabolo logudorese alla fonetica del dialetto sassarese (cfr. Juncheddu, Multeddu, Segasidda). Molto probabilmente la località corrisponde a quella chiamata Petras Nigellas del Condaghe di Silki (CSPS 140).

Prias (Chiaramonti) «(terre) tardive», dal lat. piger-a-um «pigro, lento-a» (M.P.).

Príatu (Arzachena, Olbia, Sant'Antonio G., Valledoria) (NGAO) probabilmente = «(terreno) privato». Vedi Prèaddu (Sedini).

Prunizzedda (tz) (Sassari) - Questo toponimo corrisponde al diminutivo del fitonimo o nome di pianta prunítza, prunitzedda «prugnolo, prugno selvatico» (Prunus spinosa L.), il quale deriva dal toscano pruniccia (NPS 364; DILS).

Pubuliema (Pattada): corrisponde a pubulía, poborhía, pubuliama, (CSMB 184) pubuliana, pujelma, puglielma, «pioppo» (Populus nigra L., pyramidalis Salisb.), relitto probabilmente presardiano, di matrice "mediterranea", da confrontare coi lat. populus «pioppo» (di origine ignota; DELL, DELI), aggettivo pupuln(e)us, gentilizio Populenus (suffisso tirrenico -en-) e forse col toponimo etr. Pupluna «Populonia» (LIOE). Vedi Pubulena (Ploaghe), Pupulighème (Nùoro), Púpulos (Olbia, Thiesi, Villanova M.), Púbulos (Ploaghe, Siligo).

Pulchiana (frazione di Sant'Antonio di Gallura) - Probabilmente il toponimo è un aggettivo sostantivato, che deriva dall'appellativo gallur. pòlcu «porco, maiale», per cui significherebbe «zona di allevamento di maiali».

Punta di l’Áldia (áldia non aldía) (San Teodoro) «Punta della guardia», cioè “cima della vedetta” per la pronta segnalazione dell’arrivo dei temuti pirati saraceni. Cfr. Bardia, s’Ardia.

Punta conchingrunada (Alà) = «punta dalla testa inchinata».

Punta Liri (Alghero) «Punta del Giglio», che si trova al limite sud-orientale di Porto Conte - Il toponimo corrisponde al catalano Punta Lliri, da lliri, algherese odierno liri, «giglio». La punta è così chiamata dalla forma e dal colore biancheggiante del costone di roccia calcarea che la costituisce (CS 96). Io però sono dell'avviso che la denominazione di quella punta sia molto più antica del periodo catalano; precisamente ritengo che la località sia citata da Tolomeo (III 3, 2) sotto forma di Tílion pólis, il cui primo componente però io emendo in Lílion (= lat. Lilium). E la «Città del Giglio» sarà stata un centro abitato situato appunto presso la Punta del Giglio, probabilmente in connessione col nuraghe di Parmavera (vedi) (OPSE 250).

Punta Tulena (Bulzi) «punta o cima Tulese», cioè “volta a Tula” (villaggio quasi confinante). Cfr. Janna Lugulena/e «valico volto a Lugula (Lula) (Orune) (M.P., TSSO 564). Vedi Atza Tulena (Laerru e Sedini).

Punti, li, (nuovo rione di Sassari) - È verosimile che questo sia un toponimo supercorretto, cioè sottoposto dai parlanti a una correzione errata, rispetto a un originario li Ponti. Con questo nome saranno stati indicati "i ponti" o "gli archi" dell'acquedotto romano che portava l'acqua dalle sorgenti intorno a Sassari a Turris Libisonis (Porto Torres) e dei quali qualcuno resta ancora in piedi. Questa spiegazione - che è di Virgilio Tetti - probabilmente viene confermata dal Condaghe di Silki (CSPS 403), che parla della via dessos pontes «via dei ponti».

Punziutu (frazione di Trinità d'Agultu) – Il toponimo è un aggettivo sostantivato che deriva dall'appellativo gallur. púntziu «punta» e significa «appuntito, aguzzo» (VTI). Però la spiegazione effettiva può essere duplice: o fa riferimento a qualche roccione terminante a punta oppure indicava il soprannome del proprietario dello stazzo o del predio.

Putifigari (Puttivigári, Pottivigári; la pronunzia Putifígari è errata) (Comune di P., SS) - Il toponimo viene comunemente inteso dai parlanti come composto da due vocaboli, il primo púttu «pozzo», che deriva dal lat. puteus (DILS), mentre per il secondo c'è totale incertezza. C’è da premettere che la più antica attestazione di Putifigari si ha nel diploma del re Pietro d'Aragona del 6 maggio 1364, segnato in Valenza, col quale egli concesse a don Pietro Boyl, per il suo valore e le sue prodezze, nonché per i meriti del suo avo, maggiordomo del re Giacomo, il titolo baronale e la signoria sulle terre e sui salti di Putifigari. Ciò detto ritengo che il toponimo derivi da una locuzione lat. puteu(s) vicari «pozzo del vicario», cioè del “maggiordomo” del re Giacomo.- Si deve però precisare che il concentramento, nel sito dell'attuale villaggio, di famiglie di pastori e di contadini, prima sparse nell'ampio territorio della baronia, è un fatto piuttosto recente e fu promosso e favorito dal barone don Pietro Pilo-Boyl soltanto nel sec. XVII (cfr. V. Angius, che riporta anche il testo del citato diploma). 

Putzolu (frazione di Olbia) - Il toponimo significa «piccolo pozzo» e deriva dal lat. puteolus (NGAO; DILS; manca nel REW). Il villaggio è citato come già distrutto dalla Chorographia Sardiniae (226.5) di G. F. Fara (anni 1580-1589) (Day 126).

Rattunele (Pattada): probabilmente = ratt’unele «rapida volpe»; oppure «ramo della volpe». Vedi Unele

Rebeccu (Ribeccu) frazione di Bonorva (SS) in via di estinzione; eppure nel Medioevo era il principale centro della curatoria di Costavalle, più grande e importante di Bonorva (V. Angius). Il toponimo corrisponde all'aggettivo sardo rebeccu «scontroso, selvaggio» (nuor. rebbécchinu «riottoso, ribelle»; BNI), il quale deriva dal catal. rebec (DILS). Rebeccu sarà stato il soprannome del pastore o del contadino proprietario dell'ovile o del predio in cui è sorto il villaggio. Il toponimo è citato nell'atto di pace fra Eleonora d'Arborea e Giovanni d'Aragona (CDS I 838/2) per l'anno 1388, per cui si intravede che rebeccu sarà stato uno dei primi catalanismi entrati nella lingua sarda.- Il villaggio è citato numerose volte nel quattrocentesco Codice di Sorres (CSorr) ed è citato anche nella Chorographia Sardiniae (174.22) di G. F. Fara (anni 1580-1589) come oppidum Rebecchi della diocesi di Sorres e della curatoria di Costavalle. Virgilio Tetti vi ha rinvenuto tegole romane col marchio di fabbrica. (corrige TSSO). 

Rempellos (prov. di Nùoro) - Villaggio distrutto presso Siniscola, vicino a Capo Comino (VSG). Il toponimo significa «ribelli», derivando da rempellu, repellu «ribelle», a sua volta dal corrispondente italiano (DILS) e in origine avrà indicato individui "ribelli" alle leggi ed alle imposizioni fiscali. 

Rinagghju (Renagghju) (famosa fonte di acqua minerale di Tempio) - Il toponimo è da confrontare con quello còrso u Renaghju (Sisco), corrisponde all'appellativo gallur. rinagghju, renagghju «sito arenoso» e anche «cava di arena», il quale deriva dal lat. arenariu(m) (REW 51).

Rispisu, Respisu, su, (Bonorva): «il fascio o luogo di spine, il groviglio di sterpi o rovi»; probabilmente relitto sardiano o protosardo, da confrontare – non derivare - coi lat. crispus «mosso, agitato, crespo, ricciuto» (indeur.; DELL, DELI), antroponimi. Crisp(i)us, Crispin(i)us (LEN), da connettere con quelli etr. Crespe, Crespia, Crespnie (DETR). Vedi crispesu «frullino rustico» (DILS, NVLS).

Rizzeddu (tz) (Sassari, rione) – Il toponimo quasi certamente corrisponde al cognome del proprietario del predio. Questo cognome è il diminutivo - indicante eventualmente la filiazione - dell'altro Rizzu, il quale significa «riccio, ricciuto» (aggettivo) oppure «riccio, porcospino» (sostantivo) e deriva dal corrispondente toscano (CSSO, DICS).

Roccia dell'Elefante vedi Elefantaria.

Romana (Comune di R., SS) - La spiegazione etimologica di questo toponimo è del tutto evidente e sicura: richiama l'aggettivo lat. Romanus al femm. e molto probabilmente sottintende l'appellativo villa «tenuta, fattoria». L'originario toponimo dunque sarà stato (Villa) Romana, la quale sarà stata fondata ed abitata da coloni Romani. Ed essi l’avranno chiamata in questo modo a ricordo e in onore della loro patria di origine. Si confronti il caso analogo del nome del villaggio di Padria, molto vicino a Romana (vedi). Un toponimo Romana esiste anche presso Pattada (TSSO).- Non sono riuscito a rintracciare notizie di questo piccolo villaggio precedenti a quelle che ne ha dato G. F. Fara, Chorographia Sardiniae (140.33; 188.16) per gli anni 1580-1589, e Vittorio Angius, nel Dizionario del Casalis, per l'anno 1833. Vedi Rumanedda.

Romangia (Romángia, ant. Romandia) (subregione della prov. di Sassari). Il coronimo deriva sicuramente dal lat. Romania, che voleva significare «zona romanizzata o abitata dai Romani». In epoca romana appunto avrà indicato tutta la Nurra ed avrà avuto come capitale Turris Libisonis, dove i dominatori avevano dedotto una colonia (vedi). In epoca medievale la Romania era una curatoria, citata numerose volte nel Condaghe di Silki e pure negli Statuti del Comune di Sassari (CREST XXVI 42, 1). Essa comprendeva le seguenti ville: Thathari, Canica, Ogosilo, Gennor, Bosove, Domusnovas, Cleu, Enene, Innoviu, Murasas, Kitarone, Silkis, Plaianu, Uruspe, Sorso, Tanake, Tingaru. Attualmente invece la Romangia comprende soltanto i comuni di Sennori e Sorso e pertanto confina coi comuni di Sassari, Osilo e Castelsardo ed a settentrione col Golfo dell'Asinara.- Ovviamente è citata parecchie volte anche nella Chorographia Sardiniae (126.19; 142.32; 168.20,27; 170.4; 176.26) di G. F. Fara, per gli anni 1580-1589. Vedi Romantzesu (Bitti).

Romantzesu (sito dell’Altipiano di San Giovanni di Bitti) – Il toponimo ha quasi certamente il significato di «nativo od originario della Romangia» (vedi) e avrà indicato l’origine del proprietario del fondo.

Rosè (Porto Torres), Roséi (Pozzomaggiore, Scano M., Tramatza): toponimo probabilmente presardiano (ossitonia e suffissoide), da connettere con rosa, orrosa, arrosa «rosa» e da confrontare - non derivare - col lat. rosa «rosa» (prestito forestiero come indica già la -s- intervocalica conservata; DELL, DELI) e quindi quasi certamente “fitonimo mediterraneo”. Vedi Orosè (Austis), Oroséi (Comune di O., Bosa, Calangianus, Talana), Orrosassò (Tonara); Orossolò e Oróssi (Fonni), Orrosile (Bultei); Orrossili e Arroséi (Baunei), Orosutho (Ollolai), Orusèi (Suelli, VGS), Rosalè (Orune), Arcu Rosadulu (Villasalto), Orosái (Pozzomaggiore).

Rosello (pronunzia locale Ruseddu) (Sassari) - Bella e famosa fontana di Sassari, vallata in cui questa si trova, monte corrispondente e relativa porta nelle vecchie mura della città. È citata parecchie volte negli Statuti del Comune di Sassari come Gurusele. Questo è di certo un toponimo sardiano o protosardo, come è indiziato dal suffisso diminutivo -èle, presente in questi altri toponimi Chighinele (Oschiri), Cherumele (Bitti) = Cherunele (Osidda), Eligannele (Buddusò), Gabutele (Nùoro), Ippinele (Ploaghe), Rosinele (Orani), su Rusunele (Nùoro). Ma non si intravede alcun significato per il toponimo sassarese; soltanto si deve escludere che in esso c'entrino le "rose"...- Ovviamente il toponimo è citato nella Chorographia Sardiniae (108.22, 126.5; 164.16; 168.4) di G. F. Fara (anni 1580-1589), ma in tre differenti forme: Gurusellis, Urusellis, Rosellus. Evidentemente già all'epoca del Fara il toponimo si pronunziava Rosellu o Roseddu, ma egli conosceva anche le forme più antiche Gurusele e Urusele.

Rudalza (frazione di Olbia) - Il toponimo significa «zona in cui alligna la ruta» (pianta) e deriva dal lat. rutarius,-a al femm. (DELL, NGAO).

Rueddos, sos, (frazione di Monti) - Probabilmente questo toponimo significa «i Rubeddu, la famiglia Rubeddu». Questo è un cognome frequente in Gallura, diminutivo - indicante eventualmente la filiazione - dell'altro cognome Ru, il quale corrisponde al log. ru «rovo di macchia», che deriva dal lat. rubus (CSSO, DICS, DILS).

Rumanedda (Sassari) - Nome di uno stazzo della Nurra, che letteralmente significa «Romanina» e la cui spiegazione può essere duplice: è la denominazione data allo stazzo dal proprietario o per ricordo del villaggio in cui era nato, Romana (vedi), oppure in omaggio ad una sua bambina chiamata Romana (cfr. Berchiddeddu e Brunella).

Rumazzino, Punta Rumazzino (Arzachena) - Corrisponde al fitonimo o nome di pianta gallur. rumasínu, rumatzínu «rosmarino», il quale deriva dal corrispondente logudorese, a sua volta dal lat. rosmarinu(m) (REW 7383; DILS).

Runaghe (Muros) forma metatetica di nuraghe.

Runattolu (Tula) «nuraghetto, piccolo nuraghe».

Runcos, sos, (frazione di Buddusò) - Il toponimo corrisponde al plurale dell'appellativo log. runcu, bruncu, fruncu, nuncu «grugno del maiale, ceffo, muso» ed anche «cima, punta di monte», il quale deriva dal lat. brunchus, *runcus (REW 1337, 7446a; DILS 223). Cfr. Bruncu Spina.

Ruspinu, Rúipinu (Sennori) = barb. vrúsqinu, grúspiu, gruspis, grúspinu «pungitopo» (Ruscus aculeatus L.); toponimi Friscunele (Lula), Frusqinalò (Orgosolo), Fruscanali (Orroli): relitto sardiano o protosardo, da confrontare - non derivare - col lat. ruscus, bruscus, pruscus, di origine ignota (DELL, NPRA 209, 221) (DILS, NVLS). 

Saccárgia (Codrongianus) - Nel Medioevo era un villaggio citato molto di frequente e chiamato nei documenti più antichi Saccaria (CSPS, CSNT, CDS, RDS, CDSS, CREST). In virtù di questa sua ampia e solida forma fonetica, la sua derivazione è quasi del tutto sicura: deriva dall'aggettivo sostantivato lat. saccaria. Meno sicuro invece è l'esatto riferimento semantico che il toponimo implica, rispetto al quale sono possibili due spiegazioni: 1ª) Saccaria era la località dove i Romani "incameravano" ed "insaccavano" le grandi quantità di grano che ricavavano dalle zone circostanti e che spedivano ad Ostia attraverso il porto di Turris Libisonis oppure quello di Tibula (vedi); 2ª) Il toponimo sottintende la locuzione lat. (villa) Saccaria «(tenuta) di Saccario», cioè di un proprietario romano chiamato Saccarius, gentilizio che è realmente documentato, sia pure non in Sardegna (RNG). Vedi Logudoro HYPERLINK "MACROTOP.doc".

Saccheddu (Olbia, Sassari) - È il cognome del proprietario dello stazzo o del predio, cognome che è il diminutivo - indicante eventualmente la filiazione - dell'altro Saccu. Questo corrisponde all'appellativo saccu «sacco», che deriva dal lat. saccus (CSSO, DICS, DILS; NGAO).

Sacuri (frazione di Golfo Aranci) - Siccome in un documento del sec. XVI compare come Monte Securi (NGAO), è probabile che significhi «(Monte a forma di) scure», derivando dal lat. securis (DILS).

Salamèstene (Bonorva): toponimo da riportare all’aggettivo salamattu, salamatzu, salamittanu «salmastro», da connettere con gli altri s'Abba Sálama (= «l'Acqua Salmastra»; Samugheo), Sálamu (Dolianova), Salamma (Seulo), Salamadas (Mara), Salamaghe (Budoni), Salamái (Villanovafranca), Salamangianu (Gesturi), Salamanza (Benetutti), Salamardi (Gesturi, San Basilio, Setzu), Salamardini (Villaurbana), Salamassi (Uri), Salamatter (CSPS 3), Salamessi (Tuili), Salamáttile (Scano M., fontana) (molti di questi sono propriamente idronimi e indicheranno acque salmastre oppure acidulo-minerali): tutti da confrontare - non derivare - col lat. salmacidus «salmastro» (evidentemente da sal «sale», ma di formazione oscura; DELL). Sia i toponimi citati sia la forma fonetica di salamáttu escludono la sua derivazione, sostenuta dal DES II 378, dall'ital. salmastro (ONT 90).

Salamitta (Posada): «salnitro», «efflorescenza salina che compare sui muri umidi», «gromma della pipa», che deriva dall'ital. salnitro. Vedi Salamitte (Bitti, Onanì), Salamidru (Muros), Salamida (Decimomannu), Salamitanu (Villaspeciosa).

Salárgiu, Salásgiu (Castelsardo) «venditori di sale e di pesce salato» (sing. collettivo) (ant. Salargius, Salaxios), dal lat. salarius (M.P.). 

Salauspe (Bonorva): salauspe/u, salaúspere, salauppe, salaúppere «resta dell'avena selvatica e del loglio» (che punge) (Bonorva, Osilo), [sass. saraúipu «pungitopo»], relitto sardiano o protosardo, forse da distinguere in s'alauspu e da connettere con alaussa «specie di loglio giallo» (M.P., LISPR, NVLS). Vedi Salaúppere (Lei); Salaúspere, Osáspera, Usáspara (Pattada), Saúppere (Ozieri).

Salconatzos, sos, (errato Sarconazos) (Perfugas) - Significa «i Brutti recinti per capre» (al plur.) e deriva dal gallur. salcòni, a sua volta dal còrso sarcònu (M. Maxia, NLAC).

Saligarò (Siligo), Salicchonnor (mediev. NLS 455), Saligurru (Núoro; luogo di salici; SSls 109), da confrontare - a titolo non di derivazione, bensì di affinità genetica - col lat. salix,-icis «salice» (indeur.; DELL, DELI). È più ovvio ritenere che i toponimi sardi siano omoradicali col fitonimo latino, che non ritenere che essi ne siano derivati, con la successiva aggiunzione di ben tre differenti suffissi sardiani o protosardi. Invece il sardo sálike, sálighe, sálixi «salice» può senz'altro derivare dal latino (DES II 379). La divisione s'Aligarò è assai meno ipotizzabile.

Salvannóri, Salvannúri (Padru) (NGAO 547): toponimo sardiano o protosardo da connettere con gli altri Salvennor (medievale, odierno Seivvénnori (Ploaghe), Sarvennòre e su Sárvaru (Galtellí), Salbène (Baunei), Sárbene (Sedilo), Isarvene (Lodè), Salaènnere (Austis) (suffissi) e tutti sono probabilmente da confrontare - non derivare - coi lat. salvia «salvia» (pianta che dà salute; indeur., DELL), gentilizi Salvius, Salven(i)us, Salvinius (LEN, RNG), da connettere con quelli etruschi Salvie, Salvi(a), Salvinei (DETR, OPSE 227). Se queste connessioni sono esatte, il nostro toponimo in origine portava in sé il riferimento alla pianta della “salvia” che caratterizzava in maniera particolare il relativo sito. Vedi Salvennor.

Salvuadas (Alà), propriamente Sas Vuadas «le tane». Vedi Buada (Nughedu S. N.). 

