IL VINO IN SARDEGNA

CONOSCIUTO DA 4000 ANNI





Ho di recente pubblicato uno studio intitolato “Olivi in Sardegna da 4.000 anni”. Con questo mio nuovo intendo mettere in evidenza che pure per il “vino” si può dimostrare la medesima cosa, facendo uso di una metodologia esattamente uguale.
Nella odierna lingua sarda, derivata da quella latina, esiste sia l’appellativo vinu, binu, sia una ricca nomenclatura che riguarda questa bevanda: vite, vide, bide «vite», ua «uva»; butrone, burdone «grappolo», foddone «fiocine, buccia dell’acino», iscalone «racimolo», pupujone «acino»; vinza, binza «vigna». Tutta questa nomenclatura è di sicura origine latina e dimostra chiaramente che la viticoltura era praticata in Sardegna almeno dall’epoca della sua conquista effettiva da parte dei Romani, dopo la vittoria di Zama nel 202 a. C.
Però, a mio avviso, esistono buone prove linguistiche che dimostrano che l’uva e il vino erano conosciuti in Sardegna da epoca molto più antica, prove consistenti in appellativi e toponimi che, per motivi fonetici, sono prelatini.
Questi appellativi e toponimi sono caratterizzati da alcuni elementi fonetici che non trovano riscontro nella lingua latina e per questo riportano alle lingue che si parlavano in Sardegna prima della conquista romana.

Appellativi: àchina «uva»; vinnenna, (b)innenna, bibbenna, bipenna, vinninna, binninna «vendemmia»; vinnennare, vinninnare, binnennare, binnennai «vendemmiare» (log., camp.). 

Toponimi: Binnori (Bortigali), Vinnènnere (Bitti/Onanì), Benènnere (Gavoi), Benennurri (Bottidda) (suffissi etruschi -ENN-/-INN-; LLE, norma 6). Quasi certamente sono tutti relitti protosardi da confrontare – non derivare – col lat. vindemia (la derivazione dell’appellativo sardo da questo latino urta contro gravi difficoltà fonetiche). 

Toponimi protosardi (Tonara), Uái (Desulo), Ualla (Asuni, Samugheo), Uassa (Seulo), Uatza (Iglesias), Uore (Borore), Úvono (Oniferi), Uatzo/u (Berchidda, Bono, Borore, Orosei, Sorgono, Tonara, Tertenia, ecc.) probabilmente = «uva selvatica», peggiorativo di ua «uva». 

Molto notevole è in Sardegna la venerazione di uno strano santo cristiano Bakis (latinizzato in Bachisius), il quale, col noto fenomeno del “sincretismo religioso”, si è inserito e fuso con quello del precedente dio pagano del vino Bacco (cfr. M. Pittau, Credenze religiose degli antichi Sardi, Cagliari 2016, Edizioni della Torre, cap. 3).
In Sardegna di recente in scavi effettuati in siti nuragici sono stati rivenuti semi di uva, che sono stati fatti risalire appunto all’epoca nuragica.
Nei paesi dei Mediterraneo sono stati trovati numerosi segni della coltivazione della vite in epoca molto antica. Nell’antico Egitto sono numerose le immagini che presentano la coltivazione dell’uva, la sua raccolta e la sua pigiatura fatta coi piedi o la spremitura fatta con un torchio mosso da vignaioli.
La viticoltura ha avuto in tutte le regioni dell’Italia un ruolo assai importante, come dimostra chiaramente il nome di Oinōtría «Enotria, terra del vino» che le diedero i Greci (Erodoto, 1,167,3).
Gli Etruschi, popolo affine ed imparentato con i Sardi, praticavano la coltivazione della vite e facevano largo consumo del vino. Lo dimostrano numerose raffigurazioni pittoriche e soprattutto la seguente nomenclatura vinicola. 