San Teodoro (villaggio della Gallura merid.) - Si tratta della traduzione italiana della denominazione sarda Santu Diadóru. Una volta il villaggio veniva chiamato San Teodoro d'Oviddè o San Teodoro Posada per essere distinto da San Teodoro in prov. di Messina. Il villaggio prende nome dalla chiesa parrocchiale, che è dedicata a San Teodoro, il cui culto è stato importato in Sardegna dai Bizantini (GG 134). Si trova al confine meridionale della Gallura ed è di etnia e di dialetto gallurese. Tanto è vero che i suoi abitanti chiamano gli abitanti dei centri confinanti li Saldi «i Sardi», mentre da questi sono chiamati sos Corsesos «i Còrsi» (CHS num. 15).

Santa Maria Coghinas (Comune di S. M. C.) - In origine si chiamava soltanto Coghinas (vedi). Il villaggio è citato molto per tempo nel Condaghe di Bosove come Cokinas (CSLB XXIIII), nel Condaghe di Salvenor come Kokinas e Coquinas (CSMS 22, 303) e compare tra i villaggi della diocesi di Ampurias che nella metà del sec. XIV versavano le decime alla curia romana (RDS 248, 1760, 1766, 2270) e infine come Coginas tra i villaggi che sottoscrissero la pace fra Eleonora d'Arborea e Giovanni d'Aragona del 1388 (CDS I 831/1). Nella Chorographia Sardiniae (178.5) di G. F. Fara (anni 1580-1589) l'oppidum Cocinae è citato come distrutto.

Santa Reparata (frazione di Santa Teresa di Gallura) – Questo agionimo o nome di santo indica l’insenatura posta a oriente del Capo Testa, sulla punta più settentrionale della Sardegna, e fu denominata in tale modo dai Pisani che venerano questa santa (CS). D'altronde esiste a poca distanza una chiesetta dedicata appunto a santa Reparata. È molto probabile che la scelta di questa santa sia stata determinata dalla circostanza che nel suo nome i naviganti pisani vedevano il riferimento a un "riparo o rifugio" per le navi, molto opportuno e necessario nel burrascoso e pericoloso stretto di Bonifacio.- G. F. Fara, Chorographia Sardiniae (80.32) (anni 1580-1589) parla di resti di importanti strutture portuali di Santa Reparata; quasi certasmente questi risalivano all'epoca romana.

Sant'Imbenia (Alghero, in fondo al Porto Conte) – Imbènia probabilmente deria dall’antroponimo femm. lat. Ingenua (RNG 96) Cfr. Artizzu, Opera S. M. 106.

Santu Padre, Mont’ ‘e Santu Padre (Bortigali) - A carico di questo agionimo è intervenuta una etimologia popolare, la quale ha interpretato in questo modo l'originario Sanctu Antipatre, quale è documentato nel Condaghe di Trullas (CSNT² 80), attraverso la confusione di *Sanctu (Antu)Patre. Una analoga confusione era avvenuta anche a Nulvi, come dimostra la denominazione medievale della chiesa di Sanctum Patrum de Nugulvi (CDS I 199-200 dell'anno 1120). Il culto di Sant'Antipatre (greco Antípatros, ma in vocativo), vescovo di Bosra in Arabia, è stato introdotto in Sardegna dai Bizantini.- Già la Chorographia Sardiniae (100.19; 140.3) di G. F. Fara (anni 1580-1589) cita il mons Sancti Patris.

Sárdara (Padria): cognome (DICS) ? oppure toponimo, il quale indicherebbe uno dei primi stanziamenti dei Sardiani o Protosardi nell’Isola provenienti della Lidia. Vedi Sardara (Comune di S., OR).

Sarra, la, (Loiri ed anche in altri comuni della Gallura) - Questo toponimo corrisponde all'appellativo pansardo serra, gallur. sarra «catena montuosa o collinare allungata e senza forti avvallamenti» (DELI), «cresta seghettata o crinale di monti», «lungo dosso di montagna», «terreno boschivo, incolto e da pascolo», «costa boscosa», «porca del solco»; serradina «costa o crinale di monte»; serrine «collina»; toponimi Serrái (Gergei, Sulcis, VSG), Serrese (Sindia), Serrestes (Galtellì); Serretzi e Serretzói (Sardara), Serriniái (Sarule), Iserrái (Orgosolo), Serralèi (Ortacesus), Serralò (Illorai) (ossitonia, suffissi e suffissoidi)  (ossitonia, suffissi e suffissoidi): probabilmente relitto sardiano o protosardo da confrontare – non derivare - col lat. serra «montagna», il quale probabilmente si identifica con serra «sega» e che comunque i DELL e DELI giudicano di “origine incerta”. È dunque probabile che il vocabolo esistesse già in Sardegna, nella lingua sardiana o protosarda, prima che ve lo portassero i Romani (M.P., LISPR, NVLS). Vedi Sarrái, sa Serra.  

Sarrái (Loiri) (NGAO): toponimo da riportare all’altro Sarra, ma col suffissoide sardiano o protosardo -ái. Vedi Serrái (Gergei, Sulcis, VSG).

Sarusi (Cossoine): probabilmente cognome, il quale può corrispondere al toponimo Salusi (Austis, Teti) e derivare dal gentilizio lat. Selusius (RNG; UNS 170) (al vocativo) (DICS).

Sassari (Sássari) (capoluogo di prov.). L’abitante Sassaresu, Tattaresu - In documenti medievali, a iniziare da uno del 1131 e dopo in numerosi altri successivi, ad es. negli Statuti della Repubblica di Sassari (42, 1; 44, 1), il toponimo ricorre nella forma di Sassari, Sassaris, Sassaro, Sasser. La forma Sacer che ricorre nel contratto stipulato a Vercelli il 25 luglio 1202 per il matrimonio di Bonifacio marchesino di Saluzzo con Maria figlia di Comita giudice di Torres (V. Angius s. v. Logudoro, IX, 712 nota 1), ha tutta l’aria di essere una paretimologia od etimologia popolare effettuata in conformità alla lingua latina adoperata nel contratto. D'altra parte in altri documenti antichi il nostro toponimo ricorre come Thathari (CSPS 83, 104, 147, 253, 254, 355, 395, 421, 439) e Thathar in un documento dell'anno 1135 (CDS I 209/2). Quest’ultima pronunzia si è conservata tale e quale nella zona del Nuorese fino a un settantennio fa e si conserva tuttora in numerose località del Logudoro come Táttari.- Si deve innanzi tutto osservare che il nostro toponimo trova riscontro in questi altri: su Sassareddu (Olbia), Sassara (Genoni), sa Sássara (Tonara), e poi in questi altri: Táttari (Monteleone Rocca Doria), Tattareddu (Muros, Pozzomaggiore), Tattari Pitzinnu «Tattari Piccolo» (Padria; evidentemente per distinguerlo da Táttari Mannu «Tattari Grande» = Sassari). Ciò premesso, dico che è probabile che il toponimo Sássari/Tháthari sia da connettere con satzaròi, sotzoroju, tzotzorói(u), tattaroju, tattarógiu, thothóriu, thothoroju, tottoroju «aro, gigaro» (Arum italicum Mill.), fitonimo sardiano o protosardo da confrontare con la glossa greco-etrusca gígarhoum «gigaro» (ThLE 417, DETR, LIOE). [Questa glossa presuppone una forma *XIXARU/*IARU con uno scambio delle consonanti spiranti uguale a quello degli etr. METHLUM/MEXLUM «lega, federazione», ZILATH/ZILAX- «console, pretore» (LLE) (i continuatori di questo fitonimo sono limitati alla sola Toscana; NPS 341)] (NPC 182; LISPR 193-194). È dunque verosimile che Sassari abbia derivato il suo nome dalla particolare presenza, in origine, del gigaro nel sito in cui il centro abitato è sorto, pianta tuttora presente nelle sue campagne. «L’aro o gigaro è una pianta erbacea perenne con radice rizomatosa. Ha fiori unisessuali in infiorescenza a spadice di colore giallastro, avvolta da una brattea (spata) verde chiaro, grande fino a 20 cm di lunghezza e 10 di larghezza. Il frutto è una bacca rossa, delle dimensioni di un pisello, con pochi semi globosi. Frequente lungo le siepi e sul margine dei prati» (NPS 340).- La matrice sardiana o protosarda del toponimo Sassari è confermata dal fatto che il sito in cui il centro abitato è sorto, è circondato da nuraghi e da non poche domos de Janas, le tombe rupestri di epoca nuragica e anche prenuragica. Questo fatto ci assicura che il centro abitato di Sassari non è sorto, come comunemente si crede e si dice, soltanto in epoca medievale, bensì è molto più antico, tanto che affonda le sue radici in piena età nuragica e forse anche prenuragica.- D'altronde uno stanziamento umano esisteva già in epoca romana, come dimostrano sia reperti di fattura romana rinvenuti entro la cerchia della città (cfr. Sassari - Archeologia urbana, a cura di D. Rovina, M. Fiori, Ghezzano PI, 2013, pgg. 19-25), sia il fatto che i Romani vi hanno costruito l'acquedotto che portava l'acqua dalle sorgenti intorno a Sassari a Turris Libisonis (vedi), sia infine il fatto che vi passava la strada romana che andava da Caralis a Turris Libisonis. Di questa strada esistono le seguenti prove: 1ª) Un cippo miliario romano rinvenuto all'inizio della Scala di Ciogga (vedi), in Badd’ ‘e Olia; 2ª) Il vicino ponte romano che sta poco a monte di quello odierno nella medesima Badd’ ‘e Olia; 3ª) Un cippo, rinvenuto in piazza Tola, che menziona M. Calpurnius Caelianus, prefetto della provincia sarda nel 253-257 d. C. e ricordato in cippi miliari come restauratore della citata strada Caralis-Turris.- E in proposito si deve ricordare che anche Sassari faceva parte della curatoria medievale della Romangia (dal lat. Romania) (vedi).- È poi notevole, ma di molto posteriore, l’espressione sarda perda 'e sássari, sátzari, sátzeri; perda 'e sassu «ciottoli di fiume per fare il selciato» (sing. collettivo) (Porru; Spano, Ort. II 194): evidentemente in passato Sassari si faceva notare nell’Isola per il suo ampio uso di selciati fatti con ciottoli di fiume.- Ovviamente il centro abitato e il toponimo Sassari risultano citati numerose volte nei documenti medievali sardi.

Sásuma, sa, la Sásima (Olbia-Berchiddeddu) (NGAO) è il fitonimo gallur. sásuma, sásima, baroniese ásuma (Lodè, Siniscola, Torpè), ásumu (Lula), «alaterno» (Rhamnus alaternus L.), probabilmente relitto sardiano o protosardo da confrontare – non derivare - col greco sésamon, sásamon «sèsamo» (forse prestito semitico; GEW, DELG, NPRA) anche con la deglutinazione del supposto articolo su-a (OPSE 106; LISPR; NVLS).

Scala di Ciogga (pronunzia locale Ischara di Giogga) (Sassari) - Letteralmente il toponimo significa «Scala di chiocciola». In tutta la Sardegna l'appellativo (i)scala, oltre che «scala» come attrezzo, significa «strada in forte pendenza, sentiero ripido» e soprattutto «sentiero che sale a zig-zag su una costa di collina o di montagna». Ed è appunto il caso della Scala di Ciogga, strada in forte pendenza e a zig-zag, che porta dalla Badd’ ‘e Olía al pianoro di Serra Secca di Sassari. L'appellativo sass. ciògga «chiocciola» deriva dal lat. cochlea.- Di certo a Scala di Ciogga passava la strada romana che andava da Caralis e Turris Libisonis (Porto Torres), come dimostrano sia un cippo miliario romano rinvenuto al suo inizio, nel fondovalle, sia il ponte romano che sta poco a monte di quello odierno (vedi Sassari).- La Scala Cochleae è citata dalla Chorographia Sardiniae di G. F. Fara (126.3) (anni 1580-1589).

Scala Piccada (Scala Bhiccada) (Alghero) - Questo toponimo logudorese significa letteralmente «Scala in salita». In tutta la Sardegna infatti l'appellativo (i)scala (che deriva dal lat. scala), oltre che «scala» come attrezzo, significa «strada in forte pendenza, sentiero ripido» e soprattutto «sentiero che sale a zig-zag su una costa di collina o di montagna». Il verbo log. piccare «pigliare, arrampicarsi, salire» deriva dal lat. picare (DILS, NVLS). 

Scupaggiu (Scupágghju), lu, (frazione di Bortigiadas) – Il toponimo significa «lo scopeto», cioè «il sito pieno di erica scoparia» (pianta), il quale deriva dal gallur. scópa «erica (scoparia e no)», a sua volta dal toscano scopa

Sea, sa, (Bitti, Bonorva, Bosa, Cossoine, Illorai, Padria, Pozzomaggiore, Tresnuraghes): «la seggiola, la cima rocciosa e piana», che deriva dal lat. sedes «sedia, seggiola», attraverso le fasi sede(m) > *see > sea per dissimilazione delle due vocali (M.P.).

Seddori (Pattada): toponimo probabilmente presardiano, da confrontare – non derivare - col tosc. séllero, sèllaro «sedano» e col pregreco sélinon «sedano», tutti risalenti in maniera indipendente a un unico “fitonimo mediterraneo". Vedi Seddori (= Sanluri, Comune di S.), Séddori (Sadali), Sedduri (Montresta, Musei), Seddurái (Orgosolo).

Sedini (localmente Séddini, log. Sédine, Sédini, gallur. Sétini) (Comune di S., SS). L’abitante Sedinesu - Le più antiche attestazioni del toponimo lo riportano come Setin e dopo come Setini, poi ancora come Sedin e Sedine (NLAC). Ciò premesso dico che sono possibili due spiegazioni etimologiche: 1ª) Il toponimo potrebbe derivare dal gentilizio di un proprietario romano chiamato Setinus o Setinius (RNG) (al vocativo), con successiva ritrazione dell’accento (cfr. Bottidda, Fígari, Gesturi, Sisini, Tonéri e Tóneri). 2ª) Facendo riferimento alla forma del lungo vallone profondamente inciso nel calcare in cui il paese risulta costruito, il toponimo potrebbe collegarsi all’appellimo sétina, sédina, sedína «corda fatta con peli della coda o della criniera del cavallo», (Nùoro) «tenia degli animali» (somigliante a una fetuccia), (log.) «verme solitario» (DitzLcs, DSIL) (suff. -in-), il quale è un relitto sardiano o protosardo da confrontare – non derivare - col lat. s(a)eta «setola» (di origine incerta; DELL, AEI, DELI²) (vedi Túddai).- Il villaggio, che apparteneva alla diocesi di Ampurias, compare tra le parrocchie che nella metà del sec. XIV versavano le decime alla curia romana (RDS 2469) e poi fra i villaggi che sottoscrissero la pace tra Eleonora d'Arborea e Giovanni d'Aragona del 1388 (CDS I 837/1). Inoltre è citato nella Chorographia Sardiniae (176.7) di G. F. Fara (anni 1580-1589) come oppidum Sedinis. Vedi Séine (TSSO). 

Segada, sa, (Alghero, Ozieri, Tissi) – Il toponimo letteralmente significa «la tagliata» e corrisponde al participio passivo femm. del verbo log. segare «segare, tagliare» (dal lat. secare; DILS), ma esattamente indica un «zona tagliato o falciata», «stoppie», «prato annuale», «terreno a pascolo per il bestiame domito» (DES II 397; DitzLcs).

Segasidda (Sassari/Sennori)È un toponimo composito logudorese, che significa «(sito dove si possono) tagliare frasche». Il primo componente è l'imperativo del verbo segare «segare, tagliare» (dal lat. secare; DILS), il secondo è sida, sita «frascame per alimentare il bestiame in mancanza di pascolo normale». Questo appellativo probabilmente è sardiano o protosardo, da confrontare – non derivare - col greco ho sîtos, tà sîta «frumento» e «foraggio per gli animali» (di origine ignota; DELG). La pronunzia -sidda, con la /dd/ geminata è effetto dell'adattamento del vocabolo logudorese alla fonetica del dialetto sassarese (cfr. Juncheddu, Multeddu, Predda Niedda).

Seivvénnori (Ploaghe) mediev. Salvennor - Antico villaggio ormai distrutto fra Ploaghe e Codrongianus, nei pressi della famosa chiesa di San Michele di Salvennor. Il nome di questo villaggio è da collegare con gli altri toponimi Salvannúri (Olbia; NGAO), Sarvennòre e su Sárvaru (Galtellí), Salbène (Baunei), Sárbene (Sedilo), Isarvene (Lodè), Salaènnere (Austis) (suffissi sardiani o protosardi) e tutti sono probabilmente da confrontare - non derivare - coi lat. salvia «salvia» (pianta che dà salute; indoeur., DELL), gentilizi Salvius, Salven(i)us, Salvinius (LEN, RNG), da connettere con quelli etruschi Salvie, Salvi(a), Salvinei (DETR, OPSE 227). Se queste connessioni sono esatte, il nostro topon. in origine portava in sé il riferimento alla pianta della “salvia” che in origine caratterizzava in maniera particolare il relativo sito.- Il toponimo risulta citato per la prima volta nel Condaghe di Silki (CSPS 38, 290, 291) e in seguito parecchie volte nel Condaghe di Salvennor (CSMS). Ed è citato parecchie volte anche nel Codex Diplomaticus Sardiniae. Ed ovviamente compare, come villaggio ancora in vita, nella Chorographia Sardiniae (124.28; 172.16) di G. F. Fara (anni 1580-1589) (Day 94-95). Vedi Salvannóri.

Semestene (Semèstene) (Comune di S., SS). L’abitante Semestenesu - È da premettere e sottolineare che questo toponimo è completamente isolato in tutto il patrimonio della lingua sarda, sia in quello lessicale che in quello toponimico. È ben vero che esiste nel territorio di Bortigali un Nuragh’ ‘e Semestene, ma posto come è nella Campeda, in un sito confinante col territorio di Semestene, evidentemente esso fa riferimento esplicito a questo villaggio e nient'altro. In conseguenza di questo suo isolamento è molto probabile che il toponimo abbia una sua storia tutta particolare.- Io ritengo che sia da chiamare in causa il lat. semestris-e «semestre, semestrale». A tal fine faccio osservare che nella lingua sarda la consonante liquida del nesso str talvolta cade: maistru, maistu «ma(e)stro», ollastru, ollastu «olivastro», pirastru, pirastu «perastro»; e che la sillaba finale –ne risulterebbe aggiunta proprio come avviene in alcuni appellativi, come bestiámene «bestiame», costúmene «costume, vestiario», untúmene «untume» (HWS § 51) e anche nel toponimo Noragugúmene accanto a Noragúgume (vedi). Ciò premesso, dico che circa l’effettivo significato originario di Semèstene sono possibili due spiegazione: 1ª) Il sito era un posto di stanziamento di militari romani, che durava un “semestre” (e di fatto sono state trovate “tombe alla cappuccina di età imperiale” lungo la strada per Sassari e “resti di edifici romani e tombe di età romana presso la chiesa di San Nicola di Trullas; A. Taramelli, Carte Archeologiche della Sardegna, 34a 67-68). 2ª) Siccome è certo che anche i Sardi antichi adoravano la dea Luna (SN² §§ 39-40) e d’altronde il lat. semestre veniva adoperato anche per indicare la «luna piena», è possibile che il toponimo Semèstene porti in sé un riferimento teoforico in onore appunto della dea Luna [cfr. Luna Lècchere (Bolotana), Lunamatrona (Comune di L.), Luna Vera (Oliena), Selene (Lanusei)].- Una buona e chiara conferma di questa mia spiegazione etimologica viene dal toponimo Riu s’enestre (Montresta, paese confinante), che evidentemente è da leggere e intendere Riu ‘e Semestre «rivo di Semèstene». D’altronde la pronunzia Semèstrene io personalmente l’ho registrata in un abitante del vicino paese di Ittiri.- Si deve precisare che tutte le forme antiche del toponimo sono Semeston, come risulta dal Condaghe di San Nicola di Trullas (CSNT² 5, 27, 69, 79, 191, 208, 285, 286, 287, 290, 306) e dalle Rationes decimarum Italiae - Sardininia (RDS 149, 1310, 1422, 2029, 2293) e pure dal quattrocentesco Codice di Sorres (CSorr); ma io ritengo che questa forma Semeston non sia altro che un adeguamento al greco medievale, effettuato dai monaci bizantini che quasi certamente hanno fondato il primitivo cenobio di San Nicola, santo bizantino appunto (vedi Trullas).- Oltre che nei citati documenti medievali Semestene risulta fra i villaggi che sottoscrissero la pace tra Eleonora d'Arborea e Giovanni d'Aragona del 1388 (CDS I 838/2) ed è citato dalla Chorographia Sardiniae (174.22) di G. F. Fara (anni 1580-1589) come oppidum Semestenes della curatoria di Costavalle.

Sènnaru, Zènnaru (Chiaramonti) «monte del sedano selvatico». Il toponimo è da confrontare - non derivare – col fitonimo tosc. sénnero, sènaro, sènero «sedano» (soprattutto quello selvatico) (DEI 3438) e col pregreco sélinon «sedano» (di origine ignota) e tutti e tre molto probabilmente derivano da un "fitonimo mediterraneo" (M.P., TSSO 904). Cfr. Sénnori, Sènnaru

Sennori (Sénnori, pronunzia locale Sènnaru, pronunzia di Sorso Sènnari, pronunzia del Logudoro Sènnere, Sénneru) (Comune di S., SS). L’abitante Sennoresu, Senneresu.- Il toponimo è da confrontare - non derivare – col nome di pianta tosc. sénnero, sènaro, sènero «sedano» (soprattutto quello selvatico) (DEI 3438) e col pregreco sélinon «sedano» (di origine ignota) e tutti e tre molto probabilmente derivano da un "fitonimo mediterraneo". È pertanto molto probabile che Sennori sia un toponimo sardiano o protosardo, che risale a un più antico vocabolo "mediterraneo" e significhi «sedano, sedano selvatico» (NPS 140-142), con riferimento alla pianta che in origine caratterizzava in maniera particolare il sito in cui è sorto il villaggio. Probabilmente altri toponimi sardiani da connettere con Sennori sono: Sènnaru, Zènnaru (Chiaramonti), Sennorie (Loculi), Sennoríe (Orgosolo), Sénnuru (Guasila), Sínnari (Abbasanta), Tennori (Tortolì), Tennorie (Villagrande Strisaili).- Non costituisce una difficoltà il fatto che con ciò io stia supponendo la contemporanea esistenza nella lingua sardiana o protosarda delle varianti Sennori e Seddori (vedi Sanluri) indicanti il «sedano», per il fatto che questa contemporanea esistenza delle due varianti si constata tuttora anche in Toscana: sénnero e séllero «sedano».- Le più antiche attestazioni del nostro villaggio, che apparteneva alla diocesi di Torres, si trovano fra le parrocchie che versavano le decime alla curia romana per gli anni 1341, 1342, 1346-1350 (RDS 61, 62, 763, 1683, 1728, 2053, 2249). Ed inoltre è citato nella Chorographia Sardiniae (168.24) di G. F. Fara (anni 1580-1589) come oppidum Sennoris.- A Sennori si parla il sardo logudorese, di forma settentrionale; però è molto caratteristico il fatto che, mentre in tutto il logudorese si dice sas féminas «le donne» e sas ebbas «le cavalle», al femm., a Sennori si dice sos féminos e sos ebbos al masch. Quest’uso di certo è conseguente a un influsso del dialetto sassarese, nel quale non esiste distinzione fra il plur. masch. e quello femm.- Nella Sardegna settentrionale corre la voce secondo cui gli abitanti di Sennori sarebbero di etnia ebraica, per la quale però non esiste alcuna conferma da parte di nessun documento storico; questa voce invece trova il suo fondamento unico nel fatto che i Sennoresi sono stati sempre dei commercianti e per effetto di questa loro attività sono stati per l'appunto intesi dagli altri Sardi come "Ebrei". Dappertutto i pastori e i contadini hanno guardato con poca simpatia i commercianti. La medesima nomea, per lo stesso identico ed errato motivo, hanno gli abitanti di Luras, di Isili e di Gavoi (vedi). Vedi pure Sennariolo.  

Serra, sa, (Buddusò, Martis e in numerosi altri comuni) «catena montuosa o collinare allungata e senza forti avvallamenti» (DELI), «cresta seghettata o crinale di monti», «lungo dosso di montagna», «terreno boschivo, incolto e da pascolo», «costa boscosa», «porca del solco»; serreíne «passaggio stretto»; serradina «costa o crinale di monte»; serríghine «rocciaio con sterpame»; serrine «collina»; toponimi Serrái (Gergei, Sulcis, VSG), Serrese (Sindia), Serrestes (Galtellì); Serretzi, Serretzói (Sardara), Serriniái (Sarule), Sarrái (Loiri) (ossitonia, suffissi e suffissoidi); probabilmente relitto sardiano da confrontare – non derivare - col lat. serra «montagna», il quale probabilmente si identifica con serra «sega» e che comunque i DELL e DELI giudicano di “origine incerta”. È dunque probabile che il vocabolo esistesse già in Sardegna, nella lingua sardiana, prima che ve lo portassero i Romani (LISPR, NVLS). Vedi Sarra.

Séttiles, sos, (Buddusò), li Sèttili (Olbia) (NGAO) «i terreni pianeggianti»; log. séttile, séthile (Fonni) «poggio», (Nùoro, Villanova Stris.) «terreno piano da semina, pianura» (VCI, BNI 295), (Orgosolo) «superficie pianeggiante e ondulata nelle zone montane», (Berchidda) «piccolo avvallamento su un altipiano», (Dorgali) «piccola pianura in zona scoscesa», (Orosei) «altipiano ondulato, poggio esteso», (Gallura) «pianoro sul dosso di una collina», (Baunei) «valle», (Sedilo) séttile 'e linna «distesa di legna»): deriva dal lat. sectĭlis-e, a sua volta da secare (DELL). Si intravede pertanto che il significato effettivo del vocabolo sardo è «settore o sezione di terreno» (M.P., NVLS).

Sia, sa, (frazione di Tula) - Per il toponimo sono possibili due spiegazioni etimologiche: 1ª) Esso potrebbe significare «la via, la strada», derivando dall'appellativo sardo via, bia, 'ia «via, strada», attraverso un nesso sa 'ia, s''ia, inizialmente con la agglutinazione dell'articolo determinativo (DILS 966) e successivamente con la nuova aggiunzione dello stesso: sa Sia. 2ª) In via subordinata, potrebbe corrispondere all'appellativo sardiano o protosardo sía «pezzo di legno fresco per minare corame» (barb.), «legnetto che si mette al muso degli agnelli e dei capretti perché non possano poppare e quindi per svezzarli» (Mogoro), «tortóre, randello» (Isili) (di origine ignota nel DES II 415); thía, tía «stelo» (Nùoro) (BNI 311), significato fondamentale «ramoscello». In questa ipotesi sa Sia potrebbe significare «il virgulto» o, meglio, col noto valore collettivo, «i virgulti», «la zona dei virgulti». Questi nel passato costituivano un materiale molto ricercato perché necessario per la fabbricazione di canestri di ogni grandezza e forma (Cfr. Berchidda).

Siddadu, su, (Bosa, Padria): «il tesoro nascosto» oppure «il prato comunale sigillato o chiuso», che deriva dal participio passivo dal lat. sigillare (DILS, NVLS). 

Sighizone (Chiaramonti) = «individuo rinsecchito», soprannome del proprietario del predio; sichizone (Nuoro), thiqizone (Orgosolo) (m.) «polpa avvizzita di una mandorla» (detto anche di individuo rinsecchito) probabilmente relitto sardiano o protosardo da confrontare – non derivare - col lat. siccus «secco» (indeur.; DELL, DELI²) (M.P., LISPR, NVLS). 

Silícaru (Chiaramonti) probabilmente «sito della selce», toponimo sardiano o protosardo da confrontare con gli altri toponimi Silacaccoro (Talana), Síligo (Comune di S.) e forse anche Silki (Sassari), tutti sardiani o protosardi (suffissi e suffissoidi), i quali sono da confrontare - non derivare - col lat. silex, silĭcis «selce, silice, basalto, lava» (di origine ignota; DELL, DELI). Per il vero questo appellativo latino è arrivato in Sardegna, come dimostrano i toponimi Silique e Valliclu Silicosu del Condaghe di Salvenor (CSMS 7, 203, 258, 299), ma è verosimile che esso esistesse nell'Isola già prima che ve lo portassero i Romani. È dunque assai probabile che Silícaru derivi la sua denominazione dalle sabbie e dalle rocce silicee che nel passato venivano usate, a schegge, come "pietre focaie". Vedi Líccaru (Laerru) (M.P.).

Siligo (Síligo) (Comune di S., SS). L’abitante Silighesu - Nel Condaghe di Trullas il toponimo è citato parecchie volte come Siloke, Siloce, Silogi, nel Condaghe di Salvenor (CSMS 183) come Siloque, nel Codice Dipomatico delle relazioni fra la Sardegna e la S. Sede (CDSS I 411; II 59) come Silogue, Siloge, Siligo. Nel quattrocentesco Codice di Sorres (CSorr) è citato come Siliche, Siloghe, Syloge, Silogue, Silloghe, Siloche. Esso si collega ai seguenti altri toponimi sardi: Silícaru (Chiaramonti), Silacaccoro (Talana), Siliquennor (mediev., GG 129) e forse anche Silki (Sassari), tutti sardiani o protosardi (suffissi e suffissoidi), i quali probabilmente sono da confrontare - non derivare - col lat. silex, silĭcis «selce, silice, basalto, lava» (di origine ignota; DELL, DELI). Per il vero questo appellativo latino è arrivato in Sardegna, come dimostrano i toponimi Silique e Valliclu Silicosu del Condaghe di Salvenor (CSMS 7, 203, 258, 299), ma è verosimile che esso esistesse nell'Isola già prima che ve lo portassero i Romani.- È dunque assai probabile che Siligo derivi la sua denominazione dalle sabbie e dalle rocce silicee che si trovano nel suo territorio (cfr. G. Spano, Emendamenti ed aggiunte all’Itinerario dell’Isola di Sardegna di A. La Marmora, Cagliari 1874, pg. 186), quelle che nel passato venivano usate, a schegge, come "pietre focaie".- Il paese figura numerose volte tra le parrocchie della diocesi di Sorres che nella metà del sec. XIV versavano le decime alla curia romana (RDS) ed è citato nella Chorographia Sardiniae (174.12) di G. F. Fara (anni 1580-1589) come oppidum Siligui. Vedi Silki.

Silimbru (Ozieri): «carrubo»; silibba, silimba, silimbru, sibíccua, síccua, t(h)ilibba, t(h)ilimba, thilippa «anagiride o laburno fetido» (Anagyris foetida L.) e «carrubo e carruba» (Ceratonia siliqua L.); anche «baccello della fava»; relitto probabilmente presardiano da confrontare – non derivare - col lat. siliqua, di origine ignota (NPRA) e quindi quasi certamente “fitonimo mediterraneo”. Vedi Siliquennor (mediev., GG 129).

Silis - Fiume della Romangia, in territorio di Osilo, Sennori-Sorso, che sfocia nel golfo dell'Asinara. L'idronimo corrisponde esattamente al fitonimo o nome di pianta lat. silis «visnaga» (Tordylium apulum L.), oppure «bupleuro cespuglioso» (Bupleurum fruticosum L.), piante entrambe presenti in Sardegna (NPS 165, 168). Siccome il fitonimo latino è di origine ignota (NPRA 238-239) e d'altra parte l'idronimo sardo trova corrispondenza nel toponimo sardiano o protosardo Silisè (Arzana), è possibile che esso sia non derivato dal fitonimo latino, bensì semplicemente imparentato con esso sul piano genetico.- Il Codex Diplomaticus Sardiniae (CDS I 856/1) cita un certo Saltarus de Silis; il che lascia intendere che nell’antichità probabilmente esisteva un centro abitato sulle rive del fiume. Il corso d'acqua in quanto tale è citato dalla Chorographia Sardiniae (126.16) di G. F. Fara (anni 1580-1589) come flumen Silae seu Valliscoco. 

Silki (antico villaggio nelle immediate vicinanze di Sassari, presso l’attuale chiesa e monastero di San Pietro, ormai conglobato nel perimetro della città) – In epoca medievale si diceva anche Sirchi, Sirqui, ma non si intravede per esso alcuna verosimile spiegazione etimologica.- Il monastero di San Pietro di Silki ci ha lasciato uno dei più importanti documenti della lingua sarda medievale e addirittura di tutte le lingue neolatine o romanze, il Condaghe di San Pietro di Silki per l’appunto (CSPS) (Day 100).

Sílvaru (Mores, Ossi): toponimo da riportare all’appellativo silva, sirva, sirba «selva, bosco», «insieme dei polloni», «fogliame», «fusto di una pianta»; mardi 'e sirba «cinghiala», (mediev. anche «caccia dei Giudici») da confrontare – non derivare - col lat. silva (di origine ignota) (uscita -va come in belva, caterva, malva, Menerva, saliva, vulva, ecc., tutti di matrice etrusca); aggettivo silvestris (suff. tirrenico), Silvanus «dio delle selve», da connettere con l'etr. Selvans. I seguenti toponimi, sicuramente prelatini come indiziano i loro suffissi e accento, Siluori (CSPS 187), Sirvoche (Onanì), Silivori (Genoni) inducono a ritenere che il vocabolo esistesse già in Sardegna, nella lingua sardiana o protosarda, prima che ve lo portassero i Romani. 

Simbranos/is, Sumbranos (Bulzi) probabilmente toponimo prediale al plur. derivato da un cognomen lat. *Singulanus, a sua volta da singulus (vedi gentilizio Singullius, RNG), soprannome dei proprietari o dei massari del predio (M.P.).

Siniscola (localmente Thiniscòle e in qualche villaggio vicino Finiscòle) (Comune di S., NU). L’abitante Siniscolesu, Thiniscolesu, Finiscolesu - Per il toponimo, che trova riscontro in un altro Siniscola della Nurra sono possibili due assai differenti spiegazioni etimologiche: 1ª) Esso potrebbe corrispondere al toponimo molto antico Sinískolon della Cappadocia, in Asia Minore, e costituirebbe una buona conferma della tesi della venuta dei Sardi appunto dall'Asia Minore (cfr. Ardali, Arzachena, Bargasola, Caralis, Libisonis, Scandariu, Sindia, Tiana) (OPSE 107, 116; LISPR 183); in questa ipotesi però non si intravede per esso alcun significato. 2ª) Si deve premettere che nell’esercito bizantino si faceva ancora largo uso della lingua latina, dato che esso veniva considerato come la esatta prosecuzione del glorioso esercito romano. Ebbene, poiché nel lessico dell’esercito bizantino il vocabolo schola significava anche «coorte», facendo perno sulla forma del toponimo Finiscole lo si potrebbe leggere e intendere come Finis scholae «fine o confine della coorte» con un riferimento a una ripartizione militare e territoriale ivi costituita dai Bizantini. E infatti Siniscola si trovava al confine con la Gallura. La denominazione del paese pertanto risalirebbe all’epoca della dominazione dei Bizantini sulla Sardegna.— Si deve precisare che il paese veniva detto anche Lodè mannu «Lodè grande» per distinguerlo da Lodè, che invece veniva inteso come Lodè minore «Lodè piccolo» (vedi).- Le più antiche attestazioni del villaggio, che faceva parte del Giudicato di Gallura e della diocesi di Galtellì, si possono ritrovare nell'opera di Dionigi Panedda, Il Giudicato di Gallura (GG 395-396) e in quella del Day 132. In particolare esso è citato nel Liber fondachi per gli anni 1317-1318 come Sinisschole, Sinischole e dopo fra i villaggi che versavano le decime alla curia romana per gli anni 1341, 1342, 1346-1350 (RDS 696, 1076, 1666). E ancora è citato nella Chorographia Sardiniae (72.6; 84.34; 130.26,27; 222.22) di G. F. Fara (anni 1580-1589).- A Siniscola si parla il dialetto baroniese, che, assieme col dialetto di Nùoro, costituiscono le forme più arcaiche e conservative del sardo come lingua romanza o neolatina. Ciò è effetto sia dell’essere stato il villaggio nell'antichità in diretta comunicazione col mare attraverso il suo fiumiciattolo - adesso in massima parte interrato dai detriti alluvionali - e quindi proprio di fronte al porto di Roma, Ostia, sia della notevole presenza di Romani nel sito, per il grande interesse che essi avevano per il grano dell’immediato retroterra, per i prodotti della pastorizia della Barbagia (carni, latticini e pelli) e per i minerali dei giacimenti di Lula e della stessa Siniscola (vedi Baronia).

Sínnaro (Pattada): toponimo probabilmente presardiano (suffisso), da confrontare - non derivare - col tosc. sénnero, sènaro, sènero «sedano» (soprattutto quello selvatico) e col pregreco sélinon «sedano» (di origine ignota) e tutti e tre molto probabilmente derivano da un unico "fitonimo mediterraneo". Vedi Sénnori (Comune di S.), Sínnari (Abbasanta).

Sirigheddu, Siligheddu (Bonorva): «Ciiriaco o Sirigu junior», prenome o cognome (al diminutivo) del proprietario del predio.

Sisías, sas, (Pozzomaggiore, Semestene): «le pratoline», da sitzía, sisía, tzitzía «pratolina» (Bellis perennis L.), a sua volta da ciccía «berrettino» (DILS, NVLS).

Sitagliácciu, lu, (San Teodoro) - Il toponimo è il peggiorativo del gallur. sitágliu «capanna-ricovero per maiali», il quale deriva dal log. sidarju, sidágliu, sidarzu «mucchio di frasche», «ricovero per suini fatto con frascame», «catasta di frasche, di rami», a sua volta da sida, sita «frascame» (DILS).

Solità (frazione di Budoni) – Per questo toponimo sono possibili due spiegazioni etimologiche: 1ª) In virtù della caduta dell'accento sull'ultima vocale potrebbe essere un toponimo sardiano o protosardo e troverebbe riscontro negli altri toponimi Solitzi (Isili/Nurallao), Solotti (Nùoro), Solotho (Orune), Solotzo (Olzai), tutti però di significato sconosciuto. 2ª) Potrebbe essere la variante gallurese supercorretta dello spagn. soledad, della locuzione Nuestra Señora de la Soledad, la quale corrisponde alla italiana l'Addolorata (vedi a Nùoro la Nostra Signora della Solitudine). 

Sorigheddu, Surigheddu (Alghero) - Questo toponimo letteralmente significa «sorcetto, topolino» ed è il diminutivo dell'appellativo log. sórighe «sorcio, topo», il quale deriva dal lat. sorice(m) (DILS). Il toponimo può indicare o un sito particolarmente frequentato dai piccoli topi (in Sardegna esiste una specie di topi di dimensioni minuscole) oppure può essere il cognome Sorighe (CSSO, DICS) del padrone del predio o il suo soprannome, al diminutivo. Esso risulta già citato nella Chorographia Sardiniae (142.5) di G. F. Fara (anni 1580-1589) come fluvius Suriguelli.- Presso Cossoine esisteva un Monte Sorigellu (CSNT² 298.5).

Sórilis (Olbia-Sa Castanza) (NGAO) probabilmente corrisponde all’aggettivo log. sórulu-a «sieroso, lattiginoso-a»; (Dorgali) Funtana ‘e s'abba sórula «fonte dell'acqua lattiginosa o effervescente», che deriva da soru «siero del latte e del formaggio», a sua volta da un lat. *sorum per serum (REW 7870; DILS).

Sorra, la (Sassari/Sorso) – Forse corrisponde a zorra, tzorra «giarra, grosso recipiente per conservare olio», vedi giorra (TSSO 88).  

Sorres (nel Meilogu, prov. di Sassari) - Antico centro abitato posto sulla collina di Monte Mura di Borutta, dove attualmente si trova la basilica di San Pietro di Sorres. Probabilmente in origine era, oltre che un centro religioso (vedi Borutta), un campo trincerato prima romano e dopo bizantino. Almeno dal sec. XI fu capoluogo di diocesi. Le più antiche attestazioni del toponimo lo riportano come Sorra (CSPS, CSNT; RDS 2670; CREST XXIV 9), il quale trova riscontro in questi altri toponimi sardiani o protosardi: Sorrái (Neoneli), Sorriái (Galtellì), Sorritta (Illorai), Sor(r)ói (Orgosolo), Surrái (Giba), Sorrotha (Lula), Sorrúi (Sarrabus), Zurria (Usellus) (suffissi e suffissoidi), tutti però di significato ignoto.