Fufluns dio del vino analogo a «Bacco». 
huslna/e probabilmente «giovane, novello», aggettivo riferito sempre a vinum «vino novello». 
Pacusnaśie probabilmente «mese dedicato a Bacco», forse “novembre”, mese della pigiatura dell'uva.
Pacusnaśieθu[r] «Sodalizio bacchico». 
Paχanac «e baccanale», da cui è derivato il lat. Bachanalia «Baccanali», festa in onore di Bacco. È appena il caso di ricordare che i Baccanali passarono appunto dall’Etruria a Roma, dove però furono proibiti, per i loro eccessi, dal famoso senatoconsulto del 186 a. C. 
Paχaθuras «del Sodalizio bacchico».
Paχies
«di/a Bacco», in genitivo di appartenenza oppure di dedicazione. (TLE 336; su 4 vasi) Fuflunsul Paχies / Velclθi «(è) di Fufluns Bacco / (fabbricato) in Vulci». L’accostamento dei due teonimi mostra chiaramente l’assimilazione che si era fatta tra il dio etrusco del vino e quello corrispondente greco.
Paχnas «(di) *Baccanio», da confrontare con l'ital. baccano.
vinac probabilmente «vignale, vigneto». 
Vinacna «*Vinaceo», gentilizio masch., da confrontare col lat. vinaceus «vinacciolo».
Vinai «Vinia», gentilizio femm., da confrontare con quello lat. Vinius (RNG), nonché col lat. vinia «vigna». 
vinaiθ probabilmente «vignaiolo».
vinum, vinm «vino», da confrontare col greco õinon (nel caso più frequente dell’accusativo) e col lat. vinum. santi vinm «vino giallo o bianco-a», da confrontare col greco xanthós «giallo-a». Nel Liber linteus di Zagabria una volta compare intervallato con un punto v·i·n·u·m per suggerire al sacerdote la sua pronunzia attenta e lenta durante il sacrificio. 
vinumaia probabilmente «vinario-a, da vino». icai patara vinumaia «a questa coppa vinaria».


È adesso molto importante precisare che il lat. vinum, l’etrusco vinum, vinm, il greco oĩnos non è un appellativo indoeuropeo, ma da noi linguisti viene ritenuto e dichiarato “preindoeuropeo” oppure “mediterraneo”. E con questi due aggettivi noi intendiamo ed interpretiamo che, quando i vari popoli indoeuropei (greco, latino, etrusco, germanico, slavo) arrivavano di tempo in tempo nelle terre bagnate dal Mar Mediterraneo, vi trovavano piante e bevande che essi non conoscevano affatto, e per questo motivo le denominavano col loro nome locale ed originario. Esattamente come, quando gli Europei conobbero piante esotiche, in generale le denominarono col loro nome locale ed originario.
Pertanto per la Sardegna è necessario trarre questa importante conclusione: i citati ed analizzati appellativi e toponimi protosardi non soltanto sono prelatini, ma sono anche anteprelatini, non costituiscono cioè soltanto un sostrato protosardo precedente allo strato latino, ma costituiscono anche un presostrato sardo.
Ciò implica una importante conseguenza: che tali fitonimi debbano risalire alla lingua che in Sardegna parlavano i Presardiani, ossia gli scavatori delle tombe rupestri chiamate domos de Jana, i quali erano differenti e precedenti ai Protosardi o Sardiani, costruttori, invece, delle “tombe di gigante” e dei nuraghi.
E la conclusione ultima e più importante del presente studio è questa: in Sardegna la conoscenza della vite e del vino risale almeno a due millenni prima di Cristo e, sommati quelli dopo Cristo, risale ad almeno 4 mila anni fa. 
Come ultima questione c’è da chiedersi che cosa adoperassero i vari popoli indoeuropei al posto dell’olio e del vino prima che arrivassero nelle terre del Mediterraneo: a me sembra di intravedere che adoperassero lo strutto e la birra, questa già conosciuta e bevuta dai Sumeri 4.000 anni avanti Cristo.

Massimo Pittau, 2017


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