Sorso (localmente Sóssu, pronunzia log. Sòsso) (Comune di S., SS) - Il toponimo compare già nei condaghi più antichi nella forma di Sorso (CSPS 104, 322, 343, 348; CSNT² 2, 4, 195, 238, 269, 271, 312) e nel Codice Diplomatico delle relazioni fra la Sardegna e la S. Sede (CDSS I 407). In base a questa forma del toponimo e in base al suo sviluppo successivo nella pronunzia popolare, io prospetto che esso corrisponda all'avverbio di luogo log. josso, zosso «giù», il quale deriva da quello lat. *deorso per deorsum (REW 2567; DILS 564). Per giustificare questa mia spiegazione, sul piano fonetico presuppongo il passaggio, abbastanza semplice, da *jorso, *zorso a Sorso e poi a Sosso. Non costituisce difficoltà il fatto che nel medesimo Condaghe di Silki l'avverbio compare come josso, dato che spesso i toponimi si estraneano dal comune lessico subendo uno sviluppo fonetico differente e deviato.- Sul piano semantico faccio riferimento a due località della Sardegna: Quotronianu Josso cioè «Codrongianus di giù», citato dal Condaghe di Silki (CSPS 427) e Funtana 'e josso «Fontana di giù» di Ittireddu (vedi). Pertanto la spiegazione semantica del nostro toponimo può essere duplice: 1ª) Il toponimo Sorso, Sosso deriva da una locuzione Bidda de josso «Villaggio di giù» con riferimento antitetico al contiguo villaggio di Sennori, che è più elevato di circa 100 metri; 2ª) Il toponimo deriva da una locuzione Funtana de josso, con riferimento all'importante fontana che ha caratterizzato in modo determinante la nascita e la vita del villaggio, la Funtana di ra Billèllara. Questa fontana infatti risulta situata giù non soltanto rispetto a Sennori, ma anche rispetto a Sorso.- Esiste una tradizione locale, secondo la quale Sorso sarebbe una fondazione dei Galluresi di Calangianus. Notevole è il fatto che l'aggettivo-sostantivo etnico di questo paese è Sorsese in italiano, ma Sossíncu, Sussíncu in dialetto locale e sassarese con un suffisso preso dal dialetto còrso o da quello ligure (cfr. Bosa, Luras, Nuchis, Ossi, Padria, Thiesi); però in epoca medievale è documentato anche l'etnico Sursitanu (CSPS 35).- Il nostro villaggio figura tra le parrocchie della diocesi di Torres che nella metà del sec. XIV versavano le decime alla curia romana (RDS 318, 748, 1140, 1222, 1684, 2026, 2640). Inoltre è citato molte volte nella Chorographia Sardiniae (70.5; 106.25; 126.20; 168.24, 34) di G. F. Fara (anni 1580-1589) come Sursa o Sursum

Sozza (frazione di Padru) - Probabilmente il toponimo corrisponde al cognome del proprietario dello stazzo o del terreno Soggia, Sotgia. Questo è il femminile dell'altro cognome Soggiu, Sotgiu e significa «moglie del fattore» o «domestica, donna di servizio» (CSSO, DICS).

Spurulattá, Ispurulattá (Olbia) (NGAO) toponimo sardiano o protosardo (ossitonia) da connettere col toponimo Spurulò e Ispórulos.

Spurulò, Ispurulò (Chiaramonti) «vite selvatica», toponimo sardiano o protosardo (ossitonia); sporra, spurra, spéurra, ispórula/u, ispúrula «vite selvatica, lambrusca», cioè "vite bastarda"; isperolinu «degenerazione del vitigno muristellu»; toponimi Esporlatu (mediev. Isporlathu; Comune di E.), Ispòro (Nule), Isporróghilo (Sarule), Isporósile (Nùoro), Isporròsola (Lodè), Ispórulos e (I)Spurulattá (Olbia); Òsporo/Òspolo (Siniscola), Osporo (Cargeghe); Osporiddái e Osporrái (Oliena), Sporlò (Macomer); Sporolò, Isporolò (Semestene), Isporoddái (Orosei), Sporolói (Ottana), Ispúrulos e (I)Spurulò (Chiaramonti), Spurulalzu (Monti), su Spurráxu (Isili, Santadi) (alternanza ó/ú, ossitonia, suffissi e suffissoidi): relitto sardiano o protosardo da confrontare – non derivare - col lat. spurius «(figlio) spurio, bastardo, illegittimo», unanimemente riportato all'etr. Spurie (DETR) (M.P., LELN, OPSE, LISPR; NVLS).

Stintino (Comune di S., SS) - «Modesto centro portuale situato sul versante orientale della penisola di Capo del Falcone, nel Golfo dell'Asinara, sorto nel 1885 come nuova sede degli abitanti dell'Asinara costretti a lasciare l'isola perché vi doveva essere istituita la colonia penale e la stazione sanitaria marittima» (CS 152). Solamente da qualche anno è diventato comune a sé. Il toponimo corrisponde all'appellativo sass. isthintínu «intestino, budello», col quale si è voluto indicare la lunga e stretta insenatura, a forma di piccolo fiordo, che caratterizza il sito. 

Straulas (Stráulas) (stazzo di San Teodoro) – Il toponimo deriva dal lat. stabula, plur. di stabulum «ovile, stalla» (REW 8209), diventato ulteriormente plur. nel sardo. Come appellativo esiste nella lingua sarda la forma del sing. stáulu (DILS, NVLS). 

Strugas (Budoni): questo toponimo potrebbe significare «dirupi, luoghi dove ci si rompe il collo», derivando dal posadino istrugare «staccare alla base», a sua volta da is- + trugu «collo».  

Suaredda (San Teodoro) – Il toponimo significa «piccola sughera o piccole sughere» (sing. collettivo), essendo il diminutivo del gallur. súara «sughera» (Quercus suber), che deriva dal lat. suber.

Sulzaghe, s’Ulzaghe (Sennori): «il bagolaro»; pansardo suriaca, sugaria, sogaria (mediev.), suriache, suliache, soliacra, surgiaga, surzaga, suzarga, sulzaga, succaja, urriaca/che, sugárgia, sugraxa, cigraxa, sruccaxa, frugággia, fruzaghe, furzaga (f.), (Sedilo) surbiaghe, surpiaghe, (Orgosolo) urjaqe «bagolaro, spaccassassi» (Celtis australis L.), dal lat. (faba) syriaca, con riferimento alla sua drupa (NPRA 102; NPS 429).

Surráu (frazione di Arzachena) - Probabilmente corrisponde a un antico centro abitato della Gallura superiore chiamato Surrachi, Surache, Suraghe, citato in documenti medievali (GG 172-178; M. Maxia). Il suffisso del toponimo -áche (uguale a quello di nurache «nuraghe», neulache «oleandro») potrebbe indicare che questo toponimo è un relitto sardiano o protosardo, il quale forse sarebbe da riportare all'appellativo sardiano thurru, turru, tzurru, zurru, ciurru «zampillo, fontana con cannello, cascata o polla d'acqua».

Talavá, Telavà (Pattada): toponimo sardiano o protosardo, da connettere con gli altri Talavà (Torpè), Talavái (Orgosolo), Talavè (Triei), Talavòe (Nule); Talavà, Televái (Urzulei), Tálavu (fiume, Corsica) (ossitonia e suffissoidi) e tutti probabilmente da riportare all'appellativo sardiano thálau, thaláu, taláu, teláu «crusca». In questi toponimi ci sarà stato un riferimento alla crusca come residuo della trebbiatura e quindi come sinonimo di «aia».

Talere (Nughedu S. N., Ozieri): corrisponde all'appellativo talere/i «scala rustica costituita da un lungo tronco d'albero munito di intagli o tacche per le mani e i piedi» (usato particolarmente nelle grotte e nelle pareti delle montagne della Barbagia), probabilmente derivato da tallái, tazare «tagliare», a sua volta dal tardo lat. taliare «tagliare» (di origine ignota; DELL, DELI) (NVLS). Vedi Taleri (Neoneli, Noragugume, Orani, Tiana). Taleris (Bortigali, Esterzili).

Talia, propriamente Nostra Segnora de Talia, venerata in una chiesa omonima a Olmedo (SS) - Alla base del culto di questa strana Madonna c’è un notevole equivoco storico e linguistico. Tália in origine corrispondeva al nome di Santa Vitalia, che tuttora è venerata a Serrenti e a Villasor. Il trapasso fonetico è avvenuto in questo modo Vitalia > (B)italia > Talia. Senonché, quando questa connessione semantica con Santa Vitalia è andata perduta per i parlanti, questi si sono creati una nuova e strana Nostra Segnora di Talia.

Talúcciu, Tarúcciu (Sorso) corrisponde al diminutivo del nome personale Talu, a sua volta vezzeggiativo di Bártalu «Bartolo».

Támara (Macomer, Olbia, Nuxis) (NGAO) – Il toponimo significa «palma da dattero» e deriva dallo spagn. támara (TSSO).  

Tamarispa (frazione di Budoni) - Già "stazzo" della Gallura meridionale, «nel triennio 1317-1319 Tamarispa non contava che quattro famiglie, cioè, sui venti abitanti; ed era tenuta a pagare, ogni anno, al fisco pisano: in denaro, due lire di imposta fondiaria; in natura, quattro "carre" di grano e sette di orzo» (LF pg. 270; GG 355).- Il toponimo è citato molto per tempo in documenti medievali, nella forma di Tamarispa, Tramarispa, Tammarispa (VSG, GG 355); esso è un toponimo sardiano o protosardo da confrontare - non derivare - col fitonimo o nome di pianta lat. tamariscus «tamarisco» (dato come forestiero o "mediterraneo"; DELL, DEI, NPRA, AEI, DELI²). Per difficoltà fonetiche la derivazione del fitonimo sardo da quello latino è meno probabile. Il piccolo centro abitato dunque ha derivato il suo nome dalla particolare presenza, in origine, della citata pianta nel sito in cui è sorto. Cfr. Tramariglio, Tramatza.

Tanaunella (frazione di Budoni): probabilmente è da distinguere in Tana ‘e unella col significato di «tana della volpe» [cfr. Cala di Volpe (Arzachena); La tana di lu macciòni «la tana della volpe» (Olbia, NGAO 2095)]. Il secondo componente del toponimo può corrispondere all’appellativo sa nela «la volpe» (Sindia), il quale è da riportare al sardiano o protosardo masch. unele «volpe», che è frequente nella toponimia della Sardegna centrale, quasi sempre in composizione con altri appellativi: cfr. i toponimi Anela (Comune di A.), Ardaunella «cardo della volpe» (Bottidda/Burgos), Annella (Paulilatino), Gutturunele «viottolo della volpe» (Oliena/Orgosolo), Maraunele «palude della volpe» (Orgosolo), Badu sa nele «guado della volpe» (Orani), Montiqinele «monticello della volpe» (Oliena), Tramassunele «tamerice della volpe» (Fonni), Tupponella «cespuglio della volpe» (Dorgali), Taunele [= ta unele «la volpe», ta- articolo sardiano; DILS, NVLS] (Bitti). Vedi Anele, Unele.    

Tániga, Tanighedda (Sassari) – Considerato che G. Bonazzi, (CSPS, pg. 152/2) ed inoltre il CSorr. 120 citano questo toponimo come Tanaghe, non è inverosimile che esso derivi dall’appellativo pansardo tenache, tenaqe, tenaghe, tenaju, tenágiu, tanache, tanaghe, tanaqe, tanágiu, tanásiche, tenésiche, tonágiu, tanaxi, tonaxi, tánixi, táqixi, táixi, táxini «picciolo dei frutti o di foglie», il quale deriva dal lat. tenace(m) (DILS, NVLS), ma con ritrazione dell’accento (cfr. Bottidda, Fígari, Gesturi, Póntidda, Sedini, Sisini, Tonéri e Tóneri). Visto che a Nùoro furríau in tanache «attorcigliato sul picciolo», come quello del fico secco, si dice di un individuo molto rinsecchito, è probabile che Tániga fosse il soprannome del proprietario del predio.

Tannaule (Baunei, Olbia) (NGAO): toponimo sardiano o protosardo da connettere con l’altro Tandaule, Tannaule (Bitti), il quale potrebbe essere un incrocio dei fitonimi sardiani o protosardi tanda «papavero dei campi o rosolaccio» + pappaúle, papáule, papaurru, pappáile, pabaúri, p(r)abáule «papavero dei campi» (suffissi e suffissoidi), relitto sardiano da confrontare col lat. papaver «papavero» (di oriogine ignota e presentato come "mediterraneo"; DELL, DEI, DELI) (M.P., DILS, LISPR). 

Taverra – Antico centro abitato della diocesi di Torres, tra Sassari e Porto Torres, citato in alcuni documenti medievali. Probabilmente corrispondeva all’odierno San Giovanni, dato che questo viene citato appunto come San Giovanni de Taverra (Day 100). Il toponimo è attestato anche in altre località (Norbello, Orani, ecc.) e deriva chiaramente dal lat. taberna «taverna, locanda».

Tazosa, sa (Tula): probabilmente = «zona di piccole greggi», da tazu, tágiu, tallu «branco, piccolo gregge» (log., camp.), da tazare, tallai «tagliare», a sua volta dal lat. taliare

Tehhis (Ozieri): «Terchis, Zerchis», cognome che corrisponde al nome pers. mediev. Cerkis, Zerchis, Zerkis, il quale è documentato nel Condaghe di Bonarcado 66 e nelle Carte Volgari AAC I, IV, V, VI, VII e deriva dal bizantino Sérgios «Sergio».

Tejja, la (Castelsardo, Olbia, Erula) (NGAO 2132) «la roccia piatta, spianata rocciosa», che deriva dal còrso teghja.

Telti (Comune di T., Gallura) - In maniera certa si può affermare che l'odierna forma del toponimo è l'effetto relativamente recente di una supercorrezione; infatti dalle antiche attestazioni, che risalgono al Medioevo (GG 323; NGAO 358, 619), si può con sicurezza desumere che la forma originaria del toponimo era Terti. Nel Condaghe di Salvennor compare l'etnico Tertesu, Tertesa, Tertesos (CSMS 30, 31, 120). Ciò detto, si deve considerare che il sito di Telti si trovava all'incrocio di due importanti strade romane, una che saliva da Caralis, attraverso la Campeda e il Logudoro, e raggiungeva Olbia, e l'altra che, per compendium, portava da Tibula (Castelsardo; vedi) alla stessa Olbia, con un tragitto che toccava gli odierni siti di Sedini, Bulzi, Perfugas, Tempio e Calangianus. Inoltre si deve considerare che la presenza dei Romani nel sito di Telti è assicurata dal ritrovamento di materiale archeologico, di una necropoli (GG 323), di resti di una strada romana e perfino di una iscrizione funeraria di un marinaio, già imbarcato su una nave veloce, datata al I sec. d. C. (Epheris Epigraphica, 1899, VIII, 734).- Tutto ciò premesso, a me sembra verosimile che l'etimologia del nostro toponimo possa essere questa: Terti (manipuli castra) = «(accampamento) del Terzo (manipolo)» (si badi bene: Terti e non Tertii; UNS 136). A tale proposito è appena il caso di ricordare che la coorte romana era composta appunto di tre manipoli. La presenza di un manipolo di militari romani nel sito di Telti sarebbe pienamente spiegata e motivata dalle esigenze strategiche che Roma aveva nella zona: si trattava di difendere le due citate importanti strade dagli attacchi dei Còrsi della Gallura e delle tribù di razziatori della Sardegna centrale e montana (Meloni, Rom. 326). In effetti questo distaccamento militare di Terti (manipuli castra) avrebbe avuto una funzione del tutto analoga a quella di Castra, nei pressi di Oschiri, che era chiaramente in funzione di contrasto e di difesa contro gli attacchi dei Balari dell'Anglona (vedi Perfugas). Perfino la grande cura che i Romani ebbero per il tratto di strada che andava da Telti ad Olbia, di circa 10 miglia, cura dimostrata anche dal numero elevatissimo di miliari stradali rinvenuti (circa 100), si spiegherebbe alla perfezione con la presenza di un manipolo di soldati romani a Telti: è cosa nota, infatti, che quando non c'erano in atto azioni belliche, i soldati romani venivano occupati in lavori di apertura e di manutenzione delle strade.- Finisco precisando che questa spiegazione del toponimo Telti mi sembra assai più probabile di quella basata sulla sua connessione col toponimo sardiano o protosardo Tèltoro (Buddusò), da me prospettata in precedenza (UNS 49). 

Tempio (pronunzia gallur. Tèmpiu) (Comune di T., Gallura). L’abitante Tempiesu - La derivazione di questo toponimo dal lat. templum «tempio», attraverso una mediazione corso-toscana, è del tutto evidente ed è anche assicurata dalle numerose forme che esso assume in trascrizioni medievali: Villa Templi (GG 274). Siccome però è da escludersi che una località traesse il suo nome da un antico templum preso in senso generico, si impone l'obbligo di trovare a quale divinità esso fosse in origine dedicato. Orbene il templum in questione era con grandissima probabilità dedicato ad Hera, come lascia intendere il geografo greco-alessandrino Claudio Tolomeo (III 3, 7), il quale per la Sardegna settentrionale parla appunto di un Héraion, cioè di un «tempio di Hera», la quale - come tutti sappiamo - si identificava con la divinità etrusco-romana Giunone (OPSE 124) (vedi Arzachena). Notevole è il fatto che Alberto La Marmora (Voyage, II 403) abbia intravisto che l'Héraion era situato ad occidente di Olbia e che Karl Müller, il moderno editore di Tolomeo, abbia intravisto che esso si trovava nella strada che portava da Tibula ad Olbia. Ora, considerato che per me Tibula (vedi) era a Castelsardo e non a Santa Teresa di Gallura, il Templum (Iunonis) risultava proprio a metà strada fra Tibula ed Olbia, sulla via per compendium che univa queste due antiche città sarde (cfr. il romano «Itinerario di Antonino», 82.8,9).- Si deve poi considerare che, siccome si trattava di una divinità di prima grandezza, si comprende abbastanza bene come nella locuzione Templum Iunonis potesse cadere il secondo termine, cioè il nome della divinità, finendo questo luogo di culto col presentarsi come il "tempio per eccellenza" (vedi infatti CSNT² 305: donnu Furatu Solina, prebiteru dessu Templu), probabilmente il tempio principale dei Còrsi della Gallura (E. Pais, Ricerche, 571, 584), mentre un tale fatto era molto più difficile che potesse accadere col nome di dèi di secondo rango. E infatti si consideri il caso dell'altro toponimo sardo Martis, che presuppone la locuzione fanum Martis, nella quale però è caduto il primo termine e non il secondo. Per questa medesima considerazione - oltre che per altre - l'ipotesi di Giovanni Spano (VSG), secondo cui l'antico Templum fosse dedicato ai "gemelli" Castore e Polluce, deve essere respinta come non accettabile.- Si noti infine che in Sardegna esistono altri due toponimi che riportano all'appellativo lat. templum: Trémpu (Ghilarza, Isili).- Ruderi romani sono stati trovati nei dintorni della città di Tempio, a Santu Tummèu ed a Santu Larentzu (GG 85). Sarebbe però opportuno ricercare se tracce di un tempio pagano siano mai state rinvenute nell'area della cattedrale di Tempio, dato che era prassi comune del cristianesimo primitivo quella di trasformare i templi pagani in chiese cristiane.- La più antica citazione di epoca medievale di Tempio si trova in un accordo fra l'Opera primaziale di Pisa e il Vescovo di Civita (Olbia) del 1173 (GG 275; CREST XXV 17). È poi citato fra i villaggi della diocesi di Civita che nella metà del sec. XIV versavano le decime alla curia romana (RDS 1763, 2238). Ed ancora è citato nella Chorographia Sardiniae (130.2,8; 224.34) di G. F. Fara (anni 1580-1589) come oppidum Templi (vedi Pausania). 

Teppa (Castelsardo): toponimo che corrisponde all’appellativo còrso teppa «balza», forse da confrontare col sabino-lat. teba «colle».

Terchiddu, Tréchiddo (Bonorva): indica un antico villaggio Terkillo, scomparso alla fine del sec. XVII e può essere il diminutivo del nome pers. mediev. Cerkis, Zerchis, Zerkis, che deriva dal bizantimo Sérgios «Sergio». Era situato a due ore di cammino a oriente di Bonorva, vicino alle chiese ormai diroccate di Sant’Elena, San Matteo e San Quirico (V. Angius). Nel Condaghe di Silki (CSPS 399) compare come Therkillo, nel Codice di Sorres (CSorr) come Terchillo, Terchido, Trechido, Trequido. Sottoscrisse il trattato di pace fra Eleonora d'Arborea e Giovanni d'Aragona del 1388 (Day 89).

Tèremu (Viddalba) «frana, scarpata», dal log. tèrema «frana, precipizio», probabilmente retroformazione da isteremare, istremenare «franare» (M.P., NVLS). 

Tergu (localmente TZélgu, log. Télgu e Tégghu) (Comune di T., SS). Premesso che il toponimo in documenti medievali compare come Tergu, Thergu, Çergu, Zergu, Sergo (CSMS, CSPS, CSNT, CDS, RDS), dico che di esso sono possibili due differenti spiegazioni etimologiche: 1ª) Potrebbe derivare dal lat. tergu(m) «tergo, schiena, dorso, spalla», nel significato geomorfico che i vocaboli indicanti appunto «schiena, dorso, spalla» assumono spesso in tutte le lingue per denominare una «costa di collina o di montagna» (SSls 158), nel nostro caso la collina chiamata lu Mònti. 2ª) Potrebbe corrispondere al nome personale medievale Cerkis, Zerchis, Zerkis, documentato nel Condaghe di Bonarcado (CSMB 66) e nelle Carte Volgari AAC (I, IV, V, VI, VII), il quale deriva dal bizantino Sérgios «Sergio» (CSSO, DICS, NLAC); e questo sarebbe stato il proprietario di una villa o «tenuta».- In epoca piuttosto tarda per il nostro toponimo sono attestate anche le forme Terico e Cerico (CDS I 501; ASG num. 265, 25v), nelle quali è chiaramente intervenuta l'anaptissi di una /i/. Tale denominazione attualmente è conservata da uno stazzo o borgata di Tergu.- Questo, appunto come Cericus, è citato numerose volte nella Chorographia Sardiniae (126.22,25,27,28; 176.31) di G. F. Fara (anni 1580-1589), ma come villaggio distrutto.- Notevole è la forma dell'etnico: TZelgulani sul posto e Telgulanos ad Osilo. 

Terrabbinu, su, lu Tarrabbinu (Loiri, Olbia) (NGAO), Tarravvinu (Viddalba) «il terreno biancastro, argilloso, sterile», che deriva da terr'albinu, terr'alvinu «terreno biancastro». Vedi Terr’alvinu (Pattada), Terriruju (Nulvi, Padru).

Terranza (Mara): (espe) terranza «vespa di terra o della sabbia, vespone» (Bombus terrestris), che deriva dal lat. terraneus-a. Vedi Terranzas (Bosa).

Terriruju, su, (Lodè, Nulvi, Orune, Padru) (NGAO), Terru rúgiu (Montresta), Terriruja (Lula), Terru ruju (Bitti, Pattada): «terreno rosso», «terra rossa, argilla» (Bitti, Galtellì, Montresta, Pattada);: probabilmente tutti relitti sardiani o protosardi, da confrontare – non derivare – coi lat. terra, terrenus, terrestris (suffissi), di origine incerta (DELL). Vedi toponimi Terralè (Arzana), Terrenisái (Austis), Terrí (Gergei), Térrinu (Bitti) (ossitonia, suffisso e suffissoide): tutti toponimi che fanno intendere che il vocabolo esistesse in Sardegna, nella lingua sardiana o protosarda, prima che ve lo portassero i Romani (M.P., NVLS). Vedi Terrabbinu.

Tettènnera, Tittènnera (Pattada): «zona piena di smilace spinosa» (suffisso). Vedi Tetti, Tettene (Orgosolo), Téttile.

Tetti (Chiaramonti) «nuraghe della smilace spinosa»; tetti, tethi, tetzi, téttiu, tettione, tittione, tintioni, tintiôi «smilace spinosa» (Smilax aspera L., pianta rampicante) (suff. -on-), relitto sardiano o protosardo, per il quale non ho trovato riscontro in altre lingue da me conosciute; a meno che non sia da connettere con rethi, ret(t)i «vitalba» (altra pianta rampicante). Potrebbe anche essere il cognome del proprietario del predio (CSSO, DICS) (M.P., LISPR, NVLS).

Téttile (Erula, Nulvi) – È da connettere con gli altri toponimi Tettema (Cuglieri), Tettene (Orgosolo), Tettiddái (Olzai), Téttilo (Oniferi), Tettilò (Buddusò) (ossitonia e suffissi sardiani) e molto probabilmente significa «(sito) della smilace aspra», corrispondendo al fitonimo o nome di pianta tét(t)i, tét(t)iu «smilace aspra» (Smilax aspera L.). Vedi Tetti.

Tettinosu, Tittinosu, lu, (Loiri, Olbia) (NGAO) «il terreno pieno di smilace», da tetti/u «smilace aspra». Vedi Tetti.

Tettione, su, (Orgosolo, Ossi) vedi Tetti.

Tettosu, su, (Pattada): «sito pieno di smilace spinosa». Vedi Tettinosu.

Tezi (Olbia, Onifai, Siniscola): «asperella o attaccamani» (Galium aparine L.), oppure «sorta di alto giunco usato per rivestire capanne» (NGAO num. 1504), fitonimo probabilmente sardiano o protosardo (non conosciuto dai DES, NPS, AAS), per il quale non ho trovato riscontro in altre lingue da me conosciute.

Thiesi (pronunzia attuale Tiési) (Comune di T., SS) - Il toponimo trova riscontro solamente nell'altro Tiesi di Nùoro. Siccome nel Condaghe di Silki è documentato come Tigesi (CSPS 96, 310), esso potrebbe derivare da un gentilizio lat. *Tigesius (in caso vocativo) di un proprietario romano così denominato, padrone di una villa o «tenuta o fattoria». Per il vero non risulta documentato un gentilizio lat. *Tigesius, ma lo si può ragionevolmente supporre in base agli altri Tigellius, Tigidius, Tigius realmente documentati (RNG). La presenza di possidenti romani nella zona è chiaramente dimostrata dai nomi dei villaggi vicini Bessude, Romana e Padria (vedi).- In via subordinata dico che Tigesi potrebbe corrispondere all’appellativo su tiresi, relitto sardiano o protosardo (suff., LISPR 66), che probabilmente significa «ginestreto o sito della ginestra», derivando da thería, thiría «ginestra spinosa» (Tiresi/Teresi a Dorgali, Nùoro, Orani-Orotelli, Ovodda, Siniscola) [cfr. Tiriséi (Busachi)].- L'etnico odierno è Tiesínu, però in passato esisteva anche l'altro Tiesincu, il quale trova riscontro negli altri Bosincu, Lurisincu, Nuchisincu, Ossincu, Padrincu, Sossincu (abitante rispettivamente di Bosa, Luras, Nuchis, Ossi, Padria, Sorso), tutti caratterizzati da un suffisso che in Sardegna è arrivato dalla Corsica o dalla Liguria e che molto probabilmente deriva dal suff. lat. -in(ĭ)cus.- Il paese di Thiesi risulta fra i villaggi che sottoscrissero la pace tra Eleonora d'Arborea e Giovanni d'Aragona del 1388 (CDS 842/2) ed è citato ampiamente e in forme varie nel quattrocentesco Codice di Sorres. Ed è citato nella Chorographia Sardiniae (124.19,20; 174.28) di G. F. Fara (anni 1580-1589) come Tiesus della diocesi di Sorres. 

Tibile (Chiaramonti) probabilmente è il gentilizio lat. Tibile, Tibilius (RNG 186) di un antico proprietario romano del predio (M. Maxia).

Tilèppere (Mara e Pozzomaggiore): «le lepri» (sing. collettivo), relitto sardiano o protosardo composto da lèppere «lepre» preceduto dall’articolo determinativo sardiano o protosardo ti (M.P., DILS, NVLS).

Tiliconera, Thiliconnera (Orune): è una variante di t(h)ilingrone «lombrico, verme», per metafora «morte» (DitzLcs, V. Tetti 519) (corrige TSSO).

Tilípera (Bonorva): corrisponde al fitonimo silibba, silimba, silimbru, sibíccua, t(h)ilibba, t(h)ilimba, thilippa, tilípera «anagiride o laburno fetido» (Anagyris foetida L.) e pure «carrubo e carruba» (Ceratonia siliqua L.); anche «baccello della fava»: deriva dal lat. siliqua (NPS 292; DILS). Però, sia l’origine ignota del fitonimo latino (NPRA), sia alcune forme deviate del fitonimo sardo inducono a ipotizzare che questo esistesse già in Sardegna, nella lingua sardiana o protosarda, prima che ve lo portassero i Romani. Vedi Siliquennor (mediev., GG 129) (M.P., corrige TSSO). 

Tíngari (Sassari), mediev. Tingaru (CSPS 351) toponimo che probabilmente corrisponde all’altro Tínnari. Cfr. Tíngari (Sicilia).

Tinnari (Tínnari) (frazione di Trinità d'Agultu) - Il nome di questo centro abitato è chiaramente prelatino e sembra che si possa collegare ai toponimi Tinnúra (Comune di T., OR), Tinnúras (Bonorva), Tinnurái (Arzana), Tínnaru (Chiaramonti), Tínniri (Bosa), Tunnuri (Lanusei), Donnúri (Orosei), Zinnuri (Bauladu, Barumini, Tramatza), Zinnuredda (Barumini, Bauladu), Sínnari (Abbasanta). Ciò premesso, probabilmente tutti questi toponimi sono da riportare al fitonimo t(h)innía, thinníga, tinníga, tzinní(g)a, sinníga «alfa, sparto, giunco marino», «giunco spinoso», «carice» (Lygeum spartum, Iuncus acutus, articulatus, bufonius, maritimus; Carex distachia, diversicolor, divisa) (tutte piante anticamente adoperate per fare stuoie, materassi, ceste e corde), ma con differente suffisso. Questo fitonimo è un relitto probabilmete presardiano e “mediterraneo” ed è da confrontare - non derivare - col berbero tsennît «sparto, alfa» (LISPR, NVLS).

Tintinnari (Cossoine): probabilmente «tintinnio, scampanio di sonagli delle greggi», da tintinnare «tintinnare», a sua volta dal lat. tintinnare (DILS, NVLS).

Típpiri, Típperi, su, (Bosa, Pozzomaggiore, Tresnuraghes): «il rosmarino»; típpiri, tzíppiri, síppiri probabilmente deriva dal punico zibbir, che lo Pseudo Apuleio (80, 31) attribuisce ai Punici (DILS, LISPR) e ancora probabilmente era conosciuto anche dagli Etruschi come sipir (DETR 376, LLE 167).

Tirialzu, Terialzu, lu/su, (frazione di Buddusò) - Il toponimo corrisponde all'appellativo tirialzu «ginestreto, sito di ginestre spinose» e deriva dal fitonimo o nome di pianta sardiano o protosardo t(h)ería, t(h)iría «ginestra spinosa, sparzio spinoso» (Calycotome villosa; FPS 49, RED 156). Questo probabilmente è da confrontare - non derivare - col greco atheréis «appuntito, acuto, spinoso», da athér «punta» (finora di origine ignota; GEW, DELG).

Tiriddái, Tiriddó(i) (Loiri, Padru) (NGAO) toponimi sardiani o protosardi (suffissoide e ossitonia), forse da connettere con teredda, theredda, tzeredda (f.) «elleboro» (Helleborus lividus Ait.; Nùoro, Villagrande Str.) (M. Maxia), il quale può derivare dal lat. veratrum «veratro, elleboro bianco» e precisamente da un diminutivo *veratr-ella, che sarà stato interpretato come vera *ter-ella, cioè "elleboro vero o genuino"; oppure può essere la retroformazione da un *billelleredda, diminutivo di billèllera «elleboro» (vedi) (M.P., NVLS).

Tirso, il fiume più lungo della Sardegna. Caput Tyrsi (Orune). Il cosiddetto «Itinerario di Antonino» - Itinerarium Provinciarum, compilato sotto l'imperatore M. Aurelio Antonino, detto "Caracalla" (211-217 d. C.) – indica in Sardegna anche un tracciato di strada che andava da Olbia a Caralis passando nella zona interna e montana dell’Isola e toccando queste tre mansioni o stazioni intermedie: Caput Tyrsi, Sorabile (Fonni) e Biora (Isili). Siccome Caput Tyrsi si deve ovviamente intendere come «Capo o sorgente del Tirso», è avvenuto che gli storici moderni della Sardegna abbiano identificato questa località con quelle che attualmente sono ritenute e chiamate «Sorgenti del Tirso», che sono presso la Punta Pianedda poco ad oriente di Buddusò. Sta però di fatto che nel sito di queste cosiddette “Sorgenti del Tirso” non è stato mai trovato alcun riscontro archeologico di uno stanziamento romano, che pure sarà stato ragguardevole, come non è stato trovato in nessuna delle altre località vicine, che di volta in volta è stata ritenuta e indicata come sede di quello stanziamento.- A mio avviso, gli accennati storici moderni sono stati fuorviati nelle loro ricerche da quella che è la odierna cartografia della Sardegna, soprattutto quella delle carte militari, la quale ormai ha anche assunto un carattere ufficiale, perfino fornita di precise valenze giuridiche. Senonché, prima che si affermasse e si imponesse la cartografia ufficiale moderna, in Sardegna, come dappertutto, gli uomini potevano avere ed avevano differenti modi di concepire e di denominare, ad es., un corso d’acqua. Considerato che l’odierno corso ufficiale del Tirso nella sua parte inziale si identifica con quello che localmente si chiama Riu ‘e su Campu «rivo del campo» di Osidda, non è affatto detto che gli antichi considerassero questo ramo del fiume come quello principale, bensì potevano ritenere che il corso iniziale del fiume Tirso si identificasse con quello che ora compare come un suo affluente di sinistra, il Riu Mannu di Benetutti, quello che nasce ai piedi della Punta Camoretta (metri 858) e del Monte Saralói (metri 853) poco a ovest e a sud di Bitti e che si unisce al corso del fiume nei pressi delle terme di San Saturno di Benetutti. Si deve considerare con attenzione che in effetti il Riu ‘e su Campu di Osidda non è più lungo né più largo né infine più ricco d’acqua del Riu Mannu di Benetutti, anzi, tutt’altro. Ragion per cui poteva ben succedere che gli antichi intendessero come corso iniziale del fiume Tirso non il Riu ‘e su Campu di Osidda, bensì il Riu Mannu di Benetutti: lo stesso significato di Riu Mannu = «rivo grande» deve pur avere un suo preciso e concreto valore. D’altronde nell’Ottocento Vittorio Angius ha presentato la fonte Abbas de frau «acque del fabbro oppure di Frau» (cognome), in agro di Bitti, a ponente, come la “prima urna del Tirso” (Casalis, II 360). Inoltre è un fatto che una vecchia tradizione dei Bittesi diceva che la fonte Abbas de frau era la sorgente del fiume Tirso.- Ovviamente questa mia potrebbe anche sembrare una semplice diatriba del tutto teorica ed astratta; senonchè essa diventa una considerazione veramente concreta e pratica per effetto di un notevole e importante ritrovamente archeologico che è stato effettuato di recente. In un sito già individuato e indicato da Antonio Taramelli presso la diruta chiesa di Sant’Efis nell’agro di Orune, denominato sas Muragaddas «le cataste di pietra, le rovine» (DILS, NVLS), ad iniziare dal 1992 gli archeologi hanno cominciato a scavare e hanno trovato un «insediamento romano assai esteso, circa 2 ettari, di tarda età imperiale». Fra gli altri materiali sono state rinvenute due monete, un follis bronzeo di Costantino coniato nel 316-317 e un solidus aureo di Valentiniano II coniato fra il 426 ed il 431 d. C. L’archeologo scavatore, il prof. Alessandro Teatini dell’Università di Sassari, ha intravisto e detto esplicitamente che l’insediamento da lui scavato è situato nella linea dell’antico tracciato romano di strada che andava da Olbia a Caralis, ma non ha saputo indicare per esso alcun nome. Ebbene, a mio giudizio, l’insediamento romano di Sant’Efis di Orune, che è situato non lontano dalla riva del citato riu Mannu, non era altro che la mansione di Caput Tyrsi indicata dall’«Itinerario di Antonino». E se ne deve trarre una prima conclusione: all’epoca della presenza dei Romani nella zona come corso iniziale del Tirso era considerato non il Riu ‘e su Campu di Osidda, bensì il Riu Mannu di Benetutti.- Per la durata dell’insediamento di Caput Tyrsi, a mio avviso, conosciamo due termini cronologici, quello iniziale e quello finale, anche se piuttosto generici: essi sono relativi al periodo della fondazione dell’insediamento e al periodo del probabile arrivo nel sito del culto di Sant’Efisio, noto martire sardo, decapitato a Nora durante la persecuzione di Diocleziano (303/305 d. C.). E precisamente il terminus ante quem è la data della compilazione del citato Itinerario di Antonino, anni 211-217 d. C., mentre il terminus post quem è il sec. VII d. C., non prima del quale, secondo la testimonianza del pontefice Gregorio Magno, il cristianesino è stato portato nelle zone interne dell’Isola, dunque in piena epoca bizantina. Pertanto la vita della mansione di Caput Tyrsi è certamente iniziata prima degli anni 211-217 d. C. (più avanti dirò quando) ed è durata almeno fino al sec. VII d. C., poniamo alla sua metà, anno 650 circa d. C.- A mio parere non sarà privo di significato il fatto che come santo patrono di Caput Tyrsi è stato scelto Sant’Efisio, il cui nome è richiamato anche dal toponimo Montricu ‘e su Márturu «Monticello del Martire», che è vicino alla chiesa: lo stanziamento aveva avuto origine da un presidio di militari romani (come inducono a ritenere anche alcuni ampi magazzini per derrate) e il martire cristiano di Nora era stato pur’esso un militare, anzi un ufficiale dell’esercito romano. Non solo, ma è perfino verosimile che la scelta di Sant’Efisio come santo patrono sia stata determinata anche dal probabile ricordo che si aveva ancora della circostanza che Efisio, quando era ufficiale, anzi comandante di un esercito romano, aveva combattuto e vinto – come narra la Passio del santo - una Barbarica quaedam gens. Insomma è verosimile che a Caput Tyrsi si mantenesse ancora il ricordo del fatto che proprio in questa guarnigione e addirittura al suo comando Efisio avesse combattuto e vinto i sempre ribelli Iliesi/Barbaricini. Su questo stesso argomento è significativo anche il fatto che il culto di Sant’Efisio è documentato pure a Bono, Siniscola e Talana, località della periferia della Barbagia.- Alla mia supposizione circa la probabile data di arrivo del culto di Sant’Efisio a Caput Tyrsi di Orune nel sec. VII non si oppone per nulla il fatto che i resti fino ad ora trovati della chiesa diruta riportino a un’epoca molto più recente, dato che è logico ritenere che il culto di questo martire sia durato ancora a lungo nel tempo, nonostante la scomparsa dello stanziamento umano di Caput Tyrsi. D’altronde lo stesso archeologo scavatore si è dichiarato convinto di poter trovare, sotto l’abbondante materiale di crollo, i resti o i segni della chiesa precedente ed originaria.- C’è infatti da ritenere che l’originario presidio militare di Caput Tyrsi non avrà tardato ad assumere il carattere di un normale stanziamento umano, dato che è indubitabile che i militari romani non avranno tardato a unirsi e a far figli con donne locali (cfr. Barbagia). Non costituisce inoltre una difficoltà il fatto che sino ad ora nel sito scavato non è stata trovata alcuna arma: in Barbagia le prime cose che spariscono sono appunto le armi.- La circostanza poi che nessuno dei documenti sardi del Medioevo citi mai quel centro abitato è un segno evidente che esso era ormai scomparso da qualche secolo.- Quale sarà stata la ragione della sua scomparsa? A mio avviso una di queste due: o il villaggio è stato abbandonato dai suoi abitanti perché troppo esposto al vento e al freddo dell’altipiano (il Montricu ‘e su Márturu è a 761 metri sul mare) oppure è stato distrutto da qualche peste, come è capitato nel passato per numerosi centri abitati dell’Isola. Comunque è probabile che qualche gruppo di abitanti di Caput Tyrsi si sia rifugiato nei vicini paesi di Orune, Nùoro e Bitti, offrendo in questo modo una adeguata spiegazione di quel vistoso e importante fatto linguistico che è il carattere genuino, arcaico e fortemente conservativo dei dialetti orunese, nuorese e bittese rispetto a tutti gli altri sardi e, a maggior ragione, rispetto a tutti i parlari neolatini o romanzi.- Sia questo carattere arcaico e conservativo dei dialetti di Orune, di Nùoro e di Bitti, sia una particolare circostanza archeologica e toponomastica ci offrono probabilmente la data quasi esatta della fondazione di Caput Tyrsi. Da una parte è un fatto quasi certo che i dialetti che tuttora si parlano nel Nuorese e nella Baronia sono da riportare alla lingua latina degli ultimi decenni della repubblica ed ai primi dell’impero; dall’altra parte la fondazione del forum/mansio Augusti (= Austis; vedi) nel cuore più centrale e più alto delle montagne dell’Isola ci assicura che qualche anno prima della morte di Augusto (14 d. C.) si è avuta la massima pressione effettuata da Roma contro i ribelli Iliesi/Barbaricini. E questo è avvenuto soprattutto negli otto anni in cui lo stesso Augusto avocò a sé l’amministrazione della provincia della Sardegna. Pertanto io sono dell’avviso che pure l’insediamento militare romano di Caput Tyrsi sia stato effettuato nella medesima circostanza ed operazione e nel medesimo torno di anni, cioè qualche anno prima del 14 d. C.- E probabilmente siamo anche in grado di individuare ed indicare in maniera quasi certa il centro militare dal quale sarà venuto il reparto che ha fondato Caput Tyrsi: considerato che nell’accampamento romano di Castra, fondato all’epoca di Augusto presso Oschiri (Meloni, Rom.² 310; Mastino, StSarAnt 543) è accertata la presenza di una III coorte di Aquitani e inoltre che un militare di questo reparto fu sepolto nell’altipiano di Bitti, come dimostra la sua iscrizione funeraria del I sec. d. C., se ne può legittimamente dedurre che il reparto che ha fondato Caput Tyrsi era un “distaccamento” appunto della III coorte di Aquitani. La qual cosa viene confermata da una circosanza che mi ha segnalato il mio collega Raimondo Turtas: in epoca medievale Orune apparteneva alla diocesi di Castra, diocesi fondata appunto in quell’importante centro militare.- Ma oltre che centro di operazioni militari, Caput Tyrsi sarà stato il principale centro di diffusione della latinità linguistica nell’intera zona circostante, dove ha lasciato anche questi stupefacenti relitti antroponomastici: Asproni, Biteddi, Calvisi, Curreli, Doschiane, Mameli, Marcheddine, Marongiu, Masuri, Monni, Prischiani, Serusi, Silveri, Useli, Valeri, Verachi, ecc., i quali sono da riportare ad altrettanti gentilizi o cognomina latini: Aspro,-onis, Vitellius, Calvisius, Cornelius o Currelius, Tuscianus, Mamelius, Marcellinus, Masurius, Maronius, Monnius, Priscianus, Selusius, Silverius, *Uselius, Valerius, Veracius, tutti - meno uno - nella forma del vocativo. Ancora stupefacente è, a qualche chilometro ad oriente di Sant’Efis e poco a nord di Orune, il toponimo Marte: ci sarà stata almeno un’edicola dedicata al dio romano della guerra da parte dei militari romani di Caput Tyrsi.- Sono infine da fare alcune precisazioni: I) Le miglia di distanza di Caput Tyrsi da Olbia e da Sorabile indicate dall’Itinerario di Antonino (rispettivam. XL e XLV) non sono in grado né di confermare né di smentire la localizzazione della mansione, dato che purtroppo le indicazioni numeriche fornite dal testo conservatoci dell’Itinerario Antoniniano spesso risultano guaste. II) Siccome nel sardo odierno il vocabolo márture, márturu significa solamente «invalido, disabile, paralitico, pigro» (DILS, NVLS), se ne deve dedurre – come mi ha suggerito ancora il collega R. Turtas – che nel toponimo su Márturu vicino alla chiesa di Sant’Efis di Orune si conservi ancora il suo significato originario di «il Martire». III) La forma dell’antroponimo Efis sarà derivata da *Efisi, vocativo di Efisius, con la successiva caduta della finale –i in quanto scambiata per una vocale paragogica od epitetica (GSI pg. 26). IV) Il culto di Sant’Efis era conosciuto anche a Bono, nell’altro versante della valle del Tirso, nel cui territorio esiste un toponimo Martíriu «martirio», che è un evidente cultismo più recente di su Márturu di Orune, ma che probabilmente è anch’esso da riportare al locale culto di Sant’Efis. E anche Bono – mi ha precisato ancora R. Turtas – nel Medioevo apparteneva alla diocesi di Castra. 

Tischiddesu (Torralba) probabilmente «scintillante, che sprizza scintille» (detto di un ruscello che provoca scintille con qualche cascatella); oppure «smorfioso, ritroso», soprannome del proprietario del predio (cfr. schinciddosu «smorfioso, ritroso»; DILS, NVLS). 

Tisiènnari (frazione di Bortigiadas) (a Perfugas i vecchi pronunziano Tisiènnero) - Il toponimo indica una lunga fascia di terreno sulla riva del fiume Coghinas, in agro di Bortigiadas (M. Maxia). Si tratta di un toponimo sardiano o protosardo (suff. -enn- e plur.), da confrontare – non derivare – con l’appellativo lat. trasenna, transenna «transenna, grata, staccionata, steccato» (già prospettato come di origine etrusca; DELL, ESL 425) col probabile significato di «staccionate delle peschiere» (DETR 411; DICLE 177, LIOE). 

Tissi (Comune di T., SS). L’abitante Tissesu - Per questo toponimo, che trova corrispondenza soltanto con l'altro di Nùoro Ortu 'e Tissi «Orto di Tissi», è abbastanza verosimile questa spiegazione etimologica: potrebbe derivare dal gentilizio lat. Tissius (RNG) (in caso vocativo) di un proprietario romano, padrone di una villa «tenuta o fattoria» (UNS 174 e ONT 139).- Il nostro toponimo compare, sempre nella forma di Tissi, nel Condaghe di Silki (CSPS 11, 182) e nel Condaghe di Trullas (CSNT² 15, 272), nel Codice Diplomatico delle relazioni fra la Santa Sede e la Sardegna (CDSS I 256), negli elenchi delle parrocchie della diocesi di Torres che nella metà del sec. XIV versavano le decime alla curia romana (RDS 103, 777, 1715, 1741). Per gli anni 1580-1589 G. F. Fara, Chorographia Sardiniae (172.2) lo cita come villaggio distrutto.

Toa, sa, (Chiaramonti, Loiri, Olbia, S. Maria Coghinas): pansardo «il salice»; attoa, toa, thoa, t(h)oba, thoga, thova, toga, tova, (a)tzoa, sciova «salice cinerino, vetrice» (Salix atrocinerea, S. viminalis L.); toponimo Tòvara (Olzai), Sòvana Oliena) (suffissi); relitto sardiano o protosardo probabilmente da confrontare – non derivare - col greco itéa «salice» (indeur.; GEW, DELG, NPRA) (ONT 139, LISPR). Vedi la Tova.

Todorache – Antico villaggio della diocesi di Sorres, a sud-est di Mores, ormai scomparso. È fra i villaggi che nella metà del sec. XIV versavano le decime alla curia romana (RDS 119, 1702, 1997) e risulta tra i villaggi che sottoscrissero l'atto di pace fra Eleonora d'Arborea e Giovanni d'Aragona del 1388 (CDS I 833) ed è citato ripetutamente nel Codice di Sorres. «Venne distrutto da peste nel 1652, come da un’iscrizione in lingua sarda» (G. Spano, Bullettino Archeologico sardo, I, 1855, pag. 143; VSG 115).- Il toponimo deriva chiaramente dal nome personale bizantino Theodōrákis, diminutivo di Theódōros «Teodoro». Sarà stato il nome del proprietario bizantino di una villa o «tenuta» oppure il comandante di un presidio militare bizantino stanziato nel sito (Day 104). Un toponimo Todoracche esiste anche presso Bottidda. Cfr. Ozieri, Ploaghe

Tola (sa Dola) - Zona pianeggiante tra Ardara, Mores e Ozieri, il cui nome corrisponde agli altri due toponimi sa Tola (Lunamatrona e Orune) ed è da riportare all'appellativo tola, tzola «tavoletta», «stecca di legno che si appende alla placenta di una bestia che ha partorito e tarda ad eliminarla» (Nùoro), probabilmente relitto sardiano o protosardo da confrontare – non derivare – col lat. tabula, taula «tavola» (di origine ignota; DELL) e con l'ital. antico e dial. tola «tavoletta di legno» (M.P.). Vedi toponimi sa Tola (Lunamatrona), Toladina (Sennori), Tolidda (Nule), Tolesi (Lodine), Tollínnoro (Nughedu S. Vittoria), Tolino/u (Noragugume, Sedilo, Siurgus, Sorradíle), Tolóriu (Uri), Tolosa (Tíana).- Il coronimo risulta documentato nel Codex Diplomaticus Sardiniae (CDS II 57/1) in un documento dell'anno 1420. 

Tolovò (Bolotana, Ozieri): toponimo sardiano o protosardo (vocali iterate, ossitonia), da connettere con tholove «leggero strato di neve sulla campagna», probabilmente anche «brina» (Orgosolo): relitto sardiano, per il quale non ho trovato alcun riscontro in altre lingue da me conosciute. Vedi Tolovái (Nùoro), Solovái (Orotelli), Tolovisco (Tiana; cfr. ital. nevischio).

Tònnoro, Tònnaro (Nughedu S. N.): toponimo sardiano o protosardo (vocali iterate) da riportare a tóneri, tonéri, tónneri, tón(n)iri, ton(n)i «isolato rilievo tabulare dolomitico» (Tonara, Urzulei, Arzana, Seui), (Villagrande Str.) «parete a picco» (tipico dell'Ogliastra e della Barbagia, ma non solo). Vedi Tonara (Comune di T., NU).

Topói (Padria): toponimo sardiano o protosardo (suffissoide) probabilmente da connettere con l’appellativo tope, toppe, top(p)i «topo», che è da confrontare – non derivare – con l’ital. topo, di origine incerta.

Torpè (Comune di T., NU). L’abitante Torpeínu - In base a due spie strutturali siamo sicuri che si tratta di un toponimo sardiano o protosardo: 1ª) L'accento sull'ultima sillaba, come in Alá, Azzanì, Barì, Belvì, Bidonì, Buddusò, Gonnosnò, Lodè, Oviddè, Senorbì, Soddì, Tiriddò, ecc.; 2ª) Il suff. -ínu dell'etnico Torpeínu, uguale a quello di Alaínu, Aritzinu, Buddusoínu, Lanuseínu, Lodeínu, Oroseínu, Trieddinu, Urzuleínu, ecc. (UNS 215).- La più antica attestazione di questo villaggio si ha nel Liber fondachi (LF 257, 264), una prima volta come Torpe, una seconda come Sorpe. In quest'ultima forma compare anche negli elenchi dei villaggi della diocesi di Galtellì che versavano le decime alla curia romana nella metà del sec. XIV (RDS 2000, 2051, 2254, 2265). Evidentemente le forme del toponimo Torpè e Sorpè vengono mediate da una forma intermedia Thorpè (realmente documentata). Ciò premesso, dico che esiste una certa probabilità che il toponimo Torpè/Thorpè/Sorpè sia da confrontare - non derivare - col fitonimo o nome di pianta lat. sorbus «sorbo» (Sorbus domestica L.), il quale è di origine incerta (DEI, DELI), ma probabilmente è un “fitonimo mediterraneo” (cfr. Sorbitzo, Tonara).- Nelle citate Rationes Decimarum Italiae, Sardinia (RDS) il villaggio risulta con la precisazione prope Posatam o de Posata per essere distinto da un altro Torpè, che esisteva fino al sec. XVII presso Galtellì, alla confluenza del fiume Sòlogo col Cedrino e che attualmente è chiamato Thorpè Ispertu = «Torpè distrutto».- Torpè di Posada è ancora citato nella Chorographia Sardiniae (222.22) di G. F. Fara (anni 1580-1589) come oppidum Torpei del Giudicato di Gallura.- Molto interessante è la circostanza che a Pisa sia venerato un San Torpè, al quale è tuttora dedicata una grande chiesa situata presso la Piazza dei Miracoli, vicino ai cosiddetti «Bagni di Nerone». Si tratta di un santo che sarebbe stato martirizzato presso la foce dell'Arno al tempo di Nerone e che è venerato pure in altre località della Toscana e anche nella Provenza, dove avrebbe dato il nome alla famosa cittadina di Saint Tropez. Già nel 1977 era stato ipotizzato che questo santo e il suo culto fossero originari del villaggio sardo di Torpè (cfr. Mahmoud Salem Elsheikh, La Leggenda di San Torpè, Firenze 1977, pg. 8); ipotesi che nel 1983 avevo fatto pure io in maniera indipendente, dato che allora non conoscevo questa pubblicazione (CHS num. 16). Però io preciso che è da escludersi che questo santo sia stato martirizzato in Sardegna, dato che il suo culto non è affatto conosciuto nell'Isola. Se questa ricostruzione è esatta - come sembra abbastanza probabile - allora si può concludere dicendo che la Sardegna ha dato i natali anche a un altro santo di Pisa, oltre a quello più famoso, San Rossore, che non è altro che il sardo Santu Lussúriu (vedi S. Lussurgiu). Ed è appena da accennare al fatto che esiste un sobborgo di Pisa, Barbaricina o Barbarigina, così denominato da un antico stanziamento di Sardi (G. Malagoli, Vocabolario pisano, Firenze 1939, pg. 36) e dove c’è stata una lunga tradizione di allevamento di cavalli. 

Torra (Anela, Loiri) (NGAO) «torre» (riferito a un nuraghe ivi esistente), che deriva dall’ant- ital. torra (GDLI). Oppure è da connettere con Sorra (Sassari/Sorso). 

Torralba (localmente Turáivva) (Comune di T., SS). L’abitante Turaivvesu - Il toponimo per se stesso costituisce la traduzione italiana del sardo Turralba, che compare per la prima volta nel Codex Diplomaticus Sardiniae in un documento del sec. XI (CDS I 152/1) e che significa «Torre Bianca», dal lat. turre(m) alba(m). Dalla denominazione di questo villaggio si comprende che in antico esisteva nel suo sito un "nuraghe bianco", cioè costruito con pietra calcarea: ed è irrilevante che di questo nuraghe attualmente non resti nulla, dato che - come molti sappiamo - a lungo i Sardi purtroppo hanno considerato i nuraghi nient'altro che cave di pietre a disposizione di tutti ed a buon mercato... (cfr. Turri, Turris Libisonis).- Attestazione molto antica del toponimo è quella del Condaghe di Trullas come Turalba, Turalva (CSNT² 119, 236).- Il villaggio è citato anche nel Codice Diplomatico delle relazioni fra la Santa Sede e la Sardegna (CDSS I 411), compare fra le parrocchie della diocesi di Sorres che nella metà del sec. XIV versavano le decime alla curia romana (RDS 125, 1696, 2028, 2099, 2719), è citato fra i villaggi che sottoscrissero la pace tra Eleonora d'Arborea e Giovanni d'Aragona del 1388 (CDS I 840/1) ed è citato numerose volte nel quattrocentesco Codice di Sorres (CSorr). Inoltre è ricordato nella Chorographia Sardiniae (128.7,11; 174.12) di G. F. Fara (anni 1580-1589) come oppidum Torralbae. 

Tova, la, (Loiri) (NGAO) variante di sa Toa (vedi).

Tòvaru (Tergu) «budello»; tòpparu, dòbbaru, dròbbalu, tròbbaru, stróppalu «intestino crasso», «intestino retto del porco», «budello, ventre, stomaco»; tòpparos, tòpporos «budella»; (Bitti, Lodè) topporoddone «grassone, ciccione, individuo grasso» (suff. -odd-); cognome mediev. Topparu (CSPS), Toparu/o (CSMS); toponimi su Dòvaru (Mamoiada, Orgosolo), Toporo (Montresta, Romana): relitto sardiano o protosardo, probabilmente da confrontare – non derivare - con l'ital. trippa «pancia, ventre» (di origine incerta; DELI, Etim) (M.P., LISPR, NVLS). 

Tozza (tz), la, (frazione di Badesi) - Probabilmente questo toponimo corrisponde all'appellativo còrso tózza «macigno, masso, grossa pietra»; ed effettivamente la collina indicata dal toponimo è di struttura rocciosa e probabilmente sarà stata sormontata da un grosso macigno (M. Maxia, NLAC).

Traccone, su, (Ozieri): probabilmente variante di traccale «grosso ramo divelto da un albero» (Lodè, Orune), da traccare «fendere, incrinare», probabilmente vocabolo onomatopeico (DILS, NVLS) (M.P.).

Traínu Moltu (frazione di Olbia) - Il toponimo significa «Torrente morto», cioè "impantanato". Il log. traínu, nuorese traghínu «torrente» è un deverbale del lat. *traginare (DILS 930); l'aggettivo moltu «morto» costituisce lo sviluppo normale di mortu in quella zona (NGAO). 

Tramariglio (algherese Tramerill) (frazione di Alghero) - Il toponimo deriva chiaramente dal lat. tamarix,-icis «tamerice», arrivato però in Sardegna attraverso la mediazione catalana o spagnola. La località è citata dalla Chorographia Sardiniae (96.26) di G. F. Fara (anni 1580-1589) come statio Tamaricis. 

Tramentu (Ozieri): tramentu, trementu, trumentu, trom(m)entu «color nero, sostanza nera, buio pesto, nicotina della pipa», che deriva dal lat. atramentu(m) «qualsiasi liquido nero» (DILS; UNS 219). Potrebbe essere il sopranome del proprietario del predio.

Trinità d'Agultu (localmente anche Trinitái) (Comune di T., Gallura) - «Borgata sorta in questi ultimi centocinquant'anni, ad opera di contadini e pastori in prevalenza aggesi, presso le chiese della SS.ma Trinità e di S. Pietro Martire» (Dionigi Panedda, GG 257).- Il primo componente del toponimo Trinità deriva dal corrispondente vocabolo toscano; il secondo componente Agultu deriva, con la deglutinazione del supposto articolo determinativo, da un precedente toponimo medievale Laghustu, che è citato in un documento dell'anno 1421 e che insisteva nel medesimo sito (GG 264). È molto probabile che Laghustu derivi dal lat. locusta, *lacusta «locusta, cavalletta», al singolare ma con valore collettivo di «le cavallette». E c'è da precisare che anche in altre parlate romanze il lat. locusta, *lacusta, da femm. che era, è diventato di genere masch. (REW 5098).- È dunque probabile che in origine Laghustu, l'Agustu, l'Agultu abbia derivato la sua denominazione dalla particolare presenza - anche saltuaria - di cavallette nel sito in cui l’abitato è sorto. 

Trógliu, lu, (Castelsardo) «trògolo, vasca», «fosso attiguo a una fonte per raccoglierne l'acqua da annacquare»; toponimo Trollòi (Baressa), Trolèi (Talana) (suffissoidi); appellativo sardiano o protosardo da connettere con túrgalu «trògolo, vasca» (M.P., NVLS). Cfr. Tulgaru.

Trovodda (Perfugas) «verbasco»; trobodda, trovodda, troffodda, trivodda, travodda, troodda, trodda, (Bitti, Orune) istrodda, truvedda «verbasco, tasso barbasso» (Verbascum thapsus L.) pianta adoperata per "turbare" o avvelenare l'acqua delle pozze dei fiumi e "stordire" i pesci per catturarli; toponimi Trobeddái (Usellus, sorgente), Truvuddái (Ilbono) (suffissoide): probabilmente relitto sardiano o protosardo da confrontare – non derivare - col greco tyrbē e col lat. turba «turbamento, disordine, confusione» (di origine ignota; GEW, DELG, DELL, AEI, DELI²). Per difficoltà fonetiche il fitonimo sardo non può derivare da quello latino; invece la variante trubiscu «verbasco» può senz'altro derivare dal lat. turbiscus (DES II 530), proprio come turbare. È dunque probabile che una radice *turb-, *torb- «turbare» esistesse già in Sardegna, nella lingua sardiana o protosarda, prima che i Romani vi portassero i loro turbare e turbiscus (M.P., DILS, LISPR, NVLS).

Trudda (frazione di Loiri) - Molto probabilmente il toponimo è il soprannome oppure il cognome del proprietario di uno stazzo o di un predio, soprannome o cognome che corrisponde all'appellativo log. trudda «mestolo di legno per latte o farina», il quale deriva dal lat. trulla (NGAO; CSSO; DILS). Vedi Trullas.

Truddíu (Nulvi) corrisponde all’appellativo trullío/u, drullío (Bono, Bortigali, Nùoro, Ollolai, Orgosolo), turrío (Fonni) «mulinello d'aria, piccolo vortice», «spirito maligno»; (Dorgali, Orgosolo) trullíu «fiore della ferula» [che avrebbe proprietà afrodisiache (VIN 232), cioè “conturbanti”, che probabilmente è da confrontare – non derivare – col greco tyrbē e col lat. turba «turbamento, disordine, confusione» (di origine ignota; GEW, DELG, DELL, AEI, DELI). Vedi toponimi Trullío (Irgoli), Trulliu (Bono). Forse è da connettere – non derivare – con l’ital. intruglio, che è di origine incerta. 

Trullas, San Nicola di Trullas (Semestene) - Chiesa nei pressi di Semestene, alla quale in età medievale era annesso un monastero. In questo monastero, di cui adesso restano solamente miseri resti, è stato composto il famoso Condaghe di San Nicola di Trullas, che è un importantissimo documento della lingua sarda in età medievale.- Il toponimo Trullas significa «mestoli di legno per latte o farina» (al plur.) e deriva chiaramente dal lat. trulla (DILS); però non si intravede la ragione di una tale denominazione del sito. Potrebbe trattarsi del cognome o del soprannome di una famiglia proprietaria di terreni nella zona. Vedi Trudda.

Truncu Reale (Sassari) - Questo toponimo composito è la semplice traduzione della locuzione italiana Tronco Reale, con la quale si indicava il tratto o "tronco" delle Ferrovie Reali o Statali che collegava Sassari e Porto Torres.

Túddari, Túdderi (Tergu) probabilmente «germogli» (plur.), da connettere con l’appellativo athudda, (at)tudda, tzudda «sétola», «pipita delle unghie», «pelle d'oca»; (log.) tudda anche «germoglio, pollone»; relitto sardiano o protosardo da confrontare col lat. s(a)eta, s(a)etula «sétola, pelo duro ruvido, irsuto», «crine di cavallo» (di origine incerta; DELL, AEI, DELI). L'appellativo sardo presuppone una base *s(a)etulla (cfr. gentilizio lat. Setulius, Setullius), con la caduta della consonante iniziale perché confusa con quella dell'articolo su, sa. Toponimi Tuddái (Arzana), Túdderi (Osilo), Túddighi (Sedini), Tuddunele (Bitti) (suffissi e suffissoidi) (M.P., LISPR, NVLS).

Túddighi (Sedini) probabilmente «sito di germogli», da tuddu, thuddu «capello, ciuffo, ciocca di capelli», «filo d'erba, germoglio delle patate, pollone», da tuddire «germogliare» (M.P., NVLS). Vedi Túdighe (Bulzi), Túddari (Tergu). 

Tula (Comune di T., SS), l’abitante Tulesu - Del nome di questo villaggio sono ugualmente plausibili due spiegazioni etimologiche: 1ª) Può corrispondere all'appellativo tula, tulla, tulixedda «aiola, semenzaio, riquadro di terreno lavorato, ciglione del solco, porca» (log. e camp.), (Cuglieri) «terreno che si può seminare in un solo giorno» (probabilmente questo appellativo è la retroformazione dell'altro tuledda, tauledda, táula «semenzaio», che deriva dal lat. tabula, *taula «riquadro di terreno, di vigna», «quadro», «tavola»; DILS, NVLS). 2ª) Può corrispondere al gentilizio lat. Tula (RNG) di un proprietario romano di una villa o tenuta o fattoria.- La più antica attestazione del villaggio si trova nel Condaghe di Silki (CSPS 329, 392), poi compare una volta negli elenchi dei villaggi della diocesi di Bisarcio che nella metà del sec. XIV versavano le decime alla curia romana (RDS 266). Ed è citato nella Chorographia Sardiniae (184.32) di G. F. Fara (anni 1580-1589) come oppidum Tulae. Vedi Punta Tulena.

Tulchis, su, (Chiaramonti, Martis, Perfugas) indica la «Daphne gnidium L.», letteralmente «l’(arbusto) dolce», antifrasi ironica perché in realtà è molto amaro (NPS 175), fitonimo sardiano o protosardo da confrontare – non derivare – col lat. dulcis,-e «dolce», che è di origine ignota (DELL, DELI). Vedi Badu ‘e dulche (Bosa), su Durche (Nùoro), Durchènnere (Bitti; suffisso), Thurche (Lodè), su Turchi (Bottidda), Túrchiu (Illorai), Ulchis (Alà), Thúrciu (Orani), Tutturchi (Scano M.), Tuturchis (Bortigali), su Tutturche (Osilo), su Tuttulche (Bonorva), Thuthurchi o Tzutzurchi (Bitti/Onanì) (le ultime forme sono precedute dall’articolo sardiano agglutinato). A Lollove (Nùoro) tutturchi (m.) significa, per confusione, «euforbia» (BNI 324; VIN 221) (M.P.).

Tulena (Laerru) vedi Punta Tulena.  

Tulgaru (Villanova Monteleone): corrisponde all’appellativo túrgalu, thúrgalu, dúrgalu «trògolo scavato in un tronco», «canale,-one; spaccatura nel suolo; solco scavato sul terreno dall'acqua piovana; rigagnolo temporaneo; scroscio d'acqua, acquazzone; corrente d'aria»; (Ollolai) thurgále «pantano, luogo acquitrinoso»; (Oliena) trúbulu «rigagnolo temporaneo»; (Mamoiada) troccale «gettito d'acqua»; trógliu, trólliu, drógliu «trògolo, vasca», «fosso attiguo a una fonte per raccoglierne l'acqua con cui annacquare», «sorgente, polla d'acqua»; toponimi Dorgáli (propriamente Durgále; Comune di D.), Durgali (Benetutti-Orune, fontana), ríu Dorgone (Urzulei), Durghililèo (Nùoro), Durgulavò (Urzulei), Drugali (Sinnai), Drugalis (Nurri), Trucullè (Ilbono), Truculu (Osini), Truquthula (Mamoiada), Bacu Trungalu (Baunei), Baccu Trugalliu (S. Vito), Dorgolithonno (= Dorgoli ‘e thonno?) (Sarule), Trolèi (Talana), Trollòi (Baressa) (ossitonnia, suffissi e suffissoidi); tutti relitti sardiani o protosardi da confrontare col longobardo trog (tedesco moderno Trog «trogolo») (M.P., DILS, LISPR, NVLS). Vedi Trógliu.

Túnchiu, su, (Chiaramonti) corrisponde all’appellativo túnchiu, thúnchiu, thuntzu, túnciu, tzúnchiu «gemito, singhiozzo, lamento continuo, grido sommesso»; thúnchiu «sorta di tamburello con una sola membrana, dalla quale parte una corda che, fatta strisciare fra le dita, provoca un suono lugubre» (usato la notte per spaventare la gente e pure il bestiame, diffuso in tutta l’Isola e pure in Corsica), vocabolo di natura imitativa.

Tungoni (Loiri, Viddalba) - Questo toponimo significa «fondovalle» ed è l'accrescitivo del log. sett. e gallur. túngu «fondo di canale a sacco» (NGAO, NLAC), il quale può essere o una forma metatetica di fundu «fondo, fondale», dal lat. fundus (cfr. affungare «affondare»; DES I 557-558), oppure un relitto sardiasno o protosardo, soltanto affine geneticamente col citato vocabolo latino, che è di origine incerta (DELL) (M.P., DILS, NVLS).

Túnisi (Castelsardo) probabilmente cognome del proprietario del predio, il quale: 1°) può corrispondere al nome del villaggio mediev. Tune, Tunis, in territorio di Narbolia (OR) presso il nuraghe Tunis (Terrosu Asole 14), documentato nei Condaghi di Trullas e di Bonarcado; 2°) può corrispondere al nome della città di Tunis (Codice di Sorres 248), cioè Tunisi, capitale della Tunisia, con la caduta della vocale finale perché erroneamente interpretata come paragogica. In entrambi i casi probabilmente il cognome in origine indicava la nascita di un individuo in una di quelle due località.

Tuppía, Toppía, sa, (Olbia) (NGAO) «la zona di cespugli», da tuppa, thuppa «macchia di sottobosco, cespuglio molto intricato, boscaglia» (LS 342). Cfr. Tupòi (San Nicolò Gerrei); Tuppái, Tuppúi (Lula), Tipòi (Orroli), Topói (Padria) (suffissi e suffissoidi), probabilmente relitto sardiano o protosardo da confrontare – non derivare – col lat. tufa «cespuglio, pennacchio di fronde» (di origine ignota) (M.P., NVLS).

Turighinu, su, (Chiaramonti) «il viottolino di campagna», che deriva dal log. (g)utturinu, diminutivo di (g)útturu «viottolo, vicolo».

Turrícula (Castelsardo) «torretta», dimiutivo del lat. turris

Turris Libisonis (odierno Porto Torres) - Il primo componente del toponimo è chiaramente l'appellativo lat. turris «torre», ma molto probabilmente costituisce la traduzione di un precedente vocabolo nurache, nuraghe. Col che intendo sostenere che è molto probabile che il centro abitato derivasse la sua denominazione da un nuraghe che costituiva l’«edificio cerimoniale, religioso e politico-amministrativo» della sua popolazione. È del tutto irrilevante il fatto che di questo nuraghe sembra che attualmente non esista alcuna traccia, dato che purtroppo per lungo tempo in tutta l'Isola molti nuraghi sono stati distrutti da privati cittadini per usarne il materiale litico per la costruzione delle loro abitazioni (vedi Torralba). D'altronde in quest’ordine di cose non è privo di significato il fatto che l'odierno Porto Torres è tutto circondato di nuraghi e di tombe nuragiche.- Si deve dunque con buona verosimiglianza pensare ad una fondazione del centro abitato da parte degli antichi Protosardi o Nuragici. Non si può infatti accettare l'idea che essi non potessero avere interesse al sito. Questo era caratterizzato dall'estuario del riu Mannu, che ne costituiva il sicuro porto naturale, situato di fronte ad un golfo pescoso e inoltre aperto ai contatti con le terre della Corsica, dell'Iberia, della Gallia e della Liguria e soprattutto situato di fronte alla "rotta fluviale dello stagno e dell'ambra", che portava questi minerali nel Mediterraneo dalle regioni del Mare del Nord e del Baltico attraverso i fiumi Senna e Rodano (StSN § 58).- L'altro componente Libisonis si rivela come propriamente sardiano o protosardo, sia per il suff. -on-, sia per la sua corrispondenza con la città della Bitinia Libyssa, nell'Asia Minore, cioè nella regione di origine dei Nuragici (cfr. Sardegna, Sardara, Serdiana).- Le più antiche citazioni di Turris Libisonis vanno dall'età del primo impero sino alla sua fine e precisamente si trovano in Plinio (Nat. Hist, III 85), in Tolomeo (III 3, 5), nell'«Itinerario di Antonino» (83, 5), nella Tabula Peutingheriana, nella Descriptio orbis Romani di Giorgio Ciprio (ediz. Gelzer, pg. 3), nell'Anonimo Ravennate, in Guidone e in Leone il Sapiente (Patrologia Graeca, CVII c. 344). Però Turris o Turres è documentato anche da numerose pietre miliarie, che lo citano come punto terminale della principale strada romana che andava da Caralis a Turris appunto.- Circa 15 anni fa è stata rinvenuta a Porto Torres, nell’Atrio Metropoli della basilica di San Gavino, un’iscrizione latino-cristiana, la quale è molto importante sia per la sua valenza epigrafico-linguistica sia perché è una delle più antiche testimonianze epigrafiche dell’esitenza di cristiani in Sardegna. Il testo dell’iscrizione è il seguente: B[D]M. M ATERE / AVXILIVM PEREGRI / NORVM SAEPE QVEM / CENSVIT VVLGVS / IPSI QVOQVE POPVLO HV / MANA VITA LVCENDO / TRIBVIT INTRIPIDE VT OM / NES PRO PROLES HABERET / EXITIVM NEC TIMVIT / SED VICIT IN OMNIA CHRIS / CVI LVX ERIT PERENNI / CIRCVLO FVLCENS / QVEM MATRVM AVT IN / OPVM DECERNERAT IPSE PA / RENTEM. VNDE DVLCI / CONPARI IVGALIS TALIA FATVR / VIXIT ANNIS LXX M III / D XV / QVI RECESSIT X KAL / MAI. Che traduco «Di buona memoria. M(arco) Ater E(quite) (fu) quello che il popolo spesso giudicò (essere) l’aiuto dei forestieri. A questo stesso popolo lucendo durante la vita terrena distribuì con larghezza come se avesse tutti come (sua) prole. Né temette la morte, ma vinse tutte le prove in Cris(to), al quale sarà luce fulgente con perenne corona. (Fu) quello che lo stesso (Cristo) aveva decretato (che fosse) padre delle madri (vedove) o degli indigenti. Perciò la consorte tali cose dice per il dolce compagno. Visse anni 70 mesi 3 giorni 15. Il quale morì il 22 aprile». [I primi illustratori dell’iscrizione hanno invece interpretato che il defunto fosse una donna Matera, sorvolando però sul fatto che un nome femm. come questo non si ritrova nella antroponimia romana e soprattutto che i pronomi QVI e QVEM sono al maschile e non al femminile!. E neppure la data dell’iscrizione, che è stata prospettata per la fine del sec. IV d. C. (ossia per l’epoca di Teodosio il Grande) mi sembra che si possa accettare; a mio avviso si deve pensare a parecchi decenni dopo, cioè soltanto quando il cristianesimo si era imposto in tutto l’Occidente e a Porto Torres si era affermato il culto dei martiri Gavino, Proto e Gianuario].- Turres o Torres è citato in numerosi documenti medievali, dato che era diventato la capitale del Giudicato di Torres o del Logudoro e della relativa diocesi.

Turrumpis (Chiaramonti) «biscia»; (log.) tzorrompi «colubro, biscia», (Olzai) tzorrompis «lucertola», (Orune) tzurrumpis «formichetta»; antroponimo mediev. Zurrumpis, Zor(r)ompis (CSMB 24, 25, 178, 179, 190; CV XIV 3), Zurrumpa (CDS I 355) (alternanza ó/ú): relitto sardiano o protosardo probabilmente da connettere – non derivare – col lat. parlato *serpes (indeur.) (M. Maxia, M. Pittau). Vedi Funtana turrumpu (Chiaramonti).

Turundu (Laerru, Nulvi) «(monte) rotondo», da rodundu, rudundu-a «rotondo-a», a sua volta dal lat. rotundus (DILS). 

Túscano (Pozzomaggiore), Túscana (Bottidda): derivano dal corrispondente etnico italiano, con ritrazione dell’accento; avrà indicato un tagliaboschi toscano e la sua donna.

Tutturche, su, (Osilo), su Tuttulche (Bonorva), Tutturchi (Scano M.), toponimi da riportare all’altro Tulchis (vedi).

Tuvarággiu (Sorso) «sito dell’erica scoparia», da túvara, túvera, túffera, túora, úvvara «erica» (Erica scoparia, Erica arborea L.); toponimi Tuvarái (Isili, Jerzu), Tuvaranèle o Tuvaramèle o Tavaramèle (Oliena) (suff. e suffissoide): relitto probabilmente presardiano e quindi di "matrice mediterranea" (M.P., NVLS).

Túvaru, su, (Pattada): probabilmente = túvara «specie di tartufo» oppure «erica» (Erica scoparia, Erica arborea L.) (i due significati del fitonimo si spiegano col fatto che anche l'erica ha una radice formata da ciocchi; FPS 93, AAS); relitto sardiano o protosardo da confrontare – non derivare - col lat. tuber, tufer,-eris, tubera, tuffera (Gloss., ThLL VI 1591), che è di origine incerta (DELL, DELI) e quindi di probabile matrice "mediterranea" (M.P.). Cfr. Tuvarái (Isili, Jerzu), Tuvaranele (Oliena).

Túvina (S. Maria Coghinas) forse «zona di cespugli», dal log. tuvu «sito cespuglioso», a sua volta dal lat. tufa «cespuglio, pennacchio di fronde» (DILS, NVLS); oppure da tuvu «buco, cavo o cavità su roccia o su albero», «scoscendimento, dirupo», a sua volta dal lat. *tufus forma osca di tubus (M.P., DILS, NVLS).

Tuvitzoni (S. Maria Coghinas, Sedini, Viddalba) «grande sito cespuglioso», accrescitivo del log. tuvu «sito cespuglioso», che deriva dal lat. tufa «cespuglio, pennacchio di fronde»; oppure da tuvu «buco, cavo o cavità su roccia o su albero», «scoscendimento, dirupo», a sua voltadal lat. *tufus forma osca di tubus (DILS, NVLS). 

Tuvone, su, lu Tuvoni (Olbia) (NGAO) «il grande sito cespuglioso», oppure accrescitivo di tuvu «buco, cavo o cavità su roccia o su albero», «scoscendimento, dirupo», a sua volta dal lat. *tufus forma osca di tubus (DILS, NVLS).

Tuvu, lu, su, (Badesi, Sedini, S. Maria Coghinas, Telti) (NGAO) «il sito cespuglioso»; log. tuvu dal lat. tufa «cespuglio, pennacchio di fronde» (DILS); oppure tuvu «buco, cavo o cavità su roccia o su albero», «scoscendimento, dirupo», dal lat. *tufus forma osca di tubus (M.P., DILS, NVLS).

Tuvuleddu (Chiaramonti) «piccoli alveari» (sing. collettivo), diminutivo di Túvulu. 

Túvulu majore/i (Olbia) (NGAO) «alveari maggiori» (sing. collettivo); túbulu, túvulu, túgulu, túulu, tulu «alveare, arnia» (gli alveari rustici sardi sono costituiti da un pezzo di corteccia di sughero a forma di tubo), che deriva dal lat. tubulus diminutivo di tubus «tubo» (M.P., DILS, NVLS).

Tzangarru (Chiaramonti) «zoppo», soprannome del proprietario del predio; tzancarru «zoppo, sciancato» (Dorgali, Nùoro), da tzancu «zoppo» (M.P., DILS, NVLS).

Tzicculèa (Castelsardo) forse «gocciolio», da tziccu ‘e l’ea «goccia dell’acqua» (M. Maxia).

Tzilvara (Badesi) probabilmente «sito di cervi» (M. Maxia).

Údduri, Úddule (Nughedu S. N.): búddaru, (b)údduru, budduri(u), (b)uddúri(gu), biddúri, gúdduru «cicuta» (Conium maculatum L.) (adoperata per avvelenare le pozze dei fiumi e prendere i pesci storditi); relitto sardiano o protosardo, probabilmente da confrontare – non derivare - col tosc. bìlleri «varietà di nasturzio» (già indiziato come relitto etrusco dai DEI 520, NPS 151) (le due piante crescono ugualmente in luoghi molto umidi e vengono usate nella medicina popolare) (M.P., OPSE 203, LISPR). Vedi Budduris (Orgosolo), Budurrai (Nùoro, Orgosolo), Biddoro (Arzachena), Biddiriscòttai (Dorgali), su Budduri o Gudduri (Nùoro), Goddorè (Orgosolo).

Ulchis (Alà) indica la «Daphne gnidium L.». Vedi Tulchis (Chiaramonti, Martis, Perfugas).

Últana (San Teodoro, Telti) (NGAO) toponimo sardiano o protosardo (accento) ma di significato ignoto. Per l’accento cfr. Agliácana e Ògana (Aglientu), Atzògana e Ítzana (Luogosanto), Friságana (Calangianus), Ístana (Olbia), Júncana (Viddalba), Ortècana (Lodè), Ságana (Tempio-Bassacutena), Ulíana (= Oliena).

Ultígia, Oltígia, s’, (Pozzomaggiore): «l’urtica»; urtica, urtiga, ortica, ortiga; ortíggia, ortija «ortica»; rispettivamente dal lat. urtica e *urtic(u)la (DILS, NVLS).

Ulumarzu, s’, (la trascrizione su Lumarzu è errata; Bonorva) - Località presso Rebeccu, dove esiste una fonte nuragica. Il toponimo significa «l'olmeto, il sito degli olmi» e deriva dal fitonimo o nome di pianta úlumu, lúmu, úl(l)imu, òlamu, ólumu, olúmmu «olmo» (Ulmus campestris L.). Cfr. Olmedo

Ulumène, Olomène (Ozieri/Pattada), s'Ólimo o s'Ólomo (Solimo, Solomo nelle carte dell'I.G.M.; Sindia), Solomèa (= s'Olomèa; Ussana) (alternanza ú/ó, suff. -ène e accento -èa sardiani); probabilmmente relitto sardiano o protosardo da confrontare – non come derivato, bensì come imparentato geneticamente - col lat. ulmus «olmo» (indeur.; NPRA). La derivazione, sostenuta dai REW 9036, DES II 558, NPS 428, del fitonimo sardo da quello latino è meno verosimile, perché il lat. ulmus avrebbe dato in sardo úlmu ed úrmu, varianti che di fatto esistono e sono dunque, esse sole, neolatine; e soprattutto la vocale tonica lat. /ú/ non si sarebbe trasformata nel sardo /ó/. È dunque probabile che il fitonimo esistesse già in Sardegna, nella lingua sardiana o protosarda, prima che ve lo portassero i Romani (DILS, LISPR). 

Ulvine (Chiaramonti) probabilmente «Urbino», proprietario romano del predio, che deriva dal gentilizio lat. Urbinus (RNG) (al vocativo). Vedi Úvvine (< *Úrvine; Ploaghe), Orvine (Bono), Úrvine (Bottidda).

Unale/i (Abbasanta, Cuglieri, Flussio, Magomadas, Sagama, Scano M., Selargius, Siniscola): è il cognome del proprietario del predio, il quale potrebbe corrispondere all’aggettivo lat. unalis,-e «unico-a», col significato effettivo di «figlio unico». Era il nome della curatoria medievale Unali , nel Giudicato di Gallura, ed è stato il cognome della relativa famiglia giudicale; nelle carte medievali è documentato anche come Ugunali e Gunale/i [CV 281, 283, 284 (2), 285 (29, 286, 288, 289, 295, 296.298 (3), 299 (9), 300, 302, 303 (6), 304, 306, 308-310 (2), 311, 318 (2)] (Spano Ort. II 89, 91).

Unele, Serra Unele (Bultei) - Questo toponimo corrisponde all’appellativo sardiano o protosardo unele «volpe»; cfr. nela «volpe» (Sindia). Nell’agro di Sindia appunto esiste un nuraghe Nela (= nuragh’ ‘e Nela), che altri documenti registrano come nuraghe Nele o Nelu. Considerando che a Pattada esiste una cima chiamata su Nelo, si comprende che il vocabolo era di genere promiscuo. Vedi Dorgotori d’Unele (CSNT² 260), Furadu Unele (CSMB 211). Notevole è il fatto che questo appellativo compare anche fornito di un noto suffissoide sardiano o protosardo in Unelái (Dorgali) e anche preceduto dal pure noto articolo determinativo sardiano nel toponimo Taunele (Bitti) = ta unele «la volpe» (LCS II cap. III). In questa interpretazione di unele = «volpe» siamo fortemente confermati da numerosi toponimi compositi sardi - quasi tutti del centro montano - nei quali compare come secondo componente per l’appunto il vocabolo unele. E pure il significato del primo componente dà numerose e forti sollecitazioni a interpretare unele come avente appunto il significato di «volpe» (vedi riviste «Sardegna Mediterranea», Oliena 2006, num.19, 32-36 e «Sacer», Sassari 2006, num. 13, 51-57): Badu sa nele «guado della volpe» (Orani), Araunele (Osidda), Arbaunele (Ollolai), Arsuneli (CSMB 108), Artunele (Siniscola), Bidioneli (Ovodda), Bidunele (Lodine), Bisabbaunele (Ollolai), Cheltusunele (Alà), Cherunele (Bitti/Osidda), Corrugunele (Alà), Corunele (Nùoro/Orune), Desunele (Orgosolo), Eridunele (Austis); Friscunele, Vriscunele (Lula), Gardaunele (Orune), Garaunele (Mamoiada), Garriunele (Fonni), Grussunele (Olzai), Gurusunele (Mamoiada), Gutturunele (Oliena/Orgosolo), Hinonele (Ovodda), Ispedrunele (Bultei); Isteunele, Istiunele (Fonni), Istorunele (Orune); Jorjusunele, Marqasunele (Mamoiada); Majaqunele, Maraunele (Orgosolo), Mastrunele (Ollolai); Montiqunele, Montiqinele (Oliena); Mortunele, Murtunele (Loculi, Samugheo), Morturunele (Oliena), Muthiqunele (Mamoiada), Nasuneli (Olzai), Norunele (Fonni); Orchinele, Urchinele (Anela), Ottunele (Bitti), Pedrunele (Orani), Perdunele (Mamoiada, probabilmente stesso toponimo), Rattunele (Pattada), Risunele (Orune), su Rusunele (Nùoro) (probabilmente stesso toponimo), Rosinele (Orani), Sarunele (Oliena), Serunele (Bitti; VSG), Sorunele (Fonni, Ollolai/Sarule), Tarasunele (Mamoiada), Tartusunele (Oliena), Tasaunele (Ollolai), Thiqunele (Mamoiada), Toddunele, Tuddunele  (Bitti/Orune), Tortosinele (Dorgali), Tramazunele (Fonni), Turrunele (Sarule); Verrunele (Orgosolo), Vitunele (Lula). Vedi Tanaunella. 

Uri (Comune di U., SS). L’abitante Uresu - Il nome di questo villaggio trova riscontro in almeno altri sette toponimi Uri, esistenti nei territori di Nulvi, Oschiri, Osilo, San Vito, Sarule, Sennori, Simaxis. Trattandosi di un toponimo dalla struttura fonetica ridottissima (tre soli fonemi) si ha il dovere e l'interesse a presentare una qualsiasi proposta etimologica con le più ampie riserve. Ebbene il toponimo Uri potrebbe corrispondere al basco ur «acqua» (J. Hubschmid, Mediterrane Substrate, Bern 1960, 75-76; Alessio, RIL, LXXIV, 732; Wagner, LS 281; quest’idronimo potrebbe corrispondere al greco hýdōr «acqua» e l’uno e l’altro risalire al sostrato “mediterraneo”. A questa ipotesi etimologica siamo spinti anche perché la radice ur(r)- da una parte si trova in numerosi idronimi sardi, dall'altra è diffusa in tutta l'Isola, per cui è abbastanza probabile che effettivamente significasse «acqua». C'è infatti da considerare che in una terra perennemente sitibonda, come è ed è stata la Sardegna, il conoscere le sorgenti, anche col loro nome, era una questione veramente importante e perfino essenziale per la vita degli uomini e del loro bestiame. Diamo qui di seguito l'elenco - certamente non completo - di questi toponimi e idronimi, tutti di evidente matrice sardiana o protosarda per via dei vari suffissi e dei suffissoidi: Uralái (Irgoli), Uralla (Albagiara, fontana e rivo), Urasa (Solarussa, rivo), Urasala (Sorradile), Urassala (Scano M.), Uratanda (Cuglieri), Urau (Cuglieri, fontana), piskina d'Urea (CV XIII 7), Uredda (Siamanna), Uréi (Laconi, canale), Urele (Baunei), Flumini Uri (San Vito), Úrighe (Birori), Urulu (Orgosolo, sorgente), Roja Urossolo (Ortueri, canale), Urotzo (Sorradile, sorgente), Uruspa (Sorso); Uraressi, Urei, Ures(s)a, Uri, Urieke, Urule (CSPS); Urasanna, Uria, Urosolo, Urri, Urrolo, Urru (CSMB), Ures (CSLB), Urri (Orani), Urigu (Osilo, Perfugas, Zeddiani), is Urigus (San Giovanni Suergiu). Notevole è che una città etrusca Uri esistesse nella Campania.- Le più antiche attestazioni del nostro villaggio si trovano nel Condaghe di Silki (CSPS 203, 275), due volte come Urin e una come Uri (ma probabilmente il primo è da leggere Usin = Usini). Nel Condaghe di Bonarcado (CSMB 96) si trova una volta la forma Uri, molte volte la forma (de) Urri (passim). Ed il villaggio è citato dalla Chorographia Sardiniae (170.34,35) di G. F. Fara (anni 1580-1589) come oppidum Uris.

Úrpes, sas, (Pozzomaggiore): «le volpi»; gurpe, urpe deriva dal lat. vulpe(m).

Usini (localmente Úsini, Úsine) (Comune di U., SS). L’abitante Usinesu - Nei documenti antichi il toponimo compare quasi sempre come Usune. Esso è quasi certamente di origine sardiana o protosarda e trova riscontro nell’altro toponimo Osinavà, Usinavá (Buddusò-Torpè). Trova anche riscontro nell'antroponimo etrusco Usuna (DETR 433). Nel CSPS 203 compare come Urin, che probabilmente è da leggere Usin. Però non si conosce il significato dei quei toponimi e dell'antroponimo.- Per la differenza sia dell'accento sia della terminazione, non sembra che Úsini/Úsine sia da collegare con l’altro toponimo Osíni/Usíni (vedi).- Il villaggio, appartenente al Giudicato e alla diocesi di Torres, è citato molto per tempo e numerose volte nei documenti medievali e cioè nei Condaghi di Silki e di Trullas, nel Codice Diplomatico delle relazioni fra la Santa Sede e la Sardegna, nel Codex Diplomaticus Sardiniae. Inoltre figura tra le parrocchie della diocesi di Torres che nella metà del sec. XIV versavano le decime alla curia romana (RDS 28, 761, 1179, 2092, 2295). E risulta anche nella Chorographia Sardiniae (124.15; 170,36) di G. F. Fara (anni 1580-1589) come oppidum Usinis. 

Usolò, Usulò (Alá), Uséli e Usuléi (Orgosolo), Uséli od Oséli (Urzulei), Uselligis (Ussassai), Usiligi (Osini), Usellus [ant. Usel(l)is, localmente Useddus; (Comune di U., OR)], Useddu(s) (Selegas), Usedda (Osilo), Osidda od Usidda (Comune di O., NU), Ussela (Torpè), Úsula (Olbia) (alternanza ú/ó), Usulada (Lanusei), Usullái od Osullái (Lotzorai), Usuluvè (Buddusò), Utzele (Benetutti), tutti toponimi sardiani o protosardi da confrontare con gli etr. Usil «Sole» (divinità; DETR), antroponimi Uśele, Uselna, Usile [= lat. Osillius, Usulen(i)us, Osillianus, Usilla]; ausélos «aurora» (ThLE 417; glossa di Esichio aukélos, emendata dal Kretschmer, Glotta XIV 310), col sabino ausel- «sole» (P.-Festus 22 L = 23 M; LEN 468) e coi lat. aurora «aurora, sorgere del sole» (da *ausosa; AEI), sol-solis «sole» (LISNE 269; OPSE 233).

Utturái, s’, (Posada): toponimo sardiano o protosardo (suffissoide), da connettere con gútturu, (b)útturu «gola», «viottolo stretto e incassato». Toponimi Gutturinnái (Bitti), Gutturullái (Sarule), Guttirillái (Fonni), Gutturréi (Nùoro), Butturischela (Ghilarza) e da confrontare – non derivare - coi lat. guttur,-uris «gola, strozza» (di origine oscura; DELL). L'appellativo sardo può senz'altro derivare da quello latino (DILS), ma molto difficilmente lo potrebbero anche i toponimi derivati.

Utzeri, Porta Útzeri (Útzari) (Sassari) - Nome di una porta delle mura dell'antica Sassari, che era aperta verso un sobborgo della città, situato poco prima di Silki e chiamato Utheri, il quale è citato nel Condaghe di Silki (CSPS 364, 440). Sembra un toponimo sardiano o protosardo, ma se ne ignora il significato. Attualmente esiste anche come cognome (CSSO, DICS). 

Vaccileddi (frazione di Loiri) - Il toponimo corrisponde al diminutivo plur. del gallur. vaccíli «recinto per vacche o bovini», il quale deriva dal log. bacchíle, a sua volta dal lat. *vaccile (DILS 961). Cfr. Bacchileddu.

Vallái (Galtellì, Lodè): toponimo sardiano o protosardo (-ll- conservata e suffissoide), probabilmente da confrontare – non derivare - coi lat. vallis «valle» (di origine incerta; DELL, DELI). Il lat. vallis è entrato nella lingua sarda dando luogo al regolare vadde, (b)adde, (b)addi «valle, pianura, bosco», ma probabilmente fondendosi con un precedente appellativo sardiano, il quale significava anche «pianura» e «bosco». Cfr. Ballacca (Arzana), Ballacò (Girasole), Baddighe (Luras), Ualla (Asuni/Samugheo; La Marmora, Itinerario, III 97).

Valledoria (Comune di V., SS) - Letteralmente il toponimo significa «Valle (dei) Doria». Si tratta di un «neologismo adottato nel 1961 come denominazione convenzionale dalle ex-frazioni e località di Sedini (Codaruina, S. Maria Coghinas, Viddanoa, ecc.) e di Castelsardo (La Muddizza e La Ciaccia) per il nuovo comune sorto dal loro distacco dai due comuni di appartenenza (...) Il capoluogo della nuova entità amministrativa fu fissato a Codaruina che con l'andar del tempo tese sempre più ad indentificarsi con la denominazione ufficiale del comune. Dopo la separazione della popolosa frazione di S. Maria Coghinas (vedi), avvenuta un ventennio più tardi, attualmente il comune di Valledoria comprende il capoluogo Codaruina con le borgate di La Mudditza e La Ciaccia» (M. Maxia, NLAC). 

Valverde, Santuari mariani di Valverde ad Alghero, Dorgali, Nùoro, Ploaghe, Sassari) - In effetti il toponimo non è altro che la traduzione errata della locuzione log. Palu Virde, Palu 'Ilde, (Nùoro) Balu Birde, (Alghero) Pal virde, che in realtà significava e significa non «Valle Verde», bensì «Palo Verde». In questa locuzione probabilmente c'era in origine un riferimento al culto pagano di una divinità femminile della vegetazione, rappresentata da un palo tinto di verde (SN 196-197, 219), culto che in seguito la Chiesa cristiana ha recepito e trasformato nel culto della Madonna di Valverde

Varasones, Varrasoni (Sedini) «fasci di spine, grovigli di sterpi o rovi, siepi», corrisponde al log. barisone (b)errisone, errithone, ghirrisone «riccio (animale e involucro della castagna); barrasone, barasone, berrisone, birrisone, (b)arrasolu «fascio di spine, groviglio di sterpi o rovi, vepraio, siepe», «oggetto ingombrante», «individuo inselvatichito e grossolano»; relitto sardiano o protosardo (suff. -on-), da confrontare – non derivare - col lat. ericius «riccio», di origine incerta (DELL 200; DELI) (DILS, NVLS).

Varrasolu (frazione di Arzachena) – Il toponimo corrisponde all'appellativo gallur. varrasolu, barrasolu «fascio di sterpi e spine» e «arbusto spinoso» (NGAO num. 100), il quale deriva dall'appellativo log. barrasolu  «fascio di spine, groviglio di sterpi o rovi, vepraio, siepe», «oggetto ingombrante». Vedi Varasones.

Viddalba (Comune di V., SS) - Il toponimo compare nei documenti medievali come Villa Alba, Billalba, Villarba (NLAC) e queste forme, assieme con la odierna, consentono una sicura etimologia: dal lat. villa alba «villaggio bianco». Questa denominazione deriva dalla pietra usata nella costruzione delle case, che era di arenaria bianca, estratta da una cava della collina di San Leonardo e da un'altra della zona chiamata significativamente la Petra Bianca.- Citano il villaggio alcuni documenti medievali del Duecento e del Trecento, fra cui la Carta di compromesso fra l’Operario di Santa Maria di Pisa e il vescovo di Civita del 1173 (CREST XXV 6, 8, 15, 18) come Villa alba, il Condaghe di Silki (CSPS 348) come Billalba ed il Condaghe di Salvenor (CSMS 206) come villa de Alba. Il villaggio è citato anche tra le parrocchie che nella metà del sec. XIV versavano le decime alla curia romana (RDS 735) come Villa Alba. Da questo documento risulta che esso apparteneva alla diocesi di Civita (Olbia) e non a quella di Ampurias; dal che si deduce che il fiume Coghinas costituiva il confine fra le due diocesi.- Il villaggio per circa quattro secoli, fra il Quattrocento e il Settecento, fu abbandonato (il Fara, Chorographia Sardiniae, 178.5, lo cita come scomparso per gli anni 1580-1589), ma tuttavia la sua denominazione venne conservata, molto probabilmente in virtù della sua chiesa parrocchiale di San Giovanni, che fino a tutto il Settecento e ai primi dell'Ottocento si conservò pressoché intatta. Il lento ripopolamento del villaggio iniziò dopo quel periodo. Ma in conseguenza della cesura che si era determinata nella vita del villaggio stesso, si comprende come i suoi nuovi abitanti lo abbiano chiamato e lo chiamino tuttora anche Vidda Ecchja «Paese Vecchio». Ed essi stessi si chiamano e vengono chiamati dagli abitanti dei villaggi vicini Viddaeccesi (NLAC). 

Vignola, Vignola lu Colbu, Vignola Tamburu (frazioni di Trinità d'Agultu; le specificazioni lu Colbu «il Corvo» e Tamburu «Tamburo» sono state adottate per indicare differenti siti) - Località della costa settentrionale della Gallura, a sud di Capo Testa, la cui denominazione in origine faceva riferimento all'esistenza di vigneti nella zona.- Vignola corrisponde alla mansione o stazione che è citata dal romano «Itinerario di Antonino» (211-217 d. C.) come Viniolae, sul tracciato di strada che andava da Tibula a Sulci (83.2), seguendo le coste settentrionale ed occidentale della Sardegna. Senonché, considerato che la ubicazione di Tibula a Castelsardo risulta ormai accertata, oltre che da altre prove, dalla vicinanza di essa ad Elefantaria, che corrisponde chiaramente alla odierna Roccia dell'Elefante (vedi), siamo indotti a ritenere che il testo dell'«Itinerario di Antonino» riguardo ai tracciati di strada della Sardegna settentrionale abbia subìto qualche guasto (vedi Ercoli). Oppure si può pensare che esistesse anche un'altra Viniolae, ad occidente di Castelsardo e poco a sud di Punta Tramontana, là dove di fatto sono stati rinvenuti i resti di una villa romana. [D'altronde sempre l'«Itinerario di Antonino» (80.2) cita un'altra Viniolae sul tracciato di strada che seguiva la costa orientale della Sardegna (vedi)].- Come porto che metteva in comunicazione con Pisa, Vignola risulta citata parecchie volte in documenti medievali (GG 187). Nella Carta di compromesso fra l’Operario di Santa Maria di Pisa e il vescovo di Civita del 1173 è citata come Vingnolas (CREST XXV 10) e nel Condaghe di Silki (CSPS 290, 316) è citato un certo Petru de Uiniolas.- Il villaggio compare fra le parrocchie della diocesi di Civita che nella metà del sec. XIV versavano le decime alla curia romana (RDS 737, 2011, 2060) e inoltre è citato, ma come distrutto, dalla Chorographia Sardiniae (80.24; 128.34; 226.15) di G. F. Fara (anni 1580-1589) (Day 135).

Villanova Monteleone (Bidda, Idda Noa Monteleone) (Comune di V. M., SS). L’abitante (B)Iddanoesu – Il primo componente del toponimo in effetti è la traduzione italiana del sardo Bidda Noa. Il secondo componente trova la sua spiegazione in precisi e abbastanza conosciuti fatti storici. Il vicino villaggio di Monteleone Rocca Doria (vedi), in possesso della potente famiglia genovese dei                                                        Doria, rappresentata nell'occasione da Nicolò Doria, per tre anni (1433-1436) fu assediato dagli Aragonesi di Alfonso V e dai suoi alleati, Algheresi, Bosani e Sassaresi, fino a che si arrese per fame. Il castello fu smantellato e una parte dei suoi abitanti si rifugiò nel sito ora occupato dal villaggio di Villanova, al quale diede anche la denominazione. Però probabilmente nel sito c'era un precedente centro abitato, la cui denominazione forse rimane ancora in quella di qualche rione di Villanova. D'altra parte questo, dovendo essere distinto dagli altri villaggi sardi chiamati Bidda Nòa o Villanova, fu chiamato Monteleone sia per la sua vicinanza a Monteleone Rocca Doria, sia per ricordo dell'origine di una parte della sua popolazione.- Il villaggio è citato nella Chorographia Sardiniae (188.16) di G. F. Fara (anni 1580-1589), il quale riferisce che fu saccheggiato dai pirati saraceni nel 1582.

Vintura (frazione di Aggius) - Il toponimo corrisponde al nome personale del proprietario del predio o dello stazzo «Ventura o Bonaventura» (CSSO 243, DICS).

Zènnaru (Chiaramonti) vedi Sènnaru.

Zirra, Monte Zirra (TZ) (Nurra di Sassari) - Il toponimo probabilmente corrisponde all'appellativo log. chirra, chírria, cirra «recinto per ovini o per suini» (DIçS, NVLS).

Zuighe (Zúighe) (frazione di Monti) - Il toponimo corrisponde all’appellativo zúdiche, zúiche, zúighe «giudice», che deriva dal lat. iudice(m) (DILS). Però resta da chiarire se il toponimo porti in sé il riferimento a uno degli antichi Giudici della Gallura oppure semplicemente il riferimento ad un magistrato recente, proprietario di terreni.

Zunchini (Sassari) - Località ad occidente di Sassari dove sono stati trovati i resti di una villa romana dotata di impianto termale ed una iscrizione dedicata al Genio della villa (Meloni, Rom. 171, 256). Il toponimo deriva quasi certamente da una locuzione lat. (villa vel praedium) Iuncini «(tenuta o fondo) di Iuncino». Il proprietario della villa o del fondo sarà stato quel L. Baebius Aurelius Iuncinus, il quale risulta effettivamente citato in una iscrizione rinvenuta in Sardegna (Rowland 183; UNS 156).

Massimo Pittau, 2013



